Le immagini e le notizie che dall’alba di giovedì 24 febbraio arrivano dall’Ucraina, riportano alla memoria della storia una regione ai confini orientali dell’impero di Vienna, la Galizia, oggi territorio ucraino, dove nell’estate del 1914 furono mandati a combattere e, molti, a morire, i nostri bisnonni e nonni. Vi proponiamo un brano tolto dal libro di Alberto Folgheraiter “Un popolo, due patrie”, sintesi del “Trentino nel vortice della Grande guerra” (Curcu&Genovese, 2015)
I primi mesi di guerra furono i più tragici per i Trentini inviati in Galizia, la regione di confine tra l’Austria-Ungheria e l’impero dello Zar. I due giornali che ancora si pubblicavano a Trento – “Il Trentino”, di impronta cattolico-popolare, diretto da Alcide Degasperi, e “l’Alto Adige”, liberale – riportavano ogni giorno notizie sulla guerra. Di pari passo, ogni giorno aumentavano gli spazi “bianchi” sulle pagine dei giornali, lasciati vuoti dalle forbici della censura militare. Non si doveva sapere, per esempio, che in Galizia il sangue correva a fiumi e che dei 22.892 morti tra i Kaiserjäger nei primi mesi di guerra, alcune migliaia erano soldati del “Welschtirol”, il Tirolo di lingua italiana.
Oltre ai Trentini, sul fronte orientale della Galizia, della Bucovina e della Volinia, erano stati mandati a combattere altri Austriaci di lingua italiana: 32 mila Giuliani, 30 mila Friulani. Quelli che non morirono o non furono feriti, finirono prigionieri dei Cosacchi. Ci furono pure migliaia di soldati austro-ungarici che disertarono, lasciandosi catturare dai Russi.
Finita la guerra, il Fascismo volle interpretare la resa ai soldati dello Zar dei Trentini e degli altri “italiani d’Austria” come inequivocabile segno di “atteggiamento nazionale filoitaliano”. Per taluni, forse, lo fu. Per la maggior parte, il “trauma galiziano” contribuì ad accelerare “forme di disobbedienza e di rifiuto”.
I Trentini “furono vittime di misure discriminanti nel reclutamento, nell’assegnazione ai corpi e nella concessione delle licenze. A tutto questo si aggiunse, con l’entrata in guerra dell’Italia, l’aperta diffidenza dei comandi austriaci nei loro confronti che sfociava spesso in punizioni e maltrattamenti”. (Q. Antonelli, 2008)
La Galizia aveva un territorio di 78.500 km quadrati, vale a dire dodici volte e mezza la provincia di Trento che ha una superficie di 6.212 km quadrati. La popolazione di circa 8 milioni di abitanti, era formata da polacchi, ucraini (ruteni) e da ebrei (poco meno di un milione). Nella prima metà del XIX secolo, in quella regione-cuscinetto era stata sviluppata una robusta rete ferroviaria. La progettazione era stata affidata all’ingegnere trentino Luigi Negrelli (1799-1858), noto in particolare per aver diretto i lavori di scavo del canale di Suez. Ideata soprattutto per scopi militari, la ferrovia portò allo sviluppo di alcune città: Leopoli, la capitale (oggi in Ucraina); Cracovia e Przemyśl (oggi in Polonia).
“Queste roccaforti, nel 1910 contavano rispettivamente 206mila, 152mila e 46mila abitanti ed erano sedi del XI°, del I° e del X° corpo d’Armata dell’esercito austro-ungarico, con circa 63mila soldati in servizio attivo, ripartiti in 38 reggimenti di fanteria e 20 di cavalleria, oltre a reparti di artiglieria ed altre specialità militari. Allo scoppio del primo conflitto mondiale, le tre città costituivano le piazzeforti tra le maggiori dell’Impero e dell’Europa”. (A. Tamburini, M. Ischia, 2006)
Le trincee attorno a Cracovia, fino al 1596 antica capitale della Polonia, scavate per difendere la Moravia e la Slesia da un’invasione da Est, formavano un anello di 57 chilometri, con trenta forti, 17 dei quali corazzati. La piazzaforte di Leopoli, che aveva una circonferenza di 48 chilometri, doveva, invece, assicurare la difesa della Galizia e della Bucovina.
Nei primi mesi di guerra, la Galizia si trasformò in uno sterminato cimitero. L’Impero zarista aveva schierato 47 divisioni di fanteria, 18 divisioni di cavalleria e tremila cannoni; l’Impero austro-ungarico aveva a disposizione 32 divisioni di fanteria, 10 divisioni di cavalleria e duemila cannoni.
La “battaglia della Galizia”, combattuta dal 23 agosto all’11 settembre 1914, terminò con l’arretramento dell’esercito austriaco di 160 chilometri e l’occupazione di Leopoli da parte dei Russi. In meno di tre settimane si contarono trecentomila tra morti e feriti e centomila prigionieri, tra le fila degli Austriaci; 225mila tra morti, feriti e dispersi nell’esercito dello Zar.
Con i suoi forti, dislocati su un anello di 45 chilometri e con un’artiglieria di quasi mille pezzi, la città-fortezza di Przemyśl, lungo il fiume San, aveva il compito di difendere le pianure ungheresi. Poteva contare su undici battaglioni di fanteria e nove batterie di artiglieria. A queste si aggiunsero ventidue battaglioni della leva di massa.
Przemyśl tenne in scacco per cinque mesi le armate dello zar al comando del generale Nikolaj Ivanov. La città-fortezza, stretta d’assedio il 24 settembre 1914, fu espugnata dopo sanguinosi combattimenti (quarantamila morti tra i Russi). Riconquistata dagli Austriaci il 12 ottobre, fu assediata una seconda volta dal 9 novembre. Restò isolata per 133 giorni. Fu costretta alla resa per la fame e per la mancanza di munizioni, il 22 marzo 1915. Prima di arrendersi ai Russi, gli Austro-Tirolesi (nella fortezza combatterono i soldati del II° Reggimento tirolese del Landsturm, pertanto anche molti Trentini) macellarono cinquemila cavalli, bruciarono settecentomila corone, distrussero l’artiglieria e minarono i ponti. I Russi fecero prigionieri 117mila soldati e quattromila civili, nove generali, un centinaio di ufficiali superiori e duemilacinquecento ufficiali.
La città-fortezza di Przemyśl fu riconquistata da Austriaci e Tedeschi nel maggio del 1915. Il trentino Giacomo Beltrami testimoniò in una lettera ai familiari: “Miei cari, le nostre fatiche i nostri patimenti, e i nostri sforzi sono statto tutto innutile; Ma noi non ne abiamo colpa se non fusse statto per la manchanza dei viveri, mai più il nemico prendeva questa tera, perche tantti asalti che hà fatto sono statto sempre respinto con grandi perdite. Ebene domani ne damo in mano hà nostri nemici”. (Q. Antonelli, 2008)
(A. Folgheraiter, “Un popolo, due patrie”, il Trentino nel vortice della Grande guerra 1914-1918)