Nell’estate del 1907 dalla biblioteca del Principesco seminario vescovile di Trento scomparve un codice manoscritto della Divina Commedia di Dante Alighieri. Formato da 104 fogli di carta, fabbricata tra il 1364 e il 1386, il codice fu rubato, nel corso di un trasloco, da un uomo che aveva lavorato come servo nel seminario vescovile di Trento (poi arrestato e condannato a tre anni di carcere duro). Quel codice fu venduto per 50 lire a un libraio bresciano. Riemerse sul pubblico mercato due anni dopo quando un antiquario fiorentino lo mise in vendita a 25 mila lire (più o meno l’equivalente di 60 mila euro di oggi). Ci fu un processo intentato dal Seminario per tornare in possesso del prezioso cimelio, ma qui era territorio austriaco e il venditore viveva nel regno d’Italia. Finì con una transazione. Il Seminario riacquistò il manoscritto sborsando 4 mila lire. Ma quella era davvero una rarità per i bibliofili e non solo. Al confronto fanno sorridere certi titoli di giornale per il ritrovamento e il sequestro di un libro di leggende trentine edito poco più di un secolo fa.
In questi giorni varie testate trentine ( L’Adige; Il Dolomiti; Vita Trentina; La Voce del Trentino; Trentotoday) hanno riportato la notizia del recupero da parte delle forze dell’ordine di un libro pubblicato nel 1908 e un tempo (in epoca non precisata, ma successiva al 1919) appartenente alla parrocchia di Faver, messo in vendita sul mercato online. Trattasi della prima edizione del volumetto “Racconti e leggende del Trentino”, stampato a Trento dalle grafiche Artigianelli, opera del sacerdote di Predazzo Lorenzo Felicetti (1864-1937), autore di numerosi testi dedicati alla descrizione del territorio trentino, alla sua storia e alle sue tradizioni (in particolare delle valli dell’Avisio e delle Giudicarie, dove svolse parte del suo servizio pastorale), nonché di alcuni titoli dedicati alla dottrina sociale della Chiesa e a temi letterari e poetici (con una predilezione per Dante).
A lasciare un po’ perplessi circa la notizia circolata sulla stampa trentina di questi giorni è stata l’enfasi generale che la ha accompagnata e l’approssimazione di alcuni termini ed espressioni usati nei titoli, negli occhielli e negli articoli, che – agli occhi di qualche addetto ai lavori – ha superato i limiti della ragionevolezza. “Bloccata vendita di un prezioso libro antico”; “Trova in soffitta uno storico libro trentino trafugato 100 anni fa”; “Cerca di vendere un libro del 1908 del nonno, ma è un bene tutelato e viene fermato” … seguivano articoli molto simili nei contenuti, che verosimilmente riprendevano – con qualche minima variante – il medesimo comunicato o lancio di agenzia. Venendo al libro in questione e al modo in cui la vicenda è stata presentata …
La differenza tra libro antico e moderno è convenzionalmente definita dalla letteratura specializzata e dagli standard catalografici con l’anno 1830 (epoca dell’adozione delle tecniche e dei macchinari di stampa di tipo industriale). Sul pregio bibliografico del volumetto del Felicetti non pare che i bibliofili abbiano mai espresso un qualche giudizio. Le caratteristiche editoriali dei prodotti che uscivano dalla tipografia Artigianelli erano solitamente improntate alla sobrietà e destinate a un pubblico popolare. Idem a proposito della sua rarità. Di sicuro, scorrendo i cataloghi online, numerose sono le copie conservate e disponibili alla consultazione presso le biblioteche trentine.
Il timbro impresso sul frontespizio dell’esemplare che ha permesso di ricondurne l’appartenenza alla parrocchia di Faver (eretta nel 1919) è sicuramente un elemento extratestuale che offre un dato sulla storia dell’oggetto, facendone ipotizzare l’inclusione all’interno di una biblioteca parrocchiale (della quale non sembra vi siano notizie). Elementi interessanti, ma sicuramente non sufficienti a illuminare la storia successiva occorsa al libro e le eventuali responsabilità legate alla sua “uscita” dal fondo librario parrocchiale, che lo hanno portato a far parte di una raccolta privata, oggetto in questi giorni dell’attenzione degli organi di informazione.
