Nel pieno di una nuova ondata di pandemia da Sars-Covid2, con i no-vax sempre più trinariciuti a danneggiare sé stessi (se fosse solo questo sarebbero cavoli loro) e pure chi si è tri-vaccinato, coloro che lo scorso anno erano osannati come gli “angeli della sanità” oggi hanno perso le ali. Il mondo è abituato da millenni agli “osanna” e ai “crucifige”, per cui ci sarebbe poco da stupirsi. Se non fosse che, dimenticate le promesse di un disegno di sanità condivisa, chi occupa la stanza dei bottoni oggi fa sfoggio di tirchieria. Nella ricerca di idee convincenti, di persone con idee credibili, perché anche fuori dal pollaio ci sono pennuti che pensano. Magari non saranno delle aquile ma un barlume di intelligenza ce l’hanno pure loro. Certo, il confronto di solito si fa per competenze e chiedere alle rape di trasformarsi in aragoste è come chiedere a certi rappresentanti eletti dal popolo sovrano di essere migliori del popolo che li ha democraticamente eletti.
Ma c’è anche una taccagneria pelosa nei confronti di chi lavora nel pubblico impiego, di coloro cioè che, sia pure garantiti dal posto di lavoro garantito, attendono da anni il rinnovo di un contratto. Migliorativo, possibilmente. E chi più degli “angeli” osannati giusto un anno fa meriterebbe un rinnovo contrattuale non micragnoso? Il fatto è che la modesta classe politica che vola sul Trentino è più avvezza ai gazebo, come un tempo la sinistra dei tazebao, che a un produttivo confronto sindacale.
Dopo aver smantellato le comunità territoriali, commissariate in attesa di una ridefinizione istituzionale, si vuole potenziare (giusto) la periferia sanitaria, gli ospedali di zona, col metodo (sbagliato) dei piedi nel piatto. Secondo l’ultima geniale pensata, i dirigenti medici di Trento e Rovereto potranno essere spostati alla bisogna negli ospedali di periferia. “Ad nutum”, allontanati col solo cenno della mano e soprattutto senza spiegazioni, come facevano i principi vescovi del medioevo, anche trentino, quando i “petenti” indispettivano i potenti. Troppo facile potenziare la periferia, dove fioriscono i voti elettorali, dopo che la pesca con gli ski pass non ha preso all’amo alcun sanitario del centro. Perché con questi incentivi e con la prospettiva di far la fine della pallina del flipper, i medici di fuori provincia declinano l’offerta e restano sotto Borghetto. Da tempo, il comparto della sanità trentina non è più attrattivo, ammesso che lo possa diventare con la distribuzione di primariati legati alla neonata facoltà universitaria trentina di medicina e chirurgia.
L’esempio più eclatante lo ha fornito la battaglia del comitato del “parto per Fiemme” che ha portato alla riapertura del reparto di ostetricia il 1. dicembre 2018. A Trento hanno forzato persino le disposizioni ministeriali pur di dotarlo di “due nuove sale parto, sei ginecologi, cinque pediatri, sei anestesisti in organico, tutti in guardia attiva 24 ore su 24 e 7 giorni su 7. La sala operatoria è tenuta a disposizione per le emergenze ostetriche 24 ore su 24” (dal sito web www.partoperfiemme.com). Tutto bene, tutto bello, fiocchi azzurri e fiocchi rosa. Pochi, in verità, e comunque sotto gli standard nazionali previsti per le strutture ospedaliere pubbliche. Ma a che prezzo? Ecco, per quella operazione ante-segnana di altre (si veda il concertone del 20 maggio prossimo), si sono spesi centinaia di migliaia di euro, con diarie pingui per quei sanitari, liberi professionisti e pensionati, saliti a far la guardia alle cicogne di Fiemme e Fassa.
E per far spazio ai “nascituri a chilometro zero” si sono limitati e si comprimono gli interventi di alta specializzazione medico-chirurgica della traumatologia. Eccellenza della quale le aquile di piazza Dante potrebbero menar vanto nei consessi internazionali, posto che la casistica, soprattutto in stagione di sci, è ben alimentata. Invece, l’ottima équipe del dott. Marco Molinari e del suo eccellente reparto, è costretta a fare lo slalom fra gli interventi di routine della chirurgia e le emergenze dell’ostetricia. Che magari non ci saranno mai, ma, come nel “Deserto dei Tartari” di Dino Buzzati, la fortezza Bastiani dev’essere pronta all’evento. E il sottotenente Drogo: in attesa, con sfinimento.
Voci di corridoio ospedaliero dicono che il direttore della traumatologia abbia chiesto interventi all’Azienda sanitaria per ristabilire le priorità. Anche perché la stagione dello sci è cominciata, il Covid ha ripreso a mordere e la sala operatoria a scavalco costringe a rinviare gli interventi di elezione e non solo. Le mail di sollecito non hanno avuto riscontro e, complice l’emergenza pandemica, forse mai lo avranno.
Intanto, favorite da un insignificante controllo dei “guardacaccia”, le aquile continuano a volare basso ma indisturbate. Agli “angeli” hanno tolto il titolo e tarpato anche le ali.