Accadde esattamente cento anni dopo la morte del bambino Simone, a Trento, e per la quale furono accusati, torturati e uccisi i componenti di tre famiglie di ebrei askenaziti che vivevano nel quartiere tedesco della città (la zona di San Pietro e via del Suffragio). Ciò che racconta Renzo Fracalossi sposta l’attenzione sul ghetto di Venezia, il quartiere dove erano costretti a vivere rinchiusi, durante la notte, i veneziani di religione ebraica.
Domenica 25 maggio 1575. Mezzogiorno. Ghetto di Venezia. Un urlo proviene da una piccola abitazione. Inizia così il travaglio di un parto che si conclude cinque ore dopo con i primi vagiti di due gemelli. Ma c’è qualcosa che non va. Come mai quelle due creaturine sono unite per l’addome? Oggi li chiamiamo “gemelli siamesi”, ma per la Venezia di quel tempo si tratta di un mostro, che porta in sé il segno demoniaco e non può che essere frutto della “maledetta schiatta degli assassini del Figlio di Dio”, cioè gli ebrei.
Il mostro deve essere soppresso al più presto, non solo perché appare ripugnante agli sguardi della società di allora, ma anche per evitare che la sua presenza complichi ulteriormente la già difficile esistenza della comunità ebraica. Almeno così la pensano alcuni cristiani, ma non la comunità ebraica che infatti si oppone, attraverso le dichiarazioni dei suoi rabbini, all’idea di eliminare i due piccoli. La vita viene prima di tutto, insegna la Torah, anche quando non è perfetta. La situazione dei due gemelli è però talmente precaria che essi muoiono il 4 giugno successivo di morte naturale.
La vicenda potrebbe chiudersi così, se il padre dei due gemelli non volesse lucrare su quella mostruosità, esponendo, dietro pagamento di un obolo, i cadaverini alla morbosità pubblica. La cosa è talmente aberrante che il rabbinato veneziano emana uno “chèren”, cioè un anatema, vale a dire una sorta di maledizione e scomunica, contro il padre, costringendolo ad abbandonare la comunità e il ghetto.
Come noto, il “ghetto” è quello specifico quartiere di Venezia dove gli ebrei, per la prima volta nella loro storia, vengono obbligati a risiedere fin dal 1516, a seguito della decisione del “Consiglio dei Pregadi” – 133 voti a favore e 44 contrari – cioè un organo costituzionale della Serenissima Repubblica che si occupa di politica estera e di politiche sociali e che delibera attraverso meccanismi decisionali ben più rapidi e snelli di quelli dell’organo sovraordinato e cioè il “Maggior Consiglio”.
Agli albori del XVI secolo, gli ebrei veneziani hanno raggiunto un punto di straordinario fulgore economico: traffici con l’Oriente, agevolati dal recente arrivo in città di ebrei sefarditi fuggiti dalla Spagna, i quali hanno rapporti stretti con i mercati mediorientali; ricchezze generate dalla diffusione del prestito ad usura e dall’organizzazione delle prime banche; capacità di sviluppo commerciale anche con il mondo slavo, in virtù dei contatti con le comunità ebraiche ungheresi e boeme ed infine una nuova ondata di arrivi, quando gli sconvolgimenti della guerra della Lega di Cambrai portano molti ebrei a riversarsi dalla terraferma in laguna, hanno creato le condizioni per una crescita ed un arricchimento diffuso dell’intera comunità presente nella città di San Marco. Sono gli anni in cui la ricchezza consente di dare avvio alla costruzione di varie sinagoghe: una per ogni gruppo di omogenea provenienza. Nascono così la “Scòla Granda Todesca” e la “Scòla Canton”, entrambe di rito ashkenazita; la “Scòla Levantina” e la “Scòla spagnola”, di rito sefardita e, infine la “Scòla italiana” che si rifà al rito italiano.
