Il 21 febbraio è la Giornata Nazionale del Braille, il sistema di scrittura in rilievo che consente ai ciechi di leggere scorrendo le pagine con i polpastrelli delle dita. Da trent’anni, a Borgo Valsugana, è operativa una stamperia Braille dell’Associazione Progresso Ciechi che lunedì 21 febbraio è stata intitolata a Lucia Guderzo. Nata a Borgo nel 1957, laureata in matematica, specializzata nella trascrizione dei libri in Braille, Lucia Guderzo fondò nel 1987 la Tiflosystem, azienda specializzata nei servizi alla disabilità. È morta nel 2011 dopo breve malattia.
A proposito di cecità, fra i molti personaggi che calcano la scena del mondo rurale trentino, la figura di Renato Costa, da Scurelle, è tra le più singolari. Non già perché faccia l’allevatore, quanto per la ragione che svolge questo mestiere pur essendo cieco. E il ritratto lo scrive, da par suo, Giuliano Beltrami il quale illumina il buio con le parole dell’intelligenza e dell’ironia (che dell’intelligenza è una delle più marcate espressioni).
Banalissimamente: dalle stalle alle stelle? Non c’era peggior esordio. Però la vicenda di Renato Costa, diventato da pochi mesi presidente di Latte Trento, ci ha strappato questa battuta. La stalla è la sua vita fin da ragazzo: prima sotto padrone, poi da proprietario. Lavora con un socio, anzi, per dirla con lui, “con un amico”: insieme hanno 140 capi in quel di Scurelle. Stalla e malga. Quest’ultima fino al 1989, perché poi è subentrato un problema: Renato (classe 1962) ha perso completamente la vista. La stalla è il suo mondo. Gli animali sono il suo mondo: “Metto una mano sulla mucca e la riconosco”. Quando gli chiedi come fa, scopri il significato di normalità, che significa rendere semplici anche le cose complesse. “Mi arrangio”, la mette giù facile Renato, che aggiunge: “Chiaro che i macchinari non li uso”. Chiaro. Un cieco col trattore… Però il rapporto con le manze… “Quando vado in malga, sentono la mia voce e vengono a trovarmi”. E racconta di un giorno in malga, che se n’è trovate attorno una trentina.
E quando gli chiedi com’è stato arrivare alla presidenza di una Cooperativa grossa come Latte Trento (duemila quintali di latte lavorati ogni giorno che Dio manda in terra) ti offre un’altra botta di semplicità: “A parte che ero già vicepresidente da nove anni e consigliere da quasi trenta, a parte tutto questo, fare il presidente non è faticoso con tutto l’apparato che ha la Cooperativa. Ho qualche difficoltà a spostarmi: oggi per esempio sono arrivato con la figlia. Altre volte mi portano amici. Però alla sera devo tornare, perché a mungere ci devo essere io”.
Bene. Finché si tratta di stare nella stalla, nessun problema, ma quando si esce? La società è preparata ad affrontare un disabile? “Nel mio mondo sì, perché mi conoscono da una vita”, risponde, “poi non è che giri molto. Sono vicepresidente dell’Unione allevatori di valle, sono nella società del biogas. Carico due malghe, e sono io il presidente. Direi che non ho problemi”.
La domanda, in realtà, ha un perché: la disabilità è vissuta ancora con un pizzico di diffidenza dal senso comune. “Sì – sdrammatizza Renato – c’è stato anche qualche socio timoroso che la Cooperativa dovesse sborsare chissà quanti soldi per pagarmi una macchina. Ma l’importante è non farci caso”. Ravana nella memoria e ricorda qualche altro caso. “Ma sì, quando ero un semplice consigliere, c’è stato chi ha detto: ‘Perché non sta a casa a farsi gli affari suoi?’. Alla fine io ci sono ancora, mentre altri hanno chiuso”. Stappata la bottiglia dei ricordi, il liquido continua a scorrere. “Quando ho costruito la stalla c’è stato chi ha brontolato: ‘Ma come? Danno i soldi ad un invalido civile?’. E c’è pure chi ha firmato petizioni”. Erano i tempi dell’assessore provinciale Gianni Bazzanella, quando la politica sapeva essere autorevole…
“Ecco, Bazzanella. Ha chiamato tutti gli allevatori. Sono andato anch’io per dire: sono il presunto invalido civile. Ho sottolineato: è vero che non vedo, ma non prendo una lira di pensione. Bazzanella ha chiesto: ‘Sei iscritto in prima?’. Alla risposta positiva, ha detto: ‘Allora sei a posto’. Punto fine. Fermiamoci qua. L’ignoranza riempie il mondo”.Vorremmo non fermarci, citando la legge notarile del 1913 che obbliga gli analfabeti ad avere due testimoni per gli atti. Ma quelli eran tempi di analfabetismo diffuso.
Oggi, con l’istruzione di massa, il cieco non fa la croce: firma. Si può pensare che davanti al notaio possa decidere se vuole o non vuole i testimoni? Sorride Renato, raccontando che “di solito il notaio ti dà le sue impiegate come testimoni. Uno che non aveva impiegate ha cominciato a dire: ‘E’ un problema. Come facciamo?’. Allora siamo andati nella sede della Cassa rurale di fronte a chiamare due impiegati. Per non dire delle elezioni. Devi avere la carta che acclara la cecità. Qualche problema per entrare in due nel seggio, ma è lo stesso. Lasciamo andare”. Che fa rima con sdrammatizzare.