Siamo tutti ucraini. A parole. Nei fatti, magari, un po’ meno. Ovvero: i privati e le parrocchie stanno dando grandi segni di generosità, piazza Dante aspetta. Certo, si sono cercati qua e là posti disponibili, si sono fatti annunci di accoglienza ma (salvo smentite che sarebbero oltremodo gradite) non pare che i vertici del Palazzo si siano prodigati più di tanto. La sensibilità per l’accoglienza è una pianticella fragile, da queste parti. La siccità padana ne ha inesorabilmente minato le radici.
Come insegna il Qoelèt, c’è un tempo per seminare e un tempo per raccogliere. Cento anni fa toccò ai nostri partire profughi, in una notte di inizio estate (era il mese di maggio del 1915). Donne, vecchi e bambini catapultati in una terra sconosciuta, dove parlavano una lingua incomprensibile. Furono accolti, raramente a braccia aperte, ma furono ospitati. E le nostre bisnonne, i nostri cari, non l’hanno mai dimenticato.
In questa domenica di passione per un popolo in fuga dall’invasione, sventola la bandiera gialloblù sul pennone delle torri della città di Trento. Gli stessi colori della bandiera dell’Ucraina travolta dalla furia dell’autocrate del Cremlino. Sarà pure una coincidenza, ma è un motivo in più per essere solidali. Perché vuol dire che Trento e Kiev sono la medesima terra, parte di un’unica umanità. (af)
E intanto, l’arch. Pier Dal Rì, già dirigente della Provincia autonoma di Trento, lancia una provocazione per nulla peregrina.
Chiudere l’Atesina (cioè Trentino Trasporti) per due giorni e mandare tutti gli autobus e pullman al confine per portare in salvo tutti coloro che vogliono venire in Italia al sicuro, finché sono vivi. Poi, in uno, due o tre magazzini o in altre strutture che non mancano, organizziamo qui il primo soccorso e la sistemazione più stabile. Questo vuol dire essere regione di confine; terra di conflitti etnici già vissuti; terra di protezione civile testata; terra di generosi cittadini sia sul fronte cattolico che laico. Questo è un principato vescovile che ancor oggi può dire la sua. Questo vuol dire avere nella bandiera un’aquila nata in quei luoghi. Questo è offrire lavoro negli ospedali, nei campi, nei cantieri, dove i trentini non vogliono lavorare. E invece‚ là al confine con l’invasione ci vanno piccoli privati con un cartello per sette posti. Iniziative di persone che non riescono a rimanere inermi. Ma non vedo un’azione energica di un Trentino che faccia il gesto forte, o sbaglio? E non vorrei mai che la nostra protezione civile sia già tutta impegnata per il concerto di Vasco e per una invasione di altra natura e che, dicono, più che i cuori riempirà i registratori di cassa degli esercenti.
Intanto, un comunicato stampa della Giunta Provinciale di Trento, diramato domenica 6 marzo, informa che la Provincia manderà un convoglio della Protezione civile in Moldavia, ai confini con l’Ucraina, per assistere da 250 a 500 profughi dell’invasione. L’operazione tuttavia ha bisogno di tempo, nel senso che il convoglio umanitario dovrà compiere un viaggio di 1.550 chilometri e non potrà essere in Moldavia che venerdì o sabato.
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Complimenti. Per quanto state facendo