Fortunato Depero rinnova la sua fortuna (postuma, ché in vita ebbe travagli non da poco). Lo fa con la bella mostra, “Deper New Depero”, al Mart di Rovereto, visitabile fino al 22 febbraio del prossimo anno. La cura Nicoletta Boschiero che esplora la modernità delle sue sperimentazioni e l’influenza delle sue ricerche negli ambiti dell’arte, della moda, del design e del fumetto dagli anni Settanta ad oggi. Esposti circa 500 lavori tra opere, disegni, mobili, oggetti, manifesti, fotografie, libri e riviste; una decina di video e film realizzati negli ultimi venti anni; fumetti e oggetti di design, oltre ai famosi bozzetti pubblicitari Campari. Lo fa con le classiche uscite di Vittorio “Capra Capra” Sgarbi che ha messo di nuovo mano alla collocazione “politica” di Depero. Quanto fu fascista (perché lo fu) e cosa ha ciò, semmai, a che fare con la sua avventura artistica. Ma qui è del Depero di carta che ci occupiamo. Ricordando la recente pubblicazione di un delicato ed intrigante romanzo di Milka Gozzer, “Il gatto di Depero” (lo si trova sulla piattaforma Amazon), l’ancora più recente incursione del vulcanico Mauro Neri che ha sfornato “La danza dei diavoletti”, 12 favole moderne per ragazzi (Effe Erre edizioni) ispirate ad altrettante opere di Depero. E doverosamente ricordando, più indietro nel tempo, la deliziosa antologia degli scritti letterari del nostro, “Pestavo anch’io sul palcoscenico dei ribelli”, curata al meglio da Michele Ruele, nel 1992, per L’Editore. Ed è sempre Ruele, nel 2004, per ViaDella Terra, a curare i testi di “Depero. Lettere inedite dagli Usa e arazzi della collezione Itas”. Infine, ed in qualche modo anticipando le polemiche – se tali possono definirsi – di questi giorni, il racconto di Carlo Martinelli che ha pubblicato il suo “Un partigiano insulta Depero” dapprima in ebook (Curcu&Genovese, 2016) e recentemente, su carta, con la “casupola editrice per pochi intimi e nessun commercio”, POCOlibri. La tiratura della plaquette, 44 copie numerate, fa sì che quel testo non sia più disponibile. Cortesemente ci ha concesso di pubblicarlo qui, su “ll Trentino Nuovo”.
Lo aveva più ferito che inquietato, l’episodio di un paio di giorni prima. Martedì 19 marzo, san Giuseppe, il falegname. In qualche modo, il suo patrono, per quel che gli importava in quel momento. Era andata così: se ne scendeva tranquillo lungo il viale dei Colli, accarezzato da un sole pallido eppure così dolcemente aderente. In più, il cielo era limpido e terso, gli trasmetteva una luce piacevole. Il tizio gli passò accanto in bicicletta, rapido, come fosse sbucato da un nulla. Veloce come era comparso al suo fianco, svanì. Con rapidi colpi di pedale, affondati con rabbia. Questa la sua impressione, mentre faceva fatica a registrare quello che pure aveva udito, ciò che il ciclista gli aveva urlato, mentre gli passava vicino.
Ma sì. L’aveva sentito bene: “Bastardo fascista, la giustizia proletaria ti segue. Viva la volante rossa”. Quando aveva compreso quel che gli era stato urlato contro, era troppo tardi. La bicicletta, favorita dal tratto di strada in discesa, era già oltre la curva. Sì, il tipo indossava un giubbotto nero, di pelle. Ma non aveva scorto granché dei suoi tratti somatici. Sì, i capelli, forse. Folti, scuri, imbrillantinati.
Si scosse. Nel petto gli ribolliva dentro qualcosa, un malessere antipatico.Non era la prima volta. C’erano state le lettere anonime, quattro. Lo stesso tono, le stesse minacce. Fascista, farai una brutta fine, noi non dimentichiamo. Ma un conto era il coraggio di chi ti insulta a distanza, celandosi. Adesso era diverso. Quel tizio in bicicletta gli era sfrecciato accanto a pochissima distanza, senza timore alcuno.
Doveva fare qualcosa. Ci avrebbe pensato.
Nel frattempo era entrato in città. Mattino presto, inesistente il traffico. Il bar di Armando era vuoto. Buongiorno. Buongiorno, maestro. Il solito. Sì. Il caffè, il bicchiere d’acqua per la magnesia. Il quotidiano fresco d’edicola, il profumo d’inchiostro ben presente. Diffidava dei giornali, specie in un momento come quello. Ma non si poteva certo lamentare. Non più del dovuto. Avevano ricominciato a parlare anche di lui. Era questione di tempo, pensò.
Sfogliava le pagine. In quella di cronaca un articolo che occupa mezza pagina, almeno.
La spada della giustizia non era scesa tremenda e inflessibile sugli autori della rapina di viale 3 novembre. Il tribunale militare straordinario non ha potuto condannare i cinque imputati, perché degli abilissimi avvocati hanno trovato nel labirinto dei codici il modo di dilazionare temporaneamente il processo. La rapina fosca e sinistra ha provocato il giusto sdegno delle nostre popolazioni, per natura tranquille ed amanti dell’ordine. La stampa ha già espresso in vari modi la riprovazione di tutti gli onesti a quanto successo. Ma forse alle masse è sfuggito il fattore più importante, la scintilla che ha provocato il dramma. L’aggressione di viale 3 novembre non è l’assalto di moda alle automobili o l’ormai consueto svaligiamento notturno di grandi magazzini compiuto da bande armate. I colpi di Thompson hanno squarciato il sipario dorato di un mondo equivoco, di un ambiente infetto, nel quale agiscono, sovrani i padroni, i principi della borsa nera.
