Sabato 26 febbraio, tre giorni dopo l’aggressione e l’invasione dell’Ucraina da parte dei militari russi, manifestazioni per la pace si sono tenute in molte città italiane. A Trento una veglia di preghiera in Cattedrale, a Bolzano una manifestazione di solidarietà con il popolo ucraino.
L’Italia è il primo paese d’Europa quanto a presenza di cittadini provenienti dall’Ucraina (235.953 al 1° gennaio 2021). L’immigrazione in Italia dalla nazione invasa nella notte tra il 23 e 24 febbraio 2022 dall’esercito russo, negli ultimi cinque anni è aumentata del 62%. Il dato è desunto dal report annuale del Ministero dell’Interno italiano.
In Trentino-Alto Adige gli ucraini che vivono e lavorano sono 4.880 (1.021 maschi e 3.366 femmine). L’80% sono donne e la maggior parte di loro (69%) è occupata nei servizi alla persona. In altre parole, con un brutto neologismo, fanno le “badanti” al servizio dei nostri vecchi.
Tra gli immigrati di origine ucraina la metà (48,5%) ha un livello di istruzione medio-alto (istruzione di II grado o diploma di laurea). Si tratta, come è facile capire e a dispetto del lavoro che queste persone svolgono, di una immigrazione importante, anche dal punto di vista culturale.
Ciascuno di noi conosce o ha amici tra gli immigrati/e dall’Ucraina. Molti hanno usufruito del loro servizio, della loro disponibilità. A loro hanno affidato gli ultimi anni dei genitori o dei nonni. E quando i nostri congiunti se ne sono andati, loro erano in prima fila a piangerne la scomparsa.
Ecco perché non possiamo non dirci tutti ucraini. Oggi siamo noi a com-patire, a soffrire con loro per l’aggressione dell’esercito di Putin a una nazione sovrana. A una popolazione che nulla ha fatto contro la vicina Russia, anzi molti parlano correttamente la lingua di Mosca avendola imparata a scuola e avendola praticata quotidianamente. Perché, soprattutto nella parte orientale dell’Ucraina, un Paese grande tre volte l’Italia, vive una popolazione mistilingue.
E pensare che i nostri nonni e bisnonni, nell’estate del 1914, erano stati mandati a combattere proprio in quel territorio oggi sotto attacco russo. La Galizia, con la città-fortezza di Leopoli, la parte orientale dell’impero di Vienna, comprendeva infatti una fetta dell’odierna Ucraina. Qui, ancor oggi ci sono i cimiteri dove sono stati sepolti anche i soldati trentini morti nei primi mesi della Grande guerra (estate 1914) che erano stati mandati a combattere contro le truppe dello Zar Nicola II (1868-1918). Costretti a una guerra che non capivano, in una terra che non conoscevano, contro popolazioni inermi che non avevano alcuna colpa se non quella di essere di là da una frontiera. Ecco perché oggi tornano d’attualità le parole che chiudono il romanzo di Joseph Roth “Radetzky march”, la marcia di Radetzky: “Alla frontiera non si vedevano né orsi, né lupi. Alla frontiera si vedeva soltanto il tramonto del mondo”.