Bibliotecari, archivisti e studiosi ben sanno che le bancarelle che trattano pubblicazioni “d’epoca” e gli scaffali delle librerie antiquarie sono piene di testi a stampa (e talvolta documenti d’archivio) la cui origine è riconducibile a istituzioni ecclesiastiche e a ordini religiosi. La storia dei singoli pezzi e la causa della loro attuale presenza “fuori contesto” può essere estremamente varia: dalle grandi soppressioni delle congregazioni religiose con i relativi monasteri e conventi (in epoca “giuseppina”, napoleonica, postunitaria…), fino ad alienazioni – condotte in maniera più o meno formale e “ufficiale” – di singoli libri e di intere collezioni da parte di parroci e cappellani. Per non parlare della stagione, seguita al Concilio Vaticano II e alla riforma della liturgia tridentina, che registrò una cospicua dispersione di beni di proprietà ecclesiastica e religiosa. Un periodo in cui enormi quantità di libri, talvolta molto antichi, non più in uso per il culto e nelle funzioni finirono in vario modo sul mercato antiquario, assieme a molte suppellettili che costituivano il parato liturgico delle chiese, generando anche forme di riuso estremamente originali e lontane dalla funzione originaria dei beni: si pensi ai moltissimi candelabri trasformati in soprammobili, magari sormontati da paralumi in pergamena (talvolta provenienti da codici medievali); o alla sfascicolazione di libri liturgici per estrarne le pagine esteticamente più accattivanti, che incorniciate finirono appese alle pareti di molti salotti eleganti; fino alla moda – invalsa in certi periodi – di trasformare inginocchiatoi e perfino confessionali in eleganti mobili-bar.
Tornando al libretto di Faver, le ipotesi legate alla sua “partenza” dalla parrocchia cembrana possono essere delle più varie: dal prestito – senza l’adeguato “richiamo a Pietro” – da parte di un parroco a qualche parrocchiano o parrocchiana desideroso o desiderosa di leggere delle leggende popolari descritte dal Felicetti; al regalo del libro perché “doppio”; ad un trasloco poco attento alle librerie e a un fortuito recupero da parte di qualche operaio.
Una massima latina attribuita a Orazio, ma in realtà del grammatico del III secolo d.C Terenziano Mauro, recita: “Sua fata libelli pro captu lectoris habent”. Propriamente “I libri hanno la loro fortuna secondo la disposizione del lettore”. In un altro senso – più materiale – significa anche che ogni libro ha il proprio destino.
Senza nulla togliere al preziosissimo lavoro delle autorità inquirenti addette alla tutela del patrimonio culturale, si spera che l’attività investigativa e il lavoro della procura della Repubblica legata al recupero del libretto di Faver non abbia sottratto troppo tempo e risorse alla macchina della giustizia …
Una vicenda che ha fatto tornare alla mente di chi scrive un originale metodo antitaccheggio in uso nei secoli passati, presente sul frontespizio di una preziosa edizione cinquecentesca conservata nella biblioteca di un convento francescano trentino. Una nota manoscritta, vergata in un latino un po’ maccheronico ma comunque efficace nel sollecitare e tener desta la coscienza dei consultatori di fronte alle tentazioni e metterli in guardia rispetto agli effetti di un eventuale gesto sconsiderato:“Quisquis rapiat librum istum/ Non videbit Jesum Christum/ Sed peribit in infernum/ Ad bruciandum in aeternum/ Cum tota turba diabolorum/ Per omnia saecula saeculorum” (Traduzione per chi non mastica il latinorum: “Chiunque ruberà questo libro/ non vedrà Gesù Cristo/ ma morirà all’inferno/ e vi brucerà in eterno/ assieme a tutti i diavoli/ nei secoli dei secoli”). Amen.