Alla soglia dei 97 anni (che avrebbe compiuto il 6 febbraio, essendo nato nel 1925), nella notte fra venerdì e sabato 13 novembre se ne è andato Roberto “Bob” Moggio, poliedrico personaggio del giornalismo, dello sport, dell’automobilismo e di molto altro. Fu il “papà” della Marcialonga e l’inventore del nome “Ritmo” per una popolare vettura della Fiat. La notizia della morte è trapelata a funerali avvenuti.
L’estate del 1966 ascoltavamo “radio Praga”. Era un’emittente “clandestina” (avremmo saputo molti anni dopo che era stata fondata, gestita e diretta da uomini del Partito comunista italiano) che trasmetteva musica italiana sulle frequenze, disturbate, delle onde corte. “Radio oggi in Italia”, diffusa dalla Cecoslovacchia, fu la risposta del PCI di Togliatti al “cappello” tutto governativo e democristiano sulla RAI. Tra i fondatori di “Radio Praga” Alessandro Curzi, poi direttore del TG3 (chiamato dalle destre “Telekabul”)
Nell’estate del 1966, in Trentino si diffusero pure altri programmi, irradiati da un ufficio di corrispondenza che da qualche mese era stato avviato in via Perini, 141, a Trento. Era la radio pubblica che andava in onda a diffusione regionale da due appartamenti trasformati in redazione, programmazione e studio di registrazione dell’unica emittente allora consentita: la RAI, appunto. Per la decorazione dell’ingresso, nel condominio di via Perini, fu chiamata Cesarina Seppi, già artista affermata, la quale modellò e scavò un’intera parete di gesso. Lo studio radiofonico, sagomato come una vela al vento, fu “foderato” con il legno di una nave da crociera in disarmo.
In verità, una radio regionale era diffusa fin dal 1928, quando il fascismo aprì a Bolzano la quarta stazione radiofonica italiana dopo Roma, Milano e Napoli. Le trasmissioni in lingua italiana dovevano favorire l’italianizzazione di una popolazione a prevalenza di madrelingua tedesca. Nel 1960 fu inaugurata la nuova sede RAI di piazza Mazzini a Bolzano. Sei anni dopo “L’Adige” titolò: “In onda con programmi propri gli studi della radio Trento”.
La redazione del “Gazzettino delle Dolomiti” fu messa in piedi in tutta fretta. Gianni Faustini, già notista politico e redattore dell’Adige a fare da capo della redazione, con Mario Paoli e Roberto Moggio a imbastire le rubriche e i “Gazzettini” dal Trentino. Ogni notizia era trasmessa a Bolzano con la telescrivente perché la supervisione di tutto fu attribuita alla sede RAI altoatesina.
Operatori per le immagini: Bruno Merlo e Mario Rigoni (quest’ultimo sarebbe diventato giornalista professionista e poi caporedattore dal 1976 quando Trento fu elevata a sede regionale), con qualche collaborazione sporadica di Flavio Faganello. Il quale rifiutò l’assunzione che gli fu proposta dopo qualche anno di collaborazione a cachet. Giravano le immagini in pellicola, con la celebre “Arriflex” da 16mm caricata a mano. Filmati per “Cronache Italiane” o, in casi eccezionali, per il solitario ancorché unico Telegiornale nazionale.
Il 7 febbraio 1966 avevano preso il via, da Bolzano, le trasmissioni televisive in lingua tedesca. Ma fu soprattutto la radio, lo strumento utilizzato e reso popolare dai giornalisti che in quegli anni approdarono nella redazione di via Perini: Luigi Lambertini, Antonio Rossi, Manlio Morelli, Giacomo Santini, Adriano Morelli; Enzo Merz quale annunciatore. Per lo sport aiutava il “Brontolo”, Ottorino Bortolotti, il quale, toscano tra le labbra, a metà partita dei Gialloblù, lasciava la postazione “stampa” del Briamasco con l’immancabile frase: “Ben putéi, adess mi vago ‘n onda”.
Ma il primo cronista sportivo di “radio Trento”, della Rai, fu Roberto Moggio. “Bob” Moggio arrivò in via Perini per caso, anche se aveva cominciato a fare il cronista per “l’Alto Adige” (dal 1945 al 1952) tornato a casa dopo la guerra di Russia. “Fatta con i tedeschi”, precisava. “Mi avevano mandato con un camion a Rosenheim a prendere margarina, così mi era stato ordinato. Arrivato lì mi caricarono su una tradotta militare e fui spedito in Ucraina”.
