L’inaugurazione di un bassorilievo con la figura di Flaminio Piccoli sulla parete, accanto alla porta d’ingresso della sede del giornale “L’Adige” di via Missioni Africane a Trento, ha fatto da detonatore al disagio che da mesi attraversa la redazione. Una lettera, consegnata poco prima della cerimonia (lunedì 15 novembre) all’editore Michl Ebner e al direttore Alberto Faustini, annunciava la defezione della maggior parte dei giornalisti e delle giornaliste della redazione a quella che avrebbe dovuto essere una festa per i 70 anni della testata.
Come ha documentato “Salto”, il portale di informazione di Bolzano, nella lettera all’editore Ebner i redattori e le giornaliste dell’Adige scrivevano:
“Gentile Editore, dopo attenta riflessione, abbiamo deciso di inviarle alcune considerazioni in merito alla cerimonia prevista per oggi, lunedì 15 novembre, presso la sede del giornale l’Adige. Cerimonia che si svolgerà per lo più senza la nostra presenza. Ciò non avverrà per mancanza di senso di appartenenza a questo giornale e a questa azienda, dimostrati anzi tutti i giorni da un senso di abnegazione che neppure le ultime vertenze aziendali – con i sacrifici a noi chiesti – hanno fatto venire meno. Ciò avverrà, invece, proprio perché il senso di appartenenza è così profondo che non ci convince l’idea di legare il 20° anniversario della morte dell’onorevole Flaminio Piccoli (che per altro cadeva nel 2020) con il 70° anniversario della fondazione del giornale.
Riteniamo infatti che, più che un accostamento simbolico, quello che si mette in atto rappresenti un accostamento politico che – se rispecchia indubbiamente la prima parte della storia dell’Adige e del Trentino tutto – dimentica completamente la seconda parte di questa storia e sicuramente quella di tutti i redattori che ancora lavorano qui. Molti di noi, entrati giovani o giovanissimi quando il giornale fu salvato dal fallimento dall’avvocato Gelmi di Caporiacco e ripartì con grande fatica ma anche con grande slancio sotto la direzione di un direttore laico illuminato come Piero Agostini, hanno operato sempre e ogni giorno per far sì che l’aggettivo “indipendente” sulla testata non fosse solo una parola, ma un modo di operare, di presentarci ai lettori, di riempire i contenuti del giornale, riconosciuto per anni come fonte autorevole e completa di notizie.
Un lascito che pensiamo e speriamo oggi sia di tutti perché ci ricordiamo bene di quando, anche in maniera gratuita, il nome dell’Adige veniva accostato a un simbolo e a un sistema politico che erano già profondamente in crisi, e ogni articolo veniva automaticamente bollato come “suggerito” o “di parte”.
Abbiamo combattuto decenni per scrollarci di dosso questo e qualunque altro “marchio” e crediamo – senza falsa modestia – che sia stato anche questo sforzo collettivo, a cui hanno partecipato senza dubbio i nostri passati editori, a segnare le fortune dell’Adige da metà anni Ottanta in poi.
In definitiva, crediamo che l’indipendenza vantata ogni giorno in prima pagina debba essere ogni giorno perseguita, attuata e salvaguardata. Crediamo che sia questo l’unico modo per continuare a esistere, oggi e domani. Per questo non possiamo pensare di vedere di nuovo accostare una testata che per noi è patrimonio collettivo a una sola parte e visione politica”.
Che Flaminio Piccoli, sul quale fin dal 2000, anno della sua morte, è calata un’incomprensibile “damnatio memoriae”, sia stato il fondatore del giornale “l’Adige” lo dice la storia. Che la Democrazia Cristiana sia stata spazzata via dalla rivoluzione di “mani pulite” lo dice la cronaca. Che i cronisti dell’unico quotidiano popolare rimasto, radicato nelle città come nelle valli del Trentino, temano che il nome di Flaminio Piccoli accostato al “loro” giornale (che per alcuni decenni fu “suo” in tutti i sensi) possa far balenare nei lettori una perdita di “indipendenza” della testata pare un pretesto. Che nasconde, questo sì, una diffusa preoccupazione tra i redattori per il loro futuro professionale, posto che sono gravati da contratti di solidarietà (con riduzione dello stipendio) e da cassa integrazione a rotazione.
