Nel 2023, a Roma, si terrà il sinodo mondiale dei vescovi che dovrebbe ridisegnare il profilo della Chiesa cattolica nel terzo millennio. Dal mese di ottobre dello scorso anno, ogni diocesi è impegnata ad “ascoltare” le proprie comunità, per raccogliere istanze, problemi, suggerimenti. È un tema che coinvolge da vicino ormai una ristretta cerchia di popolazione (si calcola che anche in Trentino i cattolici praticanti siano meno del 20%) ma è un avvenimento che merita particolare attenzione. Almeno dal punto di vista culturale, per chi non è credente o praticante.
L’enciclopedia Treccani, alla voce “Sinodo” propone questa scheda: “Anticamente sinonimo di concilio; successivamente, il termine è passato a indicare un’assemblea di sacerdoti e chierici indetta dal vescovo al fine di considerare i problemi della visita pastorale, riaffermare elementi di disciplina, promuovere la vita cristiana, il culto divino e la comunione ecclesiale. Il Concilio di Trento, per rivivificare una pratica ormai disattesa, prescrisse che i sinodi diocesani dovessero avere cadenza annuale e quelli provinciali dovessero svolgersi almeno ogni tre anni. La celebrazione dei sinodi è un obbligo giuridico pastorale, ma la circostanza è lasciata alla decisione del vescovo: questi è l’unico legislatore e tutti gli atti, i decreti e le dichiarazioni devono essere da lui sottoscritti”.
Con un intervento in due parti, il prete-filosofo Marcello Farina spiega la portata dell’evento.
Un approccio al concetto di “sinodalità”. Occorre chiarire che la parola “Sinodo” e, più comprensibilmente, l’aggettivo “sinodale” si riferisce a uno “stile”, a un modo di vivere, a una forma di esistenza che, nella lingua greca (“synodeno”) vuol dire “viaggiare in compagnia”, “camminare insieme”, così che la parola “sinodo” significa il “radunarsi insieme”, frutto di “con-venire”; riferito evidentemente a delle persone. I cristiani, per sant’Ignazio di Antiochia, erano coloro che “camminavano insieme”. Egli scriveva: “Siete tutti compagni di viaggio, portatori di Dio…, portatori di Cristo e dello Spirito”. Anzi, il “Synodos” per eccellenza, per lui, era lo stesso Gesù di Nazareth, il vero “compagno di viaggio”.
San Giovanni Crisostomo, a sua volta, annotava che la parola “sinodo” voleva significare anche “sinfonia”, cioè una “lode comune” a Dio, un condiviso “rendimento di grazie”, una “eucaristia” vissuta nelle comunità, la sua autentica “comunione”.
Il volto di una “Chiesa sinodale” – Occorre ricordare, anche in questo secondo passaggio, che la “sinodalità è uno stile”, un modus vivendi et operandi” della Chiesa Popolo di Dio, cioè la sua dimensione costitutiva. Come afferma ancora san Giovanni crisostomo, “Chiesa e Sinodo sono sinonimi”! Occorre, quindi, sottolineare che quando parliamo di sinodalità, di esperienza sinodale, non cerchiamo un parlamento, una maggioranza, un accordo per soluzioni pastorali che dobbiamo prendere. Essa non è un bel “parlamento cattolico”, in cui possa esistere “il diritto della maggioranza”, bensì unicamente “il diritto alla comunione”, inteso come quel “processo” vissuto nella faticosa tensione tra il procedere e il vivere “insieme”.
In ogni comunità, pertanto, ci si dovrebbe domandare: “Quali sono i motivi per cui io sono in questa comunità”? – “Quali sono le ragioni che mi conservano, nonostante la tentazione di andare via, di stare per i fatti miei? E, fra queste, quali sono le ragioni più forti”? Secondo papa Francesco il processo sinodale “deve cominciare dal basso in alto, nelle piccole comunità, nelle parrocchie. Un processo che richiederà pazienza e lavoro, far parlare la gente, e che esca “la saggezza del popolo di Dio”!
Implicito, poi, nel discernimento in comune, è l’ascolto. Papa Francesco lo chiama “l’apostolato dell’orecchio: prima di parlare, ascoltare la testimonianza prima della parola… Ecouter, faire, e poi dire, parlare”. Per lui “una Chiesa sinodale è una Chiesa dell’ascolto”, nella consapevolezza che ascoltare “è più che sentire”. Ascoltare, infatti, è recettività dell’altro, è disponibilità a mettersi in sintonia con quanto di lui si è in grado di intendere. Ascoltare, in ultima analisi, è essere “ospitali”, un po’ come il discepolo amato da Gesù, che, dopo aver ascoltato la sua parola dalla croce, accolse con sé la Madre del Signore (Giovanni 19, 26-27)
(1 – continua)