Proseguiamo la carrellata storica sul razzismo e l’antisemitismo puntando l’attenzione su ciò che accadde in Spagna nell’anno della scoperta (ma di là dall’Atlantico parlano di “conquista”) del Nuovo mondo. Cristobal Colon (Cristoforo Colombo) il 12 ottobre 1492 approdò sull’isola di Salvador, alle Bahamas, convinto di aver raggiunto le Indie veleggiando verso ovest. Con quel primo viaggio cominciò lo sterminio dei nativi, di quei popoli che furono decimati dai conquistadores spagnoli e portoghesi ma soprattutto dai contagi portati dal vecchio mondo. Prima dell’arrivo di Colombo, nei Caraibi non si erano mai avuti contagi per tubercolosi, tifo, scarlattina, morbillo, colera e polmonite. Dopo il 1494, a causa delle infezioni si avviò l’estinzione delle civiltà indigene: gli Aztechi e i Maya in Messico, gli Inca in Perù. Con la penna di Renzo Fracalossi torniamo in Europa nel regno di Isabella I di Castiglia e di Ferdinando II d’Aragona.
Il 31 marzo 1492 è un giorno indimenticabile nella vicenda dell’ebraismo europeo. Proprio in quella data, Ferdinando il Cattolico, re di Spagna, trasforma la sua personale volontà in un decreto avente valore di legge e con il quale si ordina la completa espulsione dal regno di tutti gli ebrei residenti, entro un tempo massimo di quattro mesi, pena la morte per chi non ottempera a tali disposizioni.
Di fronte a quest’improvvisa, quanto irreversibile, decisione reale, molti se ne vanno in fretta, ma altrettanti decidono di rimanere convertendosi, “obtorto collo”, al cristianesimo. Ben pochi però si fanno illusioni su queste conversioni e quegli ebrei, divenuti in breve cristiani, vengono appellati come “marrani” e perseguitati comunque dalla Santa Inquisizione che vede nel loro battesimo una occulta manovra demoniaca per inquinare la vera ed unica fede.
Nel volgere di pochissimo tempo, la questione di questi nuovi convertiti viene talmente sentita come problematica dagli spagnoli “cristiani da sempre”, al punto da doverli spingere ad esibire, non solo il proprio attaccamento a Santa Romana Chiesa, ma anche quello di padri, nonni ed avi, in una sorta di anticipazione dell’arianità nazista. L’idea della “purezza ereditaria” viene forzata fino a coniare il concetto di “limpieza de sangre”, la limpidezza del sangue quale garanzia di non avere alcuna ascendenza ebraica o “marrana”, vista la frequenza di molte conversioni di necessità.
È quindi attorno al tema del sangue, unito a quello della purezza, della verginità e della limpidezza che sono elementi tipici del cristianesimo medioevale, che si sviluppa una forma di razzismo e di discriminazione generica nei confronti degli ebrei spagnoli.
Il sangue è veicolo della vita e, come tale, non può essere intaccato da nessuna contaminazione fra credenti di fedi diverse, né tanto meno con “razze” che hanno dimestichezza con il demonio e che si sono macchiate dell’uccisione del “Figlio di Dio”. Con costoro non può esserci dialogo ed anzi essi vanno allontanati, discriminati ed uccisi proprio per garantire l’assenza di ogni contaminazione. È “l’antisemitismo del sangue” che trova, ben presto, applicazione attraverso specifiche norme e disposizioni di legge che privilegiano, in via principale, quello che oggi definiremo come “l’aspetto genetico”, individuato appunto dalla purezza del sangue.
Si viene così definendo il principio dello “ius sanguinis”, cioè il diritto per sangue, contrapposto a quello dello “ius solis”, il diritto del suolo e quindi di appartenenza al luogo di nascita: è un mattone importante nella costruzione dell’antisemitismo, dapprima spagnolo e poi europeo; un mattone che segna larga parte della lotta per la purezza della razza anche nei secoli seguenti. Si tratta di una contrapposizione antica e che oggi sembra però riaffiorare nel dibattito sociale e politico relativo alle nuove emigrazioni/immigrazioni nel vecchio continente. Quel “diritto del sangue”. Stabilito nella Spagna del Cinquecento, lascia ancora traccia di sé, contribuendo, non poco, al formarsi di nuove “culture” razziste e xenofobe anche nell’Europa del XXI secolo.