Tutto questo si riversa anche sui rapporti con il direttore (che è anche direttore dell’altro giornale di lingua italiana della corazzata Athesia, l’Alto Adige di Bolzano) e con l’editore, già europarlamentare della SVP, l’on. Michl Ebner. Il quale, dopo essersi portato in casa Athesia quasi tutta la stampa italiana della regione (Adige, Alto Adige, Trentino, mensili e inserti vari) ha cominciato a tagliare testate.
È cronaca di dieci mesi fa l’improvvisa scomparsa dalle edicole (l’ultimo numero, sabato 16 gennaio 2021) del giornale “Trentino”, chiuso da Ebner per i bilanci in rosso. Chi sperava che i lettori del “Trentino” si riversassero in massa nell’alveo dell’Adige ha avuto qualche amara sorpresa. Né dovrebbe aver tratto grandi guadagni la concessionaria di pubblicità con la pagina che i redattori dell’Adige sono stati costretti ad acquistare per esprimere la loro solidarietà ai colleghi del “Trentino” rimasti con la penna a mezz’aria.
Prende le mosse anche da qui il disagio che i giornalisti e le giornaliste dell’Adige esprimono nella lettera “contro” il bassorilievo di Flaminio Piccoli. E che tale collocazione accanto all’ingresso del giornale sia un appiglio balza all’occhio per più fatti. Sull’altro lato dell’ingresso figura un bassorilievo di Alcide Degasperi, che fu fondatore del “Trentino” (1905) e del “Nuovo Trentino” (1918), presidente del Consiglio ma anche leader della Democrazia Cristiana.
Il presidente del consiglio comunale di Trento, il notaio Paolo Piccoli è stato per un periodo presidente del Consiglio di amministrazione dell’Adige, senza che i redattori avessero manifestato preoccupazioni e disagi. Eppure, oltre ad essere stato il principale collaboratore di Flaminio Piccoli, suo zio, il notaio Piccoli è stato pure segretario provinciale della Democrazia Cristiana trentina.
E che dire del sen. Giorgio Postal, già segretario provinciale della DC, parlamentare democristiano di lungo corso, oggi presidente del museo storico di Trento, il quale siede nel consiglio di amministrazione dell’Adige? Se ingombra la memoria di Piccoli, che è scomparso da vent’anni, quanto pesa la presenza di Postal?Al quale abbiamo chiesto il testo, che pubblichiamo qui di seguito, del suo intervento di lunedì 15 novembre nel corso della cerimonia per i 70 anni dell’Adige e i vent’anni dalla morte di Flaminio Piccoli. Perché la cronaca passa, la storia resta.
Giorgio Postal: Flaminio Piccoli e i 70 anni del giornale “l’Adige”
Caro on. Ebner, personalmente ritengo di doverla ringraziare. La ringrazio perché l’evento di oggi, da lei così fortemente sollecitato, costituisce per me una sorta di atto riparatorio nei confronti di una personalità che tanto ha dato al giornale e tanto ha dato al Trentino e che tuttavia non solo nell’immaginario collettivo ma anche negli ambiti della cultura, della politica e della storia è stata confinata nei luoghi della dimenticanza, della rimozione, per non parlare di esilio studiato. E questo in qualche misura anche all’interno del Giornale. Il tutto, a mio avviso, frutto della scarsa conoscenza del passato, e talvolta anche del pregiudizio.
Quando nasce questo giornale? Nasce nell’agosto del 1945 con la denominazione de “Il popolo Trentino”, nei tempi eroici della faticosa e esaltante ricostruzione postbellica, prima come settimanale, da settembre dello stesso anno come trisettimanale e poi, dal maggio 1946, come quotidiano. Flaminio Piccoli e alcuni amici costituiscono una cooperativa, la Tridentum, la quota è di L. 500 a testa.
E dove nasce? In una unica stanza destinata al direttore, Flaminio Piccoli appunto, e ai due primi redattori, in via Giusti. All’inizio viene stampato presso L’Arena di Verona, poi presso l’Istituto Artigianelli di Trento e, infine, nel seminterrato di via Giusti. Nel 1951, dopo essersi trasferito nella storica sede di via Rosmini assumerà la denominazione de “l’Adige”, che dunque quest’anno compie settant’anni.
