Parte la campagna d’inverno. La Provincia ha chiamato a raccolta i sanitari “di buona volontà” perché in cinque giorni o si vaccinano in centomila o si rischia un altro Natale blindato. A proposito: si può ancora pronunciare “Natale”? Perché i burocrati di Bruxelles, sempre pronti al “politically correct” hanno detto che no, meglio palare di “festività di fine anno”, perché il Natale è quello cristiano e chi pratica altre confessioni religiose o non ne pratica alcuna, potrebbe aversene a male. Si sono alzate le barricate verbali e subito, nei palazzi della Comunità Europea si è fatta marcia indietro. Comunque sia: per salvare il Natale la provincia autonoma di Trento schiera (vorrebbe schierare) una task force che in italiano si dovrebbe tradurre con “gruppo di esperti per fronteggiare una particolare situazione”. Detto all’inglese è un brutto sostantivo: perché significa un gruppo creato apposta per una azione di guerra. È vero che siamo in guerra con il Covid ma non guasterebbe usare la lingua di Dante, almeno nel VII anniversario della morte del sommo poeta.
La chiamata a raccolta di medici e sanitari, stremati dopo quasi due anni in trincea, avrebbe dovuto essere preceduta da un qualche riconoscimento per ciò che hanno fatto. Finora solo pacche sulle spalle e medaglie di cartone appuntate on line nelle quotidiane conferenze stampa via web. Dopo aver elargito sostanziose prebende ai vertici della sanità (un cadeau da ventimila euro al dott. Ferro, figura d’acciaio nel tourbillon pandemico; aumento stipendiale di 12.900 euro annui al dott. Ruscitti), qualche spicciolo giù per li rami alle migliaia di camici bianchi e verdi impegnati h24 per salvare le nostre vite, no? In verità, con grande prodigalità si sono dati 500 euro, una tantum, al personale impegnato negli affollati reparti Covid. Ma ci si è dimenticati di chi opera nei laboratori e nella microbiologia degli ospedali, impegnati giorno e notte a tracciare tamponi e tamponare la carenza di personale.
Per soprammercato, l’ospedale civile di Trento ha 12 (dodici) primari facenti funzioni. I quali, gravati di tutte le responsabilità dell’incarico pro tempore, ricevono in busta paga una indennità di mansione di circa 250 euro lordi. Con la certezza che al momento della nomina del Direttore del reparto loro saranno superati da qualcuno che verrà da fuori provincia. Perché, amico caro, gli dirà serafico il leader maximo della sanità trentina, tu non hai i titoli per fare il professore universitario. E qui abbiamo bisogno di sanitari di Accademia visto che da qualche mese abbiamo anche a Trento una facoltà di medicina. Pertanto non far nemmeno il gesto di presentare il tuo curriculum perché sulle scale c’è già il rumore dei passi del titolare titolato.
Così va il mondo della sanità trentina, fiore all’occhiello nelle certificazioni internazionali che servono tanto a menar vanto nei consessi e nei congressi tra iniziati. Ma poi se scavi sotto i lustrini e le medaglie, trovi che per parlare con il CUP (cento unico di prenotazione) devi armarti di paziente mansuetudine, sempre che non cada la linea. La quale, a forza di cadere, potrebbe pure non squillare più. L’importante è che si dica, in Italia e nel mondo, che il carroccio dell’autonomia trentina marcia compatto alla conquista della gloria. Mal che vada (perché le organizzazioni sindacali della sanità stanno minacciando azioni di ostruzione), le Aquile di piazza Dante possono sempre invocare le tre leggendarie colombe di Milano. Nel 1176, uscite dalla basilica di San Simpliciano, dov’erano deposte le reliquie dei tre martiri d’Anaunia (Martirio, Sisinio e Alessandro), le tre colombe si posarono sul carroccio di Alberto da Giussano e fecero fuggire Federico Barbarossa. Ma Trento non è Pontida anche se talvolta ci viene qualche dubbio.
Ad ogni modo, mentre i “no vax” esprimono con insulti e parolacce un malessere che andrebbe curato con l’obbligo vaccinale, tiene banco la possibile vaccinazione dei bambini dai 5 ai 12 anni. E già si alzano le barricate dei genitori che non si fidano della scienza perché non sia mai che i pargoletti vengano sottoposti a qualche rischio vaccinale. Le polemiche sui vaccini non sono solo cronaca del Terzo millennio. Lo rammenta Mauro Lando nel suo prezioso “Dizionario Trentino”, edito da Curcu&Genovese giusto dieci anni fa.