La penisola iberica è uno dei luoghi di fermentazione alta dell’antisemitismo. Occupata dagli arabi nel 711 d.C., ospita già allora molte comunità ebraiche giunte con le prime dispersioni dalla Palestina romana. Arabi ed ebrei convivono ed interagiscono pacificamente nella Spagna d’allora, come in altre realtà del Mediterraneo, al punto che i cristiani, sempre diffidenti verso i figli di Israele, li accusano di collusione con l’Islam e tendono a prendere le distanze da ogni possibile collaborazione fra i tre gruppi etnici che discendono dal Libro. Ciò nonostante la cultura ispano-moresca fiorisce in modo straordinario, come dimostrano paesi, città ed insediamenti fra i quali spicca Cordova dove Abd-al-Rahman, “Califfo e Commendatore dei Credenti”, fa di questa città una perla di raro splendore. È in questo clima che l’ebraismo cresce e si assesta, al punto che, nel X secolo, Hasdai ibn Shaprut, scienziato ebreo, diventa medico di corte e poi ministro del califfo. In tale veste egli cerca di emancipare l’ebraismo ispanico dalla preminente tradizione rabbinica babilonese e ciò gli vale il riconoscimento di “Nassi” e cioè capo di tutti gli ebrei di Spagna. Sarà da lui che prende origine la famiglia Nassi – o Nasi – che avrà poi un ruolo importantissimo nella complessiva vicenda della Serenissima Repubblica di Venezia, dove gli ebrei approdano dopo la cacciata dalla Spagna.
Le lotte intestine al mondo arabo e la “Reconquista” cristiana vedono ancora una centralità dell’ebraismo iberico che fornisce al nascente stato nazionale, frutto della somma dei vari regni in cui è suddivisa la penisola, l’apporto di intellettuali e studiosi capaci di disegnare la nuova e necessaria architettura istituzionale della Spagna. Nonostante un simile coinvolgimento nel potere, l’ombra della Chiesa si allunga sul regno e Papa Gregorio VII scrive a re Alfonso IV di Castiglia di “non lasciare che nelle tue terre, gli ebrei abbiano dominio sui cristiani”. È l’avvio di un percorso di intolleranza crescente e che sfocia appunto nell’espulsione del 1492.
E così, mentre Cristoforo Colombo si prepara alla sua spedizione oceanica verso le “Indie”, gli ebrei fuggono e si disperdono nell’area mediterranea e nelle città commerciali del nord Europa, dove nascono dinastie di ricchi commercianti e finanzieri, chiamati spesso a sostenere economicamente quei regni cristiani che non si fanno alcuno scrupolo a chiedere denaro agli ebrei, salvo poi accusarli di stregoneria ed eresia al momento di dover onorare i debiti contratti: è una tecnica che farà scuola.
Nel 1835 viene finalmente abolita la Santa Inquisizione e lo Stato prova lentamente a laicizzarsi. Gli ebrei sono ancora pochissimi nella penisola iberica, ma ciò nonostante il pregiudizio rimane intatto e si rafforza poi, nel Novecento, con il franchismo che alimenta l’odio fino a sostenere alcuni massacri di ebrei, durante la guerra civile, che riducono ulteriormente la già piccola comunità ebraica spagnola.
Oggi sono circa 3mila e vivono prevalentemente a Barcellona. Ma nelle campagne e nella Spagna “profonda” l’antico germe dell’antisemitismo rimane ancora vivo e si coniuga spesso con nuove forme di razzismo e di negazionismo, con vecchie nostalgie dittatoriali e con generiche spinte antislamiche, in un intreccio di odio e di violenza che alimenta, a sua volta, il più vasto antisemitismo europeo moderno.
(6. – continua – Le precedenti puntate sono state inserite il 22 settembre, 27 settembre, 5 ottobre, 11 ottobre e 21 ottobre 2021)