La Serenissima concede via via agli ebrei l’esercizio della medicina, oltre a quello storico della “strazzeria” cioè la compravendita di merce usata ed a quello del prestito ad interesse, ma anche attività di tintoria, di tessitura, di stampa ed altri privilegi commerciali e fiscali che destano crescenti ondate di preoccupazione ed invidia. Certo, in base alle ancora vigenti disposizioni del IV Concilio Lateranense, convocato da Papa Innocenzo III il 12 aprile 1213, gli ebrei di Venezia, al pari di tutti i loro correligionari d’Europa, debbono esibire segni distintivi, cuciti sugli abiti, della loro appartenenza: una lettera O gialla, sostituita poi nel 1496 con il berretto giallo e talvolta con il “privilegio del cappel nero” riservato ai medici israeliti come David de Pomis o Jacob Mantino, o ancora Marco Calò.
Nell’anno 1576, cioè dodici mesi dopo la vicenda dei gemelli siamesi, esce una pubblicazione che scatena le più orride fantasie su quel parto gemellare. Già la “vox populi” indica nei due gemelli uniti per l’addome “il mostro del ghetto”, anche rifacendosi ad Anfesibena, un serpente mitologico caratterizzato da due teste delle quali una al posto della coda. Ma non basta. A quella pubblicazione fa seguito una sorta di dibattito “scientifico” nutrito dalle dichiarazioni di alcuni medici veneziani non ebrei che dichiarano come gli “errori di natura”, come quello in esame, siano dovuti all’atto procreativo in sé dei figli d’Israele ed alla debolezza del seme maschile giudaico. Altri confutano questa tesi affermando, al contrario, che la mostruosità è frutto di semi maschili troppo robusti immessi a forza ed a seguito di violenza nel corpo femminile ed altri ancora si dilungano in speculazioni filosofiche ed astronomiche, imputando la responsabilità della malformazione ad uno strano allineamento di alcuni pianeti con la luna. Tutti però concordano sul fatto che quella nascita, al pari di tutte quelle di individui deformi e disabili, sia comunque segno di sventura e presagio di disgrazie la cui responsabilità è ascrivibile ai giudèi ed ai loro malefici e, per tali ragioni, i neonati malformati – e non solo quindi i due gemelli in esame, peraltro già defunti – dovrebbero essere subito soppressi.
Prende così corpo l’equazione “ebreo – mostro” che alimenta nuovi ed ulteriori pregiudizi antisemiti e che troverà poi ampio spazio nell’ideologia nazifascista e nella volgare “letteratura pseudoscientifica” di testate come “Der Stürmer” di Julius Streicher in Germania o “La Difesa della razza” di Telesio Interlandi in Italia. Con ardite teorie mediche e basandosi anche su taluni studi di fisiognomica di Cesare Lombroso, l’assimilazione fra gli ebrei e la mostruosità si fa strada rapidamente nell’opinione pubblica dei regimi totalitari europei del XX secolo, creando così le premesse utili a persecuzioni sempre più violente e tragiche, che culminano poi nello sterminio del popolo ebraico del quale, ad ogni 27 gennaio, si celebra il ricordo.Dopo la morte del Papa Pio V (1504 – 1572), gli attriti fra la Serenissima Repubblica ed il papato crescono continuamente e si riflettono anche sulle attività dell’Inquisizione, al punto da rendere quella veneziana molto meno opprimente ed invasiva di altre che agiscono in tutte le “cattolicissime” contrade europee, mentre il ghetto rimane un portentoso centro di produzione culturale, grazie anche al salotto letterario di Sara Copio Sullam o alla pubblicazione di opere fondamentali del pensiero ebraico come la “Historia de’ riti Hebraici” del famosissimo rabbino Leone da Modena o il “Discorso sovra lo stato de gl’Hebrei” del suo allievo Simone Luzzato. Ciò però nulla toglie al portato di quel tragico parto della primavera 1575, dal quale discende l’idea stessa dell’ebreo come incarnazione del male, attraverso la rappresentazione mostruosa ed esagerata dello stesso, sulla quale si fonda larga parte della propaganda antisemita dei secoli successivi.