Ci volevano la caparbietà, la passione e la fede… la fede di Flaminio Piccoli, in una battaglia quotidiana, in primo luogo perché il giornale nascesse e poi perché si potenziasse. Ci voleva la sua decisa volontà di fare, di agire, di costruire. Ma ci voleva anche una solidità di cultura e un granitico impulso ideale per fare del giornale il giornale del popolo Trentino, interprete autentico dei suoi sentimenti e delle sue aspirazioni più profonde, veicolo imprescindibile sulla strada del riscatto economico e sociale di tutta la popolazione. Non un giornale cattolico ma un giornale dei cattolici, immersi nella autonoma assunzione delle responsabilità del contingente.
Paolo Piccoli, in un pregevole volume che raccoglie l’antologia degli articoli di fondo più significativi, tra gli oltre 1.200 scritti da Flaminio Piccoli per il tempo nel quale è stato direttore del giornale, fino al 1976, proprio attraverso la lettura attenta di quegli articoli, ha potuto tracciare in maniera documentata i tratti salienti della sua personalità, il retaggio profondo della sua fede cristiana, le sue ansie, la sua combattività per l’affermazione dei valori cristiani nella società civile e il consolidamento dei valori fondanti la giovane Repubblica. E nel contempo ha potuto ripercorrere l’itinerario di un uomo fortemente impegnato nella battaglia politica, sia a livello locale che a livello nazionale, anche nella costruzione di un partito, la Democrazia Cristiana, che in Italia avrebbe dovuto assicurare una democrazia compiuta e un assetto economico sociale sufficientemente equilibrato. Vanno letti quei documenti, non ci si basi sulle vulgate, cosi come per il seguito va approfondita la complessità di un personaggio che comunque la si voglia vedere, ha lasciato segni profondi.
Dal 1967 al 1982 ho avuto l’avventura di presiedere le società titolari della testata [de “L’Adige”], innanzitutto la Società cooperativa Tridentum. Ricordo ancora adesso quasi con angoscia il tormento di Flaminio Piccoli nel momento nel quale la Chiesa tridentina, che aveva la maggioranza assoluta delle quote, decise di ritirarsi, salvo poi quasi contestualmente andare ad acquistare un pacchetto di azioni del giornale concorrente, l’Alto Adige, attraverso l’Isa, che come si sa apparteneva e appartiene alla curia vescovile, un pacchetto che, attraverso le successive operazioni societarie, è ancora presente nella proprietà dell’attuale testata.
Certo, il concilio Vaticano secondo aveva affermato la pluralità delle opzioni politiche, e di conseguenza la fine dei collateralismi con la Democrazia cristiana, e a metà degli anni ‘60 eravamo nel pieno della riflessione sulle indicazioni del Concilio. Ma la percezione che quella decisione fosse dettata non tanto dal puntuale rispetto degli orientamenti conciliari quanto piuttosto da un contorno di spinte politiche avverse e spesso malevole, sia nel clero che nella politica, cadde su Flaminio Piccoli come un masso, non riusciva a capacitarsi del fatto che esponenti tanto accorti delle rispettive classi dirigenti non si rendessero conto del valore duraturo di un giornale in termini di informazione, di formazione, in sostanza di orientamento generale dell’opinione pubblica in tempi di tanto sommovimento. Ma non poté fare altro che prenderne atto.
Fu quella l’occasione nella quale si decise di superare l’assetto cooperativo per procedere all’intestazione della testata e della tipografia a due distinte società per azioni, la SET per la testata e la SITE per la tipografia. Quando poi dopo la metà degli anni ‘70, ancora una volta sotto la spinta irrefrenabile di Flaminio Piccoli, venne insediato l’offset, per ragioni di coordinamento e di economie di scala le due società per azioni vennero unificate in una unica società per azioni, la “Editoriale l’Adige S.p.A”. Un balzo eccezionale dal punto di vista tecnologico, eravamo tra i primi tra piccoli giornali ad adottare sistemi tanto avanzati. Ma, con il senno di poi, si dimostrò che probabilmente il passo, in termini economico finanziari, forse era stato più lungo della gamba. Arrivarono anni difficili.
Fu quello il tempo nel quale le iniziative per dare una soluzione definitiva alla salvaguardia del giornale e dei posti di lavoro si moltiplicarono all’infinito, per il vero nel disinteresse totale dell’ambiente economico-finanziario trentino. A nulla valse la proposta che, a fronte di un totale disimpegno e ritiro della Democrazia cristiana trentina dalla proprietà del giornale, la sua indipendenza poteva essere integralmente garantita. Un disinteresse che a ben vedere si è protratto fino ai tempi nostri. Tra le altre furono avviate trattative con la Rizzoli, che insperabilmente si conclusero positivamente, ma i prodromi di quello che si sarebbe rivelato poco più avanti lo scandalo della P2 ne impedirono la pratica attuazione.
