Poi venne il mese di dicembre, il mese dei portatori di doni. Nell’anno secondo di Covid-19 talune manifestazioni legate a S. Nicolò e S. Lucia sono state annullate o rinviate a tempi propizi. Tuttavia, la tradizione del regalo di fine anno, oggi delegata soprattutto al panciuto Babbo Natale, resiste soprattutto nelle valli. A tale proposito non sarà inutile, crediamo, riaprire i cassetti della memoria e rispolverare i vecchi appunti della tradizione trentina.
Le notti dell’attesa. Si cominciava il 6 dicembre, con S. Nicolò (da Bari), il Sancta Klaus dell’area tedesca, ancora celebrato nelle valli dolomitiche, fino al 1816 soggette alla giurisdizione ecclesiastica di Bressanone. E pure nel Primiero-Vanoi che fu territorio della contea diocesana di Feltre sino al 1786.
Il 13 dicembre ricorre S. Lucia, la giovane donna di Siracusa, martire cristiana del III secolo, sotto le persecuzioni di Diocleziano, alla quale furono cavati gli occhi. Si festeggia, in Sicilia, sua terra d’origine; a Venezia dove, nella chiesa di S. Geremia al Cannaregio, è coservato quello che è creduto il suo cadavere; in alcune province lombarde e in tutta l’Italia del Nord-est. Poiché la ricorrenza cade nel mese senza luce, la martire siracusana è celebrata anche in Scandinavia. L’una e l’altra ricorrenza erano (lo sono ancora ma la secolarizzazione ha sterilizzato il rito) occasione per scambio di doni. Per i bambini soprattutto. Molto, se non tutto, è stato delegato al Natale “pagano”, quello del consumismo, tant’è che il “Gesù bambino” della tradizione cristiana è stato sostituito dal panciuto “Babbo natale” della Coca Cola, la bibita americana che lo usò per la pubblicità fin dal 1931.
Lo scambio dei doni e degli auguri, sul finire dell’anno, rimanda ai riti della Roma pagana che celebrava il “Dies natalis solis invicti”, il solstizio d’inverno, con la festa del giorno della nascita del sole invincibile. Gli stessi romani ne avevano importato il canovaccio da Egitto e Siria dove ben prima si celebrava una vergine che aveva partorito il sole. Per i cristiani fu naturale identificarne la simbologia con Gesù Cristo. Nel 272 l’imperatote romano Aurealiano (214-275), sconfitta Zenobia, regina di Palmira (città della Siria), era tornato a Roma portando con sè i sacerdoti del “dio Sol Invictus” al quale aveva attribuito la vittoria. Li aveva collocati sul colle del Quirinale dove, per loro, aveva fabbricato un Tempio. In tal modo il dio Sole divenne in quel periodo la più importante divinità dell’impero, la cui festa fu fatta coincidere con le celebrazioni dei Saturnalia, i giorni dedicati al dio Saturno, fissati da Domiziano (51-96 d. C.) dal 17 al 23 dicembre.
Per quanto riguarda San Nicolò (6 dicembre) si fa festa in val di Fassa, in taluni paesi della val di Fiemme, in val dei Mocheni e pure nel Primiero (da Caoria a Transacqua, Mezzano, Imer fino a San Martino di Castrozza).
San Nicolò è il titolare di 14 parrocchie della diocesi di Trento: Carano di Fiemme, Carisolo, Castelfondo, Centa S. Nicolò, Chizzola di Ala, Fai della Paganella, Ranzo di Vezzano, Sevignano di Segonzano, Termenago, Terzolas, Terragnolo, Toss di Ton, Ville di Giovo, Vò Sinistro d’Avio.
Fino alla metà del XIX secolo era pure invocato quale protettore da una categoria di lavoratori ormai scomparsa: gli zatterieri, coloro cioè che conducevano le zattere lungo l’Adige, da Bronzolo a Verona. La “Confraternita degli zattieri” di Sacco, a Rovereto, lo teneva in grande considerazione. Un tempo, per la festa del patrono della loro comunità, il 6 dicembre i bambini restavano a casa da scuola. A Carano, per esempio, nel giorno della sagra le donne preparavano i “Caronzièi”, ravioloni di magro (il ripieno è un impasto di patate, cipolle arrostite, aglio e spezie). S. Nicolò si festeggia(va) pure a Cavalese, Varena, Molina. A Cavalese, la tradizione fu recuperata negli anni Ottanta del XX secolo, dalla maestra Miriam Pederiva la quale aveva fondato il gruppo folcloristico “El Salvanèl”.
Negli ultimi anni la festa è stata spostata alla domenica prossima al 6 dicembre. A Carisolo arriva a cavallo (ma va bene anche un asino) un personaggio vestito da vescovo il quale tiene un predicozzo ai bambini. Seguono doni. A dispetto del toponimo “S. Nicolò”, a Centa la sagra si festeggia nel giorno dell’Assunta (15 agosto). Di solito, per S. Nicolò la SAT provvede pacchi dono per i bambini. In casa si attende l’arrivo dei doni da S. Lucia (13 dicembre). A Ville di Giovo invece si fa festa la seconda domenica di Avvento. Nel pomeriggio, un uomo vestito da S. Nicolò, giunge “dai confini del paese” e porta doni ai più piccoli.
