Mentre nella Russia degli Zar stavano per essere partoriti i falsi “Protocolli del Savi di Sion”, nella seconda metà del XIX secolo altri due episodi occuparono la cronaca quali cartine di tornasole dell’antisemitismo europeo: il “caso Mortara”, il bambino ebreo battezzato e strappato alla famiglia e “l’affaire Dreyfus”, le peripezie politico-giudiziarie del capitano francese accusato ingiustamente di spionaggio in favore della Prussia di Bismarck. I due episodi sono ricostruiti da Renzo Fracalossi in questa quindicesima puntata sull’origine e l’esplosione dell’antisemitismo in Europa.
Edgardo Levi Mortara (1851-1940) nasce a Bologna, nella famiglia ebrea di Simone (detto Mòmolo) e di sua moglie Marianna Padovani, il 27 agosto 1851. All’insaputa dei genitori ed all’età di circa un anno, il piccolo Edgardo viene battezzato da una cameriera cattolica che lavora in casa e che, vedendo il bimbo ammalato e reputandolo in punto di morte, decide di impartire il sacramento per non farlo finire nel Limbo. A quel punto Edgardo perde ogni carattere ebraico e diventa, davanti alla legge pontificia che allora governa la città felsinea, un cristiano-cattolico e, in quanto tale, non può essere allevato da una famiglia ebrea. È l’inizio di un dramma spaventoso e che offre un chiaro profilo dell’antisemitismo cattolico del tempo.
La sera del 28 giugno 1858 i gendarmi del papa Pio IX si presentano a casa Mortara per prelevare il piccolo e portarlo a Roma, dove lo attende un destino fatto di conventi, clausure e costrizioni. Tradotto presso la “Casa dei Catecumeni”, istituzione voluta ad uso degli ebrei convertiti e mantenuta dalle tasse imposte alle Sinagoghe di Roma, al piccolo viene proibito ogni contatto con la sua famiglia. È una vicenda straziante: da un lato il bambino che cerca i suoi genitori e fratelli e dall’altro la madre e il padre disperati per una “rapimento” contro il quale non sembra possibile far nulla.
La vicenda assume, in breve, carattere europeo e diventa di pubblico dominio, creando forti movimenti di opinione che premono sul Pontefice romano per la restituzione del piccolo alla sua legittima famiglia. “Non possumus!” (Non possiamo) è la tranciante risposta di papa Pio IX e così il bambino viene allevato a Roma e, nel 1867, entra nel noviziato dei canonici lateranensi. Ormai Edgardo è stato manipolato, rifiuta ogni contatto con la sua famiglia d’origine e si oppone a qualsiasi soluzione mirata a ripristinare lo stato naturale della questione. All’età di 23 anni viene ordinato sacerdote in Francia, dopo un lungo soggiorno nel Tirolo italiano – ovvero in Trentino – e poi in Germania, dove fallisce nel compito affidatogli di convertire le famiglie ebraiche di Breslau (Breslavia). Nel 1897 si reca negli U.S.A. per evangelizzare gli ebrei americani, ma i suoi atteggiamenti violenti e fanatici mettono in imbarazzo la Santa Sede che lo richiama in Italia e lo destina alla vita monastica fino alla morte, avvenuta a Liegi nel 1940, pochi mesi prima dell’invasione nazista del Belgio.
Edgardo Mortara diventa un simbolo: quello dell’antisemitismo più cieco e brutale, figlio di una dottrina contorta e c spesso contraddittoria; quello delle opposizioni anticlericali che fiancheggiano le politiche espansionistiche dei Savoia in Italia, con l’appoggio dei governi inglese e francese; quello delle terribili conseguenze della manipolazione psicologica su di un bimbo e, infine, quello dell’assenza di ogni rispetto dei diritti umani.
