La presenza degli ebrei nell’area germanica, “prima di essere divorati dalla Shoah”, scrive Renzo Fracalossi, restò per secoli marginale, almeno dal punto di vista economico. Eppure l’accanimento antigiudaico si fa dirompente nientemeno che con la penna di un monaco agostiniano, propugnatore di quella riforma che porterà alla spaccatura fra mondo latino e mondo germanico: Martin Lutero.
Dopo aver gettato un rapido sguardo sull’antisemitismo nell’Europa latina e fra le nebbie anglosassoni, è nelle aree centrali del vecchio continente che si sofferma adesso il nostro breve viaggio sul pregiudizio più antico. Se nelle terre tedesche l’intero medioevo è segnato dal ripetersi di pogrom e persecuzione a forte base popolare, sia in concomitanza con le Crociate, sia sulla spinta di improvvisi moti di violenza nei riguardi degli ebrei, con l’avvento dell’Umanesimo e del Rinascimento va registrato un mutamento profondo nella struttura economica e sociale della Germania, seppur divisa in molti principati e staterelli anche fra loro contrapposti.
Coraggiosi e lungimiranti banchieri come i Fugger di Augusta o imprenditori come i Welser o gli Imhof costruiscono grandi potenze economiche. Essi monopolizzano, in poco tempo, i commerci speculando sui prodotti ed arricchendosi rapidamente, mentre la povera gente cade ancor più in miseria e per tale motivo è sempre più propensa ad assimilare questi nuovi ricchi agli ebrei. Nasce così il termine dispregiativo “christen-jüden” (“giudei cristiani”), con il quale vengono indicati i magnati delle banche e della nascente finanza tedesca, immaginando un legame fra loro ed appunto gli ebrei.
In realtà invece il peso economico degli ebrei nel mercato economico germanico è oltremodo relativo, se non addirittura del tutto ininfluente, ma ciò non attenua il disprezzo pubblico per la “razza deicida”, usuraia e straniera, rispetto a quell’identità tedesca che si sta definendo proprio in quegli anni. Teologi, predicatori e imbonitori di ogni sorta si impossessano di questi temi e ne fanno una bandiera: semplice, comprensibile ed unificante, ma soprattutto carica di insensato odio antisemita.
Nello stesso periodo e proprio in Germania, vede la luce l’invenzione della stampa ed anche gli ebrei ne apprendono i segreti ed iniziano a stampare i loro libri – e specialmente il Talmud – offrendo così ulteriori motivi di rancore e di critica ai bravi cristiani tedeschi, già colpiti dal malcostume morale che si è impossessato di Santa Romana Chiesa e che esige una riforma della stessa, come predicano alcuni monaci fra i quali spiccano figure quali Martin Luther, Melantone e Giovanni Calvino. In breve, le divergenze correnti fra questa predicazione di riforma ed il cattolicesimo più ortodosso si fanno evidenti sul tema della “Grazia”, sulla relazione fra “Fede” ed “Azione” e sulla differenza fra “Parola” e “Magistero”, che è poi l’insegnamento della Chiesa stessa.
È in questo contesto filosofico e spirituale, nonché sulla base del principio “cuius regio, eius religio”, che matura anche un’idea di Stato fondata sul trittico “religione, razza e denaro” ed anche sulla costante avversione per gli ebrei. Cambia insomma la partitura, ma non gli effetti e così, nel 1542, l’agostiniano Martin Luther pubblica un volumetto dal titolo inequivocabile: “Contro gli ebrei e le loro menzogne”, gonfio di accanimento antigiudaico e carico di un linguaggio forte, nuovo e vigoroso che diventa poi base della moderna lingua tedesca.