In Val di Sole, a Termenago la celebrazione per S. Nicolò fu recuperata nel 1999. Anche qui dolci e balocchi per gli scolari e pure per i più grandicelli. A Terzolàs, invece, la sagra è stata spostata la seconda domenica di luglio (S. Cuore). S. Nicolò è stato confinato nella nicchia che ne ospita la statua fin dal XV secolo. Mario Brusacoram (1932), che fu parroco qui dal 1971 al 1994, ai primi di dicembre toglieva la statua dalla nicchia, in alto, la poneva in centro alla chiesa e celebrava un triduo di orazioni. Un anno, la statua di legno cadde di mano all’aiutante che si trovava su una scala e finì in faccia al parroco il quale, con ecchimosi agli occhi e lesioni al setto nasale, all’omelia del giorno del patrono esordì così: “A mi ‘l regàl, S. Nicolò ‘l me l’ha già fat”.
A Sevignano, in Val di Cembra, un S. Nicolò a grandezza naturale è stato scolpito da Egidio Petri nel tronco di un larice, sbrecciato da un fulmine e destinato ad essere abbattuto. Fu tagliata la parte sommitale, mentre la parte bassa del tronco, lasciata con le radici nel terreno, fu trasformata in una sorta di capitello in onore del patrono del paese.
A Fai della Paganella, la sera del 5 dicembre i bambini fanno fracasso con “bandoni” (bidoni di latta) ed altri oggetti rumorosi, poi filano a letto perché al mattino, in cucina, troveranno i doni di S. Nicolò. Sull’altopiano tuttavia non si fa la sagra poiché la festa comunitaria è spostata all’ultima domenica di agosto. Quel giorno vengono portate in porcessione le “reliquie” di S. Valentino. E’ una festa votiva molto sentita dalla popolazione.
A Ranzo di Vezzano, S. Nicolò si celebra la domenica dopo il 6 dicembre. A Vò Sinistro d’Avio, il 5 dicembre i bambini passano coi campanelli per le strade del paese e la gente getta loro dalle finestre caramelle, cioccolatini, biscotti. L’arrivo dei doni è rinviato al 13 dicembre quando, complice la ricorrenza di S. Lucia, un barbuto Babbo Natale che sintetizza S. Nicolò e tutti gli appuntamenti col regalo (Befana compresa), distribuisce doni e buoni consigli.
Sino alla fine degli anni Trenta del XX secolo, a Palù dei Mocheni arrivava S. Nicolò accompagnato da un corteo di diavoli, Klabau. La sera del 5 dicembre, a Palù si faceva l’Avviso, con catene, padelle ed altri oggetti di metallo battuti da un gruppo di giovani. In tal modo spaventavano i più piccoli i quali correvano a letto in attesa dei doni. Venuto meno l’Avviso, oggi ai più piccoli sono portati doni da tre personaggi mascherati: S. Nicolò, l’Angelo e il diavolo (Taivel).
In Val di Fassa, il Krampus precede l’Angelo, che ha il volto coperto e porta sulle spalle una gerla carica di doni, e il vescovo Nikolaus. Quest’ultimo interroga i bambini, chiede loro se sono stati buoni e bravi mentre, in un angolo, il Krampus urla e strepita perché sa che sta perdendo le sue vittime. Dopo aver invitato i piccoli ad inginocchiarsi e a dire orazioni, il vescovo toglie dalla gerla dell’Angelo alcuni doni, e riparte per una nuova meta. In Val di Fassa, scrive l’antropomusicologo Renato Morelli (1950) “da pedagogia del premio e della punizione – liturgia della paura e del sollievo – il rito di San Nicolò si è mutato in una celebrazione della comunità e della famiglia. […] S. Nicolò, da giustiziere inappellabile, si è trasformato in un domestico Babbo Natale”.
Per molti anni, a Sorte di Moena, i paramenti di S. Nicolò sono stati indossati dall’albergatore Renzo Chiocchetti. Il “Nacio”, già campione di sci da fondo, se ne è andato a 74 anni il 13 febbraio 2020. È rimasta la vedova, Giuliana Zeni, a organizzare la distribuzione di centinaia di pacchi dono ai bambini di Moena e dintorni. “Quest’anno – ha dichiarato a www.trentinonuovo.it – non si è fatto nulla a causa del Covid. Torneremo, spero, il 5 dicembre del 2022”.
In alcune comunità della Valsugana si delega ancora S. Nicolò alla distribuzione dei doni ai bambini. In altre, tale compito è in condominio con S. Lucia. In quel caso a S. Nicolò spettano i doni per i maschi, alla patrona dei ciechi i regali per le bambine. Avviene anche in varie parrocchie, le quali, pur non annoverando S. Nicolò tra i compatroni hanno conservato la tradizione feltrina: Borgo, Roncegno e i quaranta masi sulla montagna, Ronchi. In questi paesi della media Valsugana vi potrebbe essere stata anche l’influenza dei minatori tedeschi che operarono in val dei Mocheni e che colonizzarono anche taluni masi di Roncegno. A Borgo Valsugana, il dominio dei Welsperg (1462-1632), originari della val Pusteria, potrebbe aver mantenuto la tradizione del Sancta Klaus.
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