Tornato dalla guerra, grazie alla parlantina sciolta e alla buona scrittura imparata dai Salesiani, Roberto Moggio era stato assunto all’“Alto Adige” da Gino Lubich. Ma quando, nel 1952, i Rangoni gli avevano proposto di mettere su una rete di vendita delle autovetture FIAT non aveva saputo resistere. Così come, anni dopo, non aveva saputo dire di no all’invito di Gianni Faustini a collaborare con la RAI, pur continuando a vendere automobili. Tant’è che quando, a pochi mesi dall’esordio quale giornalista-speaker, il barone de Strobel, direttore della sede di Bolzano, gli aveva annunciato la “bella notizia” della possibile assunzione stabile alla RAI, Roberto Moggio aveva detto “no grazie”.
Raccontava: “La stima di Faustini e la libertà di movimento che avevo in via Perini mi avrebbero fatto propendere per il sì, ma da Rangoni ero già direttore dell’ufficio vendite, guadagnavo bene, ma proprio bene”. Andò così: in orario d’ufficio Bob Moggio vendeva e faceva vendere ai suoi collaboratori le autovetture (tremila all’anno) ma alle 11.30 scappava da via Brennero per fiondarsi in via Perini per mettere mano al “Gazzettino”. Poi, fino alle 15, fuori con il “Nagra”, il registratore professionale da dodici chili, girovago a raccogliere voci e interviste per le rubriche: “Settimo giorno sport”, “Corriere di Trento”, “Identiquiz”. La domenica, la concessionaria della FIAT era chiusa. Pertanto, il nostro poteva essere a completo servizio della redazione. Il cachet di Moggio era maggiorato e c’era soprattutto da seguire lo sport. A quel tempo “Radio Trento” non aveva concorrenza: vantava ascolti di lusso.
Roberto Moggio mostrava con civetteria a pochi eletti l’ordine di servizio di Toni Rossi il quale lo aveva inviato (era il 1967) quale “radiocronista” al Giro d’Italia. C’era Aldo Moser che correva per la Vittadello, con Gino Bartali direttore sportivo.
Fu l’anno in cui Enzo Moser, il fratello, attaccò la bici al chiodo, mentre a Palù scaldava i muscoli Francesco, il più piccolo, il quale avrebbe vinto più di tutti.
Messo alle strette fra le auto da vendere e le notizie da recuperare, nel 1972 Bob Moggio lasciò a malincuore il microfono. Ma non lo sport. Giusto l’anno prima, assieme all’avv. Giulio Giovannini (cui si erano aggregati Nele Zorzi e Mario Cristofolini), Roberto Moggio aveva dato vita alla Marcialonga di Fiemme e di Fassa. “Marcialonga”: un neologismo sgusciato dalla sua effervescente intelligenza. Un fenomeno sportivo e di costume che avrebbe fatto conoscere le valli Dolomitiche in tutto il pianeta. Vulcano di iniziative e di programmi, Moggio avrebbe poi coniato perfino il nome di una nuova vettura della FIAT: la “Ritmo”, uscita dagli stabilimenti di Cassino dal 1978 al 1988. Intanto nel 1979 a “Radio Trento” si era affiancato il Telegiornale regionale. Da qualche anno editori privati si erano tuffati nell’etere radiofonico e televisivo. Le radio commerciali insegnarono ai paludati giornalisti della RAI che si poteva fare informazione anche con un gettone del telefono. Già, il gettone chi lo ricorda più? Un dischetto di metallo, poco più robusto di una moneta da un euro, del valore di 100 e poi 200 lire, che fu in uso fin verso il 2001. Nel nuovo millennio dilagò il telefonino cellulare. Erano tempi in cui, recitava uno slogan, “una telefonata allunga la vita”. Chissà quante telefonate ha fatto “Bob” Moggio per arrivare alla soglia dei 97 anni. E chissà se nell’armadio di uno studio radiofonico della RAI, in via Perini a Trento, c’è ancora il vecchio “Nagra”. Servito a generazioni di radiocronisti per raccontare la vita, per testimoniare con suoni e parole un Trentino che da cronaca si faceva storia. Ai non più giovani colleghi degli anni Settanta, Roberto Moggio mostrava con orgoglio due dischi con le sigle di quelle prime trasmissioni. Ma erano di vinile; si potevano ascoltare soltanto a “78 giri”. Il giradischi è finito anch’esso in qualche magazzino o nel museo della prototecnologia. Era appena cinquant’anni fa.