A questa pubblicazione, altre fanno seguito. Luther è convinto infatti che il trionfo della Riforma passa sul terreno del sangue e così si schiera con i nobili contro i contadini ed appoggia la repressione violenta di settarismi, eresie ed anche ritualità ebraiche, proprio imputando a quest’ultime un diretto rapporto con il demonio. È un argomento che premia e convince i tedeschi, pronti quindi a rifarsi sugli ebrei, anziché sui propri nobili e ricchi borghesi. Per gli ebrei si apre così una fase oscura e perigliosa, mentre la “Guerra dei Trent’anni” si incarica di mutare ancora una volta l’Europa, introducendo la figura del monarca assoluto e svincolato da ogni struttura di controllo del vecchio feudalesimo. Sarà proprio quel tipo di monarca che avrà sempre più bisogno di denaro fresco e continuo per le sue necessità espansive e per le sue politiche e gli ebrei diventeranno lentamente funzionali al nuovo sistema, anche per la loro umiltà, capacità di mettersi al servizio, contatti internazionali e liberi da ogni pregiudizio morale del cristianesimo.
Nasce così la figura dell’“Hofjüde”, ovvero “l’ebreo di corte” che prospera e cresce all’ombra della protezione regia, anche se ciò incide sul carattere egualitario e solidaristico delle comunità ebraiche e la forbice sociale, anche dentro l’ebraismo, si allarga con grande facilità, fino a determinare distanze abissali fra pochi ebrei ricchi e la gran massa povera ed indigente.
E’ la stagione del barocco che produce sul suolo tedesco il genio musicale di Bach e segna l’avvento di un Messia degli ebrei quando, nella seconda metà del XVII secolo, compare in Turchia Shebbetaj Sebi, acclamato da tutti i rabbini tedeschi e venerato da molti ebrei che vanno a Costantinopoli per seguire l’insegnamento di questo falso Messia.
Fra momenti di qualche difficoltà e lunghe parentesi di relativa tranquillità, i decenni scorrono fino alla stagione dell’Illuminismo che porta con sé la ripresa dell’antisemitismo, quale componente della nuova identità nazionale tedesca che si sta forgiando grazie alle imprese di Federico il Grande in Prussia ed alla forza politica e morale di Maria Teresa d’Asburgo che diventa la “madre” del suo popolo e della cultura tedesca. Dopo la parentesi napoleonica che vagheggia uno “status” di uguaglianza per i sudditi ebrei del grande Corso e dopo la restaurazione dell’antico sistema, a cavallo fra il XVIII e il XIX secolo, i fratelli Grimm pubblicano un loro “Dizionario” della lingua tedesca che al termine “Jüde” attribuisce questo significato: “Tra le loro brutte qualità spicca in particolare la sporcizia, la sete di guadagno e l’usura”, a testimonianza del radicamento profondo dei sentimenti antigiudei.
Ma facciamo un passo indietro. Nel secolo dei Lumi, in Germania ed in Austria-Ungheria non si registrano particolari violenze contro gli ebrei, come invece avviene altrove, mentre la persecuzione prende quasi sempre forma di espulsione da un dato territorio. L’esempio più eclatante è quello rappresentato dal decreto di espulsione degli ebrei dalla Boemia nel 1744, firmato da Maria Teresa e che indica gli ebrei come spie dei prussiani con i quali esiste un aperto conflitto. Gli ebrei boemi allertano allora i propri confratelli sparsi per l’Europa e provano perfino a sollecitare l’intervento del Sommo Pontefice, mentre imponenti collette vengono avviate in ogni comunità ebraica fino a raggiungere la fantastica somma di 240 mila fiorini. Solo davanti a questo favoloso capitale l’imperatrice si smuove e consente la revoca del decreto emanato.
Da quel momento in poi e fino allo scoppio della Grande Guerra, l’ebraismo tedesco non sembra conoscere più grandi eccessi di violenza. Solo l’avversione popolare non smette di perseguitare le comunità ebraiche finché, in ossequio ad una cultura dell’ordine e dell’obbedienza, anche il popolo si adegua alla tolleranza vigente e gli ebrei possono finalmente condurre un’esistenza tranquilla, producendo figure di grande spessore culturale ed innalzando i livelli della scienza e del pensiero tedesco. Si tratta però della calma che precede la tempesta, dentro la quale larga parte dell’ebraismo europeo verrà divorato dalla Shoah. (9 – continua)