Da Sedan all’affaire Dreyfus – Quando Edgardo Levi Mortara ha ormai vent’anni, la Francia subisce una sconfitta militare di enormi proporzioni a Sedan nel conflitto che la vede opposta ai prussiani di Bismarck e all’audacia di von Moltke, capo di stato maggiore dell’esercito del Kaiser. Quella inattesa sconfitta genera un clima pesante sul suolo francese; un clima carico di sospetti e teso alla ricerca delle immancabili colpe. Nessuno però prova ad indagare le cause del disastro dentro le debolezze della Francia. Si cerca solo un colpevole, qualcuno che, per forza, deve aver tradito.
Ben presto le calunnie, da sempre primo stadio dell’antisemitismo, si diffondono e si orientano verso un giovane capitano dello stato maggiore francese, nato a Mulhouse sul confine fra Francia e Germania e quindi padrone di entrambe le lingue, ma soprattutto ebreo: il capitano Alfred Dreyfus (1859-1935). Ritenuto estensore di una lettera contenente importanti informazioni militari ed indirizzata ad un ufficiale prussiano, Dreyfus viene processato il 22 dicembre 1894 dal tribunale militare e, dopo un dubbio dibattito, giudicato colpevole di “alto tradimento”. Giustificazioni e prove a discarico, come spesso accade in simili frangenti, non servono a nulla. Dreyfus viene degradato, espulso dall’esercito e imprigionato a vita nell’inferno della Guyana francese.
Le incongruenze però sono tali che il dibattito non si sopisce. Anzi, il giornale “L’ Aurore” ospita un articolo di Emile Zola, sotto il titolo: “J’accuse”, per denunciare l’arbitrio e la manipolazione delle prove e che, ben presto fa il giro del mondo. Il caso viene quindi riaperto nel 1899. Con la revisione del processo le accuse si dimostrano infondate, ma la corte militare conferma la colpevolezza trasformando la pena dell’ergastolo in dieci anni di carcere. Pochi giorni dopo, la grazia presidenziale salva Dreyfuss dall’orrore dell’Isola del Diavolo. Nel frattempo è stato individuato il vero colpevole in un altro ufficiale di stato maggiore, fortemente compromesso per debiti: il maggiore Ferdinand Walsin Esterhazy.
Dreyfuss, tuttavia, dovrà attendere il luglio del 1906 per ottenere un verdetto di totale e completa riabilitazione da parte della giustizia francese, con il conseguente annullamento delle sentenze precedenti e il reintegro nei gradi militari.
La vicenda colpisce soprattutto per la virulenza dell’antisemitismo che l’accompagna. La stampa della destra nazionalista non smette mai di additare in Dreyfus l’esponente di una sorta di “ebraizzazione” dell’esercito francese ed è proprio, secondo alcuni, l’origine ebraica a spingere Dreyfus al supposto tradimento. In questo tragico “errore” giudiziario si somma buona parte dei pregiudizi antisemiti che accompagnano da sempre la storia francese, al pari di quella continentale. La semina secolare fatta nelle piazze, dai pulpiti delle chiese cattoliche e nelle università europee ha additato gli ebrei come un popolo di “assassini di Dio”; di “avvocati del demonio” di “serpenti la cui immagine è Giuda (il traditore per eccellenza) e la cui preghiera è un raglio d’asino (Eusebio Girolamo, 347 – 420 d.C., Padre della Chiesa e poi santo) e di “banditi perfidi, distruttori, dissoluti, simili ai maiali” (Giovanni Crisostomo, 344 – 407 d.C., Dottore della Chiesa e poi santo).
Si tratta di una “buona” semina; una semina che ha dato i suoi frutti più e più volte e che attende solo di maturare ulteriormente, negli anni successivi alla morte di Dreyfus nel 1935, su alberi che si chiamano Auschwitz, Majdanek, Sobibor, Treblinka, Belzec e altri. Molti altri.
(15 – continua – Le precedenti puntate sono state pubblicate in rete il 22, 27 settembre; 5, 11, 21, 27 ottobre; 6, 12, 21 novembre, 9, 19 e 26 dicembre 2021; 1 e 14 gennaio 2022)