L’invasione e la guerra della Russia contro l’Ucraina ha riportato l’orologio della storia a un secolo fa quando alcune città, oggi all’attenzione e nelle preoccupazioni del mondo libero, erano territorio dell’impero austroungarico. Del quale era parte anche il Welschtirol, il Tirolo italiano e cioè il Trentino. E proprio a Leopoli, a Przemysl, a Cracovia, nell’estate del 1914, furono mandati a combattere i nostri bisnonni, i Kaiserjäger, i cacciatori dell’Imperatore. Molti di loro furono uccisi, feriti o fatti prigionieri dai Cosacchi dello Zar, Nicola II Romanov (1868-1918) l’imperatore di tutte le Russie.
Cracovia oggi fa parte della Polonia, mentre Leopoli e Przemysl sono città dell’Ucraina. Al tempo della Grande guerra erano i centri più importanti della Galizia, la regione nord-orientale dell’impero delle dodici nazionalità. Vale a dire dell’Austria-Ungheria. La Galizia abbracciava un territorio di 78.500 km quadrati, vale a dire dodici volte e mezza la provincia di Trento (6.212 kmq). La popolazione di circa 8 milioni di abitanti, era formata da polacchi, ucraini (ruteni) e da ebrei (poco meno di un milione). Nella prima metà del XIX secolo, in quella regione-cuscinetto si era sviluppata una robusta rete ferroviaria. La progettazione era stata affidata all’ingegnere trentino Luigi Negrelli (1799-1858), noto per aver diretto i lavori di scavo del canale di Suez. Ideata soprattutto per scopi militari, la ferrovia portò allo sviluppo di alcune città: Leopoli, la capitale; Cracovia e Przemysl.
“Queste roccaforti, nel 1910 contavano rispettivamente 206mila, 152mila e 46mila abitanti ed erano sedi del XI°, del I° e del X° corpo d’Armata dell’esercito austro-ungarico, con circa 63mila soldati in servizio attivo, ripartiti in 38 reggimenti di fanteria e 20 di cavalleria, oltre a reparti di artiglieria ed altre specialità militari. Allo scoppio del primo conflitto mondiale, le tre città costituivano le piazzeforti tra le maggiori dell’Impero e dell’Europa”. (A. Tamburini, M. Ischia, 2006)
Le trincee attorno a Cracovia, fino al 1596 antica capitale della Polonia, scavate per difendere la Moravia e la Slesia da un’invasione da Est, formavano un anello di 57 chilometri, con 30 fortificazioni, 17 delle quali corazzate. La piazzaforte di Leopoli, che aveva una circonferenza di 48 chilometri, doveva, invece, assicurare la difesa della Galizia e della Bucovina. Nei primi mesi di guerra, la Galizia si trasformò in uno sterminato cimitero. L’Impero zarista aveva schierato 47 divisioni di fanteria, 18 divisioni di cavalleria e tremila cannoni. L’Impero austro-ungarico aveva a disposizione 32 divisioni di fanteria, 10 divisioni di cavalleria e duemila cannoni.
La “battaglia della Galizia”, combattuta dal 23 agosto all’11 settembre 1914, terminò con l’arretramento dell’esercito austriaco di 160 chilometri e l’occupazione di Leopoli da parte dei Russi. In meno di tre settimane si contarono 300mila tra morti e feriti e 100mila prigionieri, tra le fila degli Austriaci; 225mila tra morti, feriti e dispersi nell’esercito dello Zar.
Con i suoi forti, dislocati su un anello di 45 chilometri e con un’artiglieria di quasi mille pezzi, la città-fortezza di Przemyśl, lungo il fiume San, aveva il compito di difendere le pianure ungheresi. Poteva contare su 11 battaglioni di fanteria e 9 batterie di artiglieria. A queste si aggiunsero 22 battaglioni della leva di massa.
Przemyśl tenne in scacco per cinque mesi le armate dello zar al comando del generale Nikolaj Ivanov. La città-fortezza, stretta d’assedio il 24 settembre 1914, fu espugnata dopo sanguinosi combattimenti (40mila morti tra i Russi). Riconquistata dagli Austriaci il 12 ottobre 1914, fu assediata una seconda volta dal 9 novembre. Restò isolata per 133 giorni. Fu costretta alla resa per la fame e per la mancanza di munizioni, il 22 marzo 1915. Prima di arrendersi ai Russi, gli Austro-Tirolesi (nella fortezza combatterono i soldati del II° Reggimento tirolese del Landsturm, pertanto anche molti Trentini) macellarono 5mila cavalli, bruciarono 700mila corone, distrussero l’artiglieria e minarono i ponti. I Russi fecero prigionieri 117mila soldati e quattromila civili, 9 generali, un centinaio di ufficiali superiori e 2.500 ufficiali. La città-fortezza di Przemyśl fu riconquistata dagli Austriaci e dai Tedeschi nel maggio del 1915.