Beh, la conosceva la storia, eccome se la conosceva. Aveva avuto bisogno di un prestito, poche settimane prima. Doveva curarsi i denti, e costava. Aveva offerto anche alcuni quadri che teneva in casa, ma non li avevano voluti. Adesso doveva decidersi. Accettare un fascio di banconote, con la prospettiva di restituirne molte di più? Doveva scegliere, in fretta. Ai prestiti della banca era meglio non pensare. Riprese a leggere l’articolo, curioso.
Attorno a un gruppo di giovani, precoci criminali per quanto incensurati, indossanti tutt’ora una divisa militare, usciti da una guerra atroce e bestiale, conclusasi con le camere a gas e le fosse Ardeatine, vissuti in un’epoca nella quale si è arrivati a trasformare i prigionieri di guerra in cavie sperimentali e in blocchi di sapone, mentre tutt’ora impera il terrore atomico, formicola un substrato sociale più colpevole ancora, ancora più condannabile. Il giovane caduto in smoking sotto i colpi dei rapinatori viveva purtroppo in questo ambiente e di questo ambiente. Quando si entra spavalda- mente nei ristoranti con grossi brillanti alle dita e sullo sparato immacolato, quando si gettano sul pavimento con noncuranza da megalomani centomila lire in biglietti di banca, per impressionare i camerieri e sbalordire le belle ragazzine, quando ci si vanta di aver perduto, in poche ore, mezzo milione alla roulette di Merano, si creano i presupposti tragici che trascinano disperati al delitto.
Un rumore assordante. Un camion carico di sacchi di granaglie. Una occhiata distratta mentre si allontanava, tra la polvere. Riprese a leggere, ancora curioso.
Troppa gente si è scagliata con avidità quasi morbosa soltanto sulle notizie a girandola dell’istruttore del fattaccio. Ma la parte sana e migliore della nostra popolazione vuole che la legge venga imposta in tutta la sua forza e la sua severità anche su questo mondo di lenoni, di trafficanti, di collaborazionisti, di delatori, formatosi negli ambienti peggiori del nostro Paese, mentre infuriava la guerra e milioni di uomini morivano sui campi di battaglia o agonizzavano nei blok di concentramento. L’autorità è in diritto e in dovere di intervenire con tutti i mezzi per spazzar via, una volta per sempre, questa lebbra antisociale. Bottiglie di vov, calze di seta, profumi di marca, regalucci costosi, corse in automobile con autisti troppo compiacenti, cenette semiclandestine, qualche volta droghe e stupefacenti, spumante a volontà, perdite al gioco, orge e imbrogli costano cari. Troppo cari.
Diavolo, dove voleva andare a parare il cronista? C’erano davvero retroscena così misteriosi e paurosi, dietro l’agguato e la mortale sparatoria di cui si parlava ormai da giorni? A leggere il giornale, così pareva.
Questa volta il conto venne pagato col piombo. La gente che tira la carretta, gli operai, gli impiegati, i funzionari dello Stato, la massa che costituisce la spina dorsale del Paese si chiede giustamente come tutto questo mondo equivoco possa procurarsi i mezzi che gli permette di calpestare le leggi dell’onestà e di sputare sulla realtà durissima di tutta una nazione. Tutto questo mondo di parassiti amorali e asociali, che non ha alcuna attività né professione onesta e definita, vive ai margini della legge ed usa i propri mezzi e la propria scaltrezza soltanto per poter conseguire i suoi loschi fini.
Certo, erano passati pochi anni. C’era stato un tempo fatto di ordine e rispetto. Ma era passato, appunto. Oggi era un’altra cosa, semplicemente. Dai, finiamo di leggere l’articolo.
Se in un momento di aberrazione e di traviamento dei giovani incoscienti compiono un gesto malsano, che rimpiangeranno tutta la vita e che la giustizia dovrà inesorabilmente colpire, noi riteniamo maggiormente colpevoli questi signorotti della roulette che da Gardone a Merano scorazzano in auto pubblica ubriacando le ragazzine con liquori e magari con stupefacenti e, nei ritagli di tempo, fra una partita di poker e un giro di bougie – wougie, lan- ciano scommesse per stabilire entro quanti giorni una ragazzina qualsiasi debba cadere nella trappola.
Si ritrovò a scorrere, quasi compiaciuto, il finale.
Se noi non possiamo approvare i costumi del sud che appellandosi alla cosiddetta legge dell’onore presuppongono il diritto alla legge del mitra, se noi vogliamo rispetto assoluto e totale all’autorità e alla legge, noi pretendiamo però che questa legge debba intervenire con tutto il suo peso anche contro coloro che mettono i più sciagurati in condizione di infrangerla. Il problema è gravissimo. Dalle colonne del nostro giornale pubblicheremo nei prossimi numeri altri interessanti retroscena di questo ambiente equivoco.
Si guardò attorno, sistemò rapido la cartella con i disegni che si era portato appresso, uscendo di casa. Aveva un progetto per la testa, ne avrebbe parlato con un industriale che gli era rimasto amico e, più avanti, anche con il sindaco. Quell’ostracismo sarebbe finito presto, se lo sentiva.
Diede una occhiata distratta ad un trafiletto del giornale, mentre lo ripiegava. Era la stessa pagina dell’articolo sui colpi del mitra Thompson in viale 3 novembre. E mentre leggeva, già sapeva che non ci sarebbe andato.
Sabato alle ore 21 il coro della SAT al teatro Zandonai canterà il suo splendido repertorio di canzoni.