Restò infine decisiva la disponibilità dell’ing. Pericle Quadrio Curzio e dell’avvocato Francesco Maria Gelmi, due personalità che ricordo con grande affetto e grande rimpianto, alle quali consegnammo la grande responsabilità di salvare la testata nelle more del concordato preventivo della Editoriale l’Adige, concordato che peraltro riuscì a garantire a tutti i dipendenti, giornalisti, amministrativi e tipografi il totale riconoscimento delle loro pendenze. Dopo la prematura scomparsa di Pericle Quadrio Curzio fu la straordinaria spinta imprenditoriale e civica dell’avvocato Gelmi a dare continuità alla testata, nel segno della indipendenza. Con il concorso di grandi direttori, penso in particolare a Gianni Faustini nei tempi dell’incertezza e poi a Piero Agostini.
Ho voluto ricordare per sommi capi questi passaggi faticosi, e in questa significativa e bella occasione non posso dimenticare la grande e costante preoccupazione e la sollecitudine di Flaminio Piccoli nell’apprestare e accompagnare ogni singolo sforzo, ogni passo, ogni colloquio, ne sono testimone, in cima ai suoi pensieri c’era comunque, sempre, accanto alla salvaguardia della testata la difesa dei posti di lavoro. I tempi ormai erano profondamente mutati, non c’era più ragione e nemmeno le condizioni per mantenere il giornale nella proprietà del Partito.
Cara Flavia, caro Mauro, cara Annalisa [i tre figli di Flaminio Piccoli, presenti alla cerimonia. N. d. r.] oggi noi ricordiamo Flaminio Piccoli per il suo impegno nel campo del giornalismo, senza dimenticare naturalmente anche la proiezione nazionale di tale impegno, dal momento che per lunghi anni è stato presidente dell’UCSI, l’Unione cattolica stampa italiana. Ma sappiamo bene che per configurarne in maniera compiuta la personalità andrebbe ricordato anche e soprattutto il suo impegno politico, in sede locale e regionale, in sede nazionale ed anche in sede internazionale. Non è questa la sede. Mi basti ricordare, senza tema di smentite, che Flaminio Piccoli, attraverso il suo costante presidio nazionale, è stata la personalità trentina che più di ogni altra ha concorso al riscatto economico delle nostre popolazioni e contestualmente alla costruzione di un impianto autonomistico dai risultati eccezionali sia in termini di convivenza che di sviluppo. In fondo, se ci pensiamo bene, dopo gli anni ‘90 le classi dirigenti hanno semplicemente amministrato, in maniera più o meno illuminata tutto ciò che era stato costruito nel corso degli anni ’60, ‘70 e ’80.
Caro Miki [Ebner, l’editore], come ben sai, la discesa a Trento di Athesia in vari ambienti ha suscitato una qualche perplessità. È mia opinione, tuttavia, che questa discesa se, sul versante economico colloca il futuro de l’Adige sul terreno della solidità, sul versante politico a me pare che essa possa porre in termini positivi, propositivi e innovativi una questione centrale per la convivenza e lo sviluppo delle nostre popolazioni: quella del rapporto tra Trento e Bolzano, tra trentini, sudtirolesi e italiani di Bolzano. Un rapporto che va coltivato con pazienza e lungimiranza, in una cornice regionale rimotivata e attualizzata a fondamento della unitarietà delle traiettorie della storia in questa terra di confine.
Concludo con un augurio sincero che rivolgo al direttore Faustini, quello cioè di riuscire a garantire e consolidare l’insediamento del giornale nella cultura, nell’economia, nella politica, nelle città e nelle valli, come uno snodo imprescindibile libero e indipendente. Terminale naturale delle incertezze, delle inquietudini, degli spaesamenti del nostro tempo e impulso ragionato verso i cambiamenti positivi della storia. In fondo Flaminio Piccoli voleva che l’Adige fosse autenticamente il giornale del Trentino e dei trentini, in questi settant’anni è cambiato tutto, ma quello è un lascito attuale da non disperdere.
sen. Giorgio Postal