Il trentino Giacomo Beltrami testimoniò in una lettera ai familiari: “Miei cari, le nostre fatiche i nostri patimenti, e i nostri sforzi sono statto tutto innutile; Ma noi non ne abiamo colpa se non fusse statto per la manchanza dei viveri, mai più il nemico prendeva questa tera, perche tantti asalti che hà fatto sono statto sempre respinto con grandi perdite. Ebene domani ne damo in mano hà nostri nemici”. (Q. Antonelli, 2008)
Nell’autunno del 1914, mentre le truppe tedesche avanzavano nel territorio della Polonia russa, i Cosacchi dello Zar penetravano ancor più in profondità nella Galizia austriaca. In quella terra viveva quasi un milione di ebrei. Quando la guerra si fece più cruenta, la popolazione locale cominciò a infierire contro quel popolo che abitava la Galizia da secoli. Cominciavano i pogrom, la distruzione e i saccheggi contro le comunità ebraiche. Migliaia di ebrei furono costretti a un’ennesima diaspora, a lasciare città e villaggi per trascinare la loro grama esistenza verso est, nel cuore dell’impero russo ormai agonizzante.
Vent’anni dopo, quelle “pulizie etniche” avrebbero dato tragica notorietà a un caporale austriaco il quale, il 1° agosto 1914 si era arruolato volontario nel 16° reggimento di fanteria Bavarese. Quel soldato, già riformato, perché gracile, dall’esercito di Francesco Giuseppe, si chiamava Adolf Hitler. Era nato a Braunau am Inn il 20 aprile 1889. La cittadina natale del futuro Führer del Terzo Reich sarebbe diventata tristemente nota anche ai trentini, profughi e sfollati della Grande guerra.
Il 28 novembre 1914, a Vienna si diffuse la voce, poi censurata nei giornali, che i Russi erano arrivati a 13 chilometri da Cracovia, la capitale della Polonia asburgica. Serpeggiò il panico. Qualche giorno dopo si seppe che a Limanowa, con una battaglia durata una settimana, i soldati dell’imperatore Franz Joseph avevano sconfitto e respinto i Russi verso oriente. Cominciava la guerra di trincea
A metà dicembre, sul Trentino si era scatenata una bufera di vento e di neve. Prima della guerra, Trento contava 31mila abitanti. Molti erano già stati sfollati. Tutti aspettavano con trepidazione notizie dal fronte carpatico-galiziano. I due giornali, “Il Trentino” e “l’Alto Adige” scrivevano di guerra aerea, di bombardamenti, di “terrore che viene dal cielo”. Fra un reportage e qualche notizia non censurata, continuava la pubblicazione – da settembre 1914 era diventata una rubrica fissa – degli elenchi di morti e di feriti predisposti dal “Segretariato per i Richiamati”.
Il 12 dicembre 1914, “il Trentino” scriveva che “si voleva preavvisare le famiglie [dei caduti] e finalmente giovedì scorso fu possibile diramare a oltre centottanta curatori d’anime le lettere recanti il lugubre annunzio”. Lo stesso giorno, sui giornali era pubblicata questa notizia: “Le nostre operazioni nei Carpazi continuano il loro corso secondo il nostro disegno stabilito. Il nemico oppose ieri resistenza per lo più colle sue retroguardie, che ripetutamente vennero sconfitte. Nella Galizia non si è avuta ancora nessuna decisione. Dove i Russi sono passati all’attacco, furono respinti sempre con grandi perdite”.
La censura operava tagli decisi sulle notizie non gradite al Comando generale. Tuttavia, bastava scorrere l’elenco interminabile dei morti e dei feriti, che i giornali pubblicavano ormai ogni giorno, per comprendere che il prezzo dell’eventuale vittoria finale sarebbe stato intriso del sangue di una carneficina infinita. Da entrambe le parti.
Alla fine della Grande guerra i soldati trentini morti sul fronte orientale furono 11.800. Molti di loro furono sepolti nei 400 cimiteri militari dell’Ucraina occidentale e della Polonia meridionale. Il Trentino fu occupato dai soldati italiani ai primi di novembre del 1918 e fu annesso dieci mesi dopo alla “madrepatria” della quale non aveva mai fatto parte. Tanto madre che, negli anni Venti, l’Italia negò ai Trentini e ai Giuliano-Dalmati la memoria delle vittime della grande Guerra. I Kaiserjäger erano morti con la divisa sbagliata, pertanto indegni di una croce o di un ricordo pubblico. I monumenti furono riservati agli “eroi”, a coloro che, pur austriaci di lingua italiana, nel maggio del 1915 erano passati di là dal confine per combattere al fianco dei soldati del Regno sabaudo.
Il fascismo aveva bisogno di “eroi”. La popolazione trentina, già sfollata nelle “città di legno” dell’Austria o dispersa in 286 comuni della penisola italiana, aveva solo bisogno di pace.
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