Un ricordo indimenticabile e una festa inebriante. Così l’ufficiale Biedermann descriveva il carnevale di Trento agli inizi del Novecento. Nei giorni di fine carnevale, torna di attualità una pubblicazione di cinque anni fa “Memorie in divisa”, di Nicola Fontana, responsabile dell’archivio storico e della biblioteca del Museo della Guerra di Rovereto, autore di studi e di indagini storiche sulla Grande guerra. Massimo Baldi, infatti, ha spulciato le “memorie” relative al carnevale di Trento.
Un ricordo indimenticabile e indissolubilmente legato alla mia permanenza a Trento è quello del vero carnevale italiano che oggi in tutto il mondo e la stessa Italia non esiste più perché quello che successivamente è stato definito tale era una misera imitazione di questa vera e inebriante festa popolare che durava settimane”. Così, con la visione tipica di colui che arrivava dal nord dell’Europa e considerava l’allora Tirolo italiano un lembo di Mediterraneo all’Interno dell’Impero, il capitano Rudolf Biedermann, ufficiale dell’esercito austriaco, descriveva nelle sue memorie il carnevale di Trento, città nella quale soggiornò dal 1898 al 1905.
Uomo di pianura, originario di Opava/Troppau, capitale storica della Slesia, oggi Repubblica Ceca, Bidermann trascorse gran parte della sua giovinezza nel capoluogo trentino. Figlio di Georg Bidermann, un maggiore del secondo Reggimento cacciatori tirolesi, non mancò di annotare sul suo diario che per i suoi genitori il periodo trascorso a Trento – e più in generale in Tirolo – “fu il più bello e felice della loro vita”.
Le sue memorie, assieme a quelle di altri sette ufficiali austro ungarici che hanno soggiornato nell’allora Tirolo italiano, sono state raccolte dallo storico Nicola Fontana e pubblicate in un libro intitolato “Memorie in divisa”, edito nel 2017 da Studi trentini di Scienze Storiche e dal Museo Italiano della guerra. Una pubblicazione di estremo interesse soprattutto per chi intenda indagare sulle contraddizioni dell’epoca e sul contrasto tra una città impregnata di irredentismo e una periferia valligiana austriacante e devota all’Imperatore.
Tra annotazioni di carattere militare ed episodi di vita personale, molti di questi ufficiali rimasero affascinati dalla vivacità e dalla bellezza del carnevale trentino agli inizi del ‘900. Bidermann, nelle sue memorie, annotava che “dal giorno dei Tre Re Magi fino al martedì grasso le strade di Trento venivano ravvivate da persone di ogni strato sociale e da maschere: le vie erano strapiene di gente da mezzogiorno fino a tarda notte o al mattino”.
L’ufficiale austro ungarico ricordava poi che dal giovedì grasso alla fine del Carnevale, i cortei diventavano sempre più vivaci e il trambusto e la gioia sfrenata durava fino al mattino, tanto che incamminandosi verso la stazione “si poteva affondare fino alle ginocchia tra ritagli di carta e stelle filanti”. Nelle sue memorie Bidermann parla anche dei cosiddetti “confetti”, ovvero di palline di gesso colorate “utilizzate come proiettili lanciati a grande distanza nelle divertenti battaglie condotte per le strade”. A Trento – spiegava – c’era una fabbrica che produceva i richiestissimi “confetti” per tutto l’anno e addirittura per il fabbisogno di tre città.
I confetti, quelli commestibili, assieme alla frutta candita, arance, uova e oggetti di oreficeria, erano invece lanciati alle ragazze da coloro che Bidermann chiamava “Leoni della società” nel momento in cui “quelle fragili bellezze, circondate da giovani che si azzuffavano, non sapevano come trarsi d’impaccio e dovevano capitolare in quella guerra gioiosa”.
Storie d’altri tempi che testimoniano però l’importanza che il carnevale assumeva all’epoca per gli abitanti di Trento. Una interessante considerazione sul carnevale trentino è contenuta anche nelle memorie del maggiore Karl Novottny, viennese di nascita, che a Trento prestò servizio tra il 1895 e il 1897. Novottny apprezzò l’irreprensibile atteggiamento degli uomini verso le donne che approfittavano delle libertà concesse dal carnevale: “Questo comportamento disinvolto ma assolutamente corretto – spiegava – è indubbiamente segno di una elevata cultura”. Precisando che, a differenza di quella maschile, la popolazione femminile aveva una spiccata simpatia per gli ufficiali austriaci, Novottny ricordava che il Carnevale rappresentava una delle poche occasioni in cui le fanciulle trentine, opportunamente mascherate, potevano unirsi liberamente ai tavoli degli ufficiali austriaci senza essere prese di mira dall’ostilità degli irredentisti.
Meno incantata la visione del capitano Lothar Semper, nativo di Innsbruck, il quale prestò servizio a Trento tra il 1913 e 1914, ormai a ridosso dello scoppio della prima guerra mondiale e in un clima di accesi nazionalismi.“Il carnevale a Trento era alquanto vivace – scrive – però non come in Dalmazia. E anche gli intrattenimenti presentavano il marchio della sobillazione nazionale. La mia unica occupazione in questo periodo era l’alquanto fiacco ballo al casino della società scientifico – militare”.