Nella notte del 3 gennaio 2022, a Bolzano, se ne è andato il giornalista Silvano Morandi, un caro collega (chiamato “penna bianca” per il ciuffo di capelli candidi) già cronista della Rai nell’ultimo scorcio del secondo millennio. Lui, che di anni ne avrebbe compiuti 91 il prossimo 1° febbraio, fu uno dei pionieri del telegiornale regionale che prese il via il 15 dicembre 1979. Silvano Morandi aveva mosso i primi passi da “apprendista stregone” alla redazione di Riva del Garda del giornale “l’Adige”. Lo scorso anno, il giornalista Franco Sitton, altro volto “storico” della Rai regionale, lo aveva ricordato così sulle pagine dei giornali “Alto Adige” di Bolzano e “Adige” di Trento:
È un gran bel traguardo della vita arrivare a 90 anni. Per Silvano Morandi, giornalista di lungo corso nel mondo della carta stampata e della Rai, è quasi una «Pasqua di resurrezione». Oggi, primo febbraio, festa di compleanno fra le mura di casa dove è rientrato da pochi giorni.
Oltre due mesi di degenza in ospedale e clinica per una dura lotta contro il Covid-19, una lotta vinta, dice lui, «grazie alle cure eccezionali dei medici, all’assistenza e all’impegno di quelle infermiere che non esito a definire le mie eroine». Per la verità il calvario di Silvano Morandi era iniziato oltre tre anni fa, quando era andato a dare l’ultimo saluto nella chiesa di Cristo Re a Paolo Pasi, un collega della Rai colpito troppo presto da un atroce destino. Tornato a casa, si era sentito venire meno le forze, non si reggeva più in piedi. Un male misterioso, forse un ictus, lo aveva colpito agli arti inferiori. È incredibile come il destino possa accanirsi anche con chi – chiusa la lunga vita professionale – si dedica con spirito di sacrificio al volontariato, all’assistenza agli anziani, a leggere i giornali nelle case di riposo, a dare una mano preziosa ai «Donatori di musica» nel reparto di oncologia del San Maurizio.
Mesi di cure fra ospedale e clinica, poi la lunga riabilitazione con lievi miglioramenti di settimana in settimana, di giorno in giorno, per poter abbandonare la sedia a rotelle e muoversi con il girello da una stanza all’altra o salire gli scalini con una mano sulla ringhiera e l’altra sul bastone. Si muoveva già fuori di casa l’«invalido Silvano», come quella domenica del 22 novembre 2020, quando la popolazione di Bolzano era stata invitata allo screening di massa. Tampone negativo alla scuola Rosmini. Un sospiro di sollievo. Purtroppo un sollievo di poche ore. Verso la sera di quel 22 novembre il respiro diventò lento quasi affannoso. Non c’era tempo da perdere. In autoambulanza all’ospedale: la prima diagnosi indicava insufficienza respiratoria e polmonite, brutti sintomi con i tempi che corrono. Uno, due, tre, quattro tamponi nel reparto di medicina: tutti negativi. «Forse domani torno a casa», così il messaggio telegrafico su whatsapp. Era la fine di novembre. Il quinto tampone, prima delle dimissioni, diede esito positivo. Come accade ad altri pazienti, il contagio può avvenire anche nelle corsie ospedaliere. Cambio di reparto, cambio di cure per combattere oltre ai mali cronici quel maledetto Covid-19. Visite proibite non solo per gli amici, ma anche per i familiari più stretti. Ci vuole una grande forza morale, ci vuole anche coraggio e voglia di vivere a tutti i costi, per affrontare il dramma della solitudine in quelle settimane, in quei giorni, in quelle ore che non passano mai. Si accende e si spegne a giorni alterni la luce della speranza di tornare a casa in base all’esito dei tamponi: prima negativo, poi di nuovo positivo. «Nemmeno in tempo di guerra un Natale così brutto. Per fortuna sono arrivate cinque infermiere bardate come extraterrestri a farmi gli auguri. Auguri speciali anche perché ero il… meno giovane del reparto alla soglia dei novant’anni».
Poi altri giorni di solitudine al San Maurizio e in gennaio il trasferimento alla clinica Bonvicini. Giorni in cui Silvano Morandi (si era battezzato «Penna Bianca» per quel ciuffo candido sulla fronte) ha ripercorso le tappe della sua vita, il suo paese d’origine Tremosine, un borgo abbarbicato alla montagna con vista sul lago di Garda, la gavetta del cronista di periferia a Riva del Garda, i primi «scoop» (gli incontri con Arturo Toscanini e Werner von Braun, quello dei missili) dieci anni di precariato prima di diventare giornalista professionista. Dalla redazione di Trento de «L’Adige» a guidare nell’ormai lontano 1970 la redazione di Bolzano. In forma quasi clandestina la creazione della prima radio privata con gli amici Paolo Pasi e Waldimaro Fiorentino. Poi la crisi del quotidiano, una nuova esperienza professionale dal giornalismo scritto al giornalismo parlato, da «L’Adige» alla Rai.
Il video ti da indubbiamente popolarità. Un po’ di vanità non guasta, ma Silvano Morandi ha sempre fatto professione di modestia. Gli volevano bene i colleghi, lo adoravano i vecchietti della casa di riposo di via della Roggia dove andava a leggere i giornali. «Quali notizie interessano agli ospiti?» gli chiesi un giorno. E lui mi lasciò di sasso: «L’oroscopo». Era come dare un calcio alla nostra fatica di vecchi cronisti impegnati ogni giorno a caccia notizie.