“Avviata nel 1796 dal medico inglese Edward Jenner, la pratica del vaccino ha avuto uno sviluppo vastissimo contribuendo a migliorare le condizioni di vita e di salute proteggendo l’umanità dalla diffusione di talune malattie. Tuttora la vaccinazione dei bambini e degli adulti è ampiamente diffusa ed accettata, ma non sono mancati perplessità e dubbi, oltre a rifiuti, a praticarla in modo generalizzato. Questo movimento d’opinione contrario si è scontrato contro la convinzione diffusa sull’utilità delle vaccinazioni e contro la legislazione che consentiva l’accesso dei bambini alla scuola materna, o all’asilo nido, solo se vaccinati. In più per i genitori che non provvedevano erano previste sanzioni fino alla perdita della patria potestà. Fu alla metà degli anni Ottanta del secolo scorso che, seppure in modo sporadico, i casi di rifiuto della vaccinazione fecero la loro comparsa anche in Trentino dopo che si erano manifestati in altre zone d’Italia. I primi casi furono a Riva del Garda nel 1985, ma in modo più evidente si manifestarono nel gennaio del 1989 allorché cinque genitori di Riva e due di Vigolo Vattaro vennero chiamati davanti al Tribunale dei minorenni (Alto Adige, 19 gennaio 1989) accusati di avere rifiutato la vaccinazione dei figli. In quella occasione il dottor Dino Pedrotti, primario di neonatologia all’Ospedale Infantile di Trento sostenne la necessità e l’opportunità della vaccinazione dei bimbi. Al processo (Alto Adige, 25 gennaio 1989) i genitori furono messi di fronte all’alternativa: o vaccinare, oppure perdere la patria potestà.
L’obiezione alla vaccinazione tornò d’attualità nella primavera del 1996 quando una bimba di due anni e mezzo di Varone, presso Arco, non venne ammessa all’asilo nido perché non vaccinata. I genitori (l’Adige, 7 marzo 1996) sostennero la loro scelta, ma il comitato di gestione dell’asilo confermò la sua decisione perché le norme prevedevano che senza vaccinazione i bambini non potevano accedere al servizio. A sostegno del loro orientamento i genitori paventarono il rischio di danni collaterali portati dalle vaccinazioni ricordando che in Italia negli ultimi anni erano morti 11 bambini per effetto dei vaccini e che altri 102 avevano sofferto di complicazioni.
Nell’autunno del medesimo anno il caso si ripeté a Mezzolombardo con il rifiuto alla frequenza alla scuola materna di un bambino di poco più di tre anni. In quella occasione (l’Adige, 8 novembre 1996) fu il sindaco Laura Dalfovo ad emettere l’ordinanza di espulsione del bambino. Tale atto arrivò al termine di una lunga procedura e varie diffide previste dalla legge. Dopo qualche giorno nel centro della Piana Rotaliana si tenne un affollato dibattito (l’Adige, 30 novembre 1996) dove si confrontarono due medici, ossia Marco Brazzo di Rovereto, rappresentante del Comitato italiano per la libertà dalle vaccinazioni (Comilva), e Lorenzo Filosi responsabile dell’igiene pubblica dell’Azienda per i servizi sanitari.
Nel medesimo mese di novembre un altro caso di non accettazione in un asilo si verificò ad Arco dove un’altra bimba di Varone non venne accettata (l’Adige, 17 novembre 1996). In quel periodo, nella zona del basso Sarca si erano registrati altri casi simili a Dro, a Tenno ed a Vigne di Arco.
Il problema dell’obiezione alla vaccinazione era ormai diffuso anche in campo nazionale per cui il ministro della Pubblica istruzione, Luigi Berlinguer, si rivolse alla Corte costituzione per una verifica di legittimità della norma che rendeva obbligatori i vaccini. In attesa della pronuncia della Suprema Corte, la Provincia decise di ammettere nelle scuole materne e negli asili nido anche i bambini non vaccinati. La Corte costituzionale nel settembre 1997 sancì la costituzionalità della legge per cui il problema tornò d’attualità, legato al fatto che i bambini non vaccinati, ma ammessi, dovevano o essere esclusi o essere messi in regola. La responsabile provinciale del Comitato trentino per la libertà delle vaccinazioni Maria Grazia Casetti (Alto Adige, 17 settembre 1997) commentò che non si sarebbe potuto fare marcia indietro considerato che la mancanza di vaccinazioni “non ha creato alcun tipo di problema”. In realtà le non accettazioni si ripeterono come a Rovereto (Alto Adige, 5 settembre 1998) ed in altri centri in periodi successivi. I giornali poi (l’Adige, 18 ottobre 1998, e Alto Adige, 4 giugno 2000) diedero notizia di bambini che soffrivano di conseguenze anche gravi a seguito di vaccinazioni.
(Mauro Lando, Dizionario Trentino, II vol., 2011, p. 593)