Dopo 32 anni di servizio, si è dimessa Domenica Primierano, direttrice del museo diocesano di Trento, un’eccellenza della cultura trentina e tra i migliori musei diocesani d’Italia. E altre due dipendenti se ne sono andate le scorse settimane. Il principio della fine è cominciato il 19 gennaio 2021 quando il giornale “L’Adige” ha pubblicato un’intervista alla direttrice del Museo diocesano, l’arch. Domenica Primerano. Mal interpretando il suo pensiero, come lei ha poi precisano in una lettera al giornale, si attribuiva alla direttrice Primerano l’intenzione di voler riportare i resti dell’infante Simone nella cappella adiacente la chiesa di San Pietro, a Trento, dove erano venerati da quattro secoli, fino al 1965 quando il culto a “San Simonino” fu abolito.
“Le reliquie del Simonino torneranno nella cappella di San Pietro”, titolava l’Adige il 19 gennaio scorso. Facendo andare di traverso la colazione all’arcivescovo Tisi. Scriveva il responsabile della pagina culturale del giornale, Fabrizio Franchi: “Riaprono i musei, ma non il Diocesano, che rinvia tutto al 26 marzo 2021. Nel frattempo il Museo di piazza Duomo non resta a guardare. Tanti i progetti preparati dalla direttrice del Museo, Domenica Primerano. Tra questi, una decisione di valenza storica, quella di ricollocare nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo a Trento la reliquia del Simonino, il bambino ucciso [in verità, trovato morto annegato. n. d. r.] nel 1475, considerato vittima degli ebrei e su cui fu costruita nei secoli una feroce campagna antisemita. Costruita però su una “fake news”, smontata dalla stessa Chiesa cattolica fin dal 1965 con monsignor Iginio Rogger e il vescovo Alessandro Maria Gottardi che tolsero la reliquia dalla chiesa di Pietro e Paolo, in via San Pietro a Trento e smontarono l’inconsistenza del culto, vietando anche le processioni in suo nome. E poi l’anno scorso, a rafforzare e a rendere sistematica la riflessione, è arrivata la mostra del Museo Diocesano. Mostra che diventerà permanente nella chiesa e su cui sarà costruito un percorso ragionato in città con delle guide culturali”.
Scriveva ancora il giornale di via Missioni Africane: “La reliquia [del Simonino], che in passato godeva della devozione – deviata e deviante – dei settori cattolici più tradizionalisti, torna a casa e saranno organizzate anche visite alla cappella del Simonino, a palazzo Bortolazzi, in accordo con il Fai, proprietario dell’edificio, che l’ha ricevuto in eredità da Marina Larcher Fogazzaro. Le guide condurranno in percorsi guidati il pubblico in tutti i luoghi che hanno dato origine alla leggenda nera del Simonino”.
Proprio una “leggenda nera” poiché la direttrice Primerano, come aveva spiegato qualche giorno dopo in una lettera al giornale, non aveva mai pensato di riportare in auge il culto del Simonino, men che meno di riesumarne i resti poiché, almeno ufficialmente, non sapeva nemmeno dove fossero stati sepolti dopo l’abolizione del culto (1965). Tuttavia, quelle precisazioni non sono servite a mitigare il fastidio che serpeggia da anni ai piani alti della Curia arcivescovile, dove, a causa di reiterati tentativi dei “tradizionalisti” di riportarne in auge il culto, il Simonino rappresenta ancora un nervo scoperto.
Questa vicenda ha fatto da detonatore ad una crisi (di bilancio, di visitatori, di scarsa “sacra” considerazione, ma anche di malintesi istituzionali) che si trascinava da qualche anno. La direttrice del Museo diocesano non è stata richiesta di un chiarimento, tutto è stato trattato molto “curialmente”: col silenzio. Il conte zio dei “Promessi sposi”, in questo senso, ha fatto scuola: “Sopire, troncare, padre molto reverendo, troncare, sopire”.
Il fatto è che il Museo diocesano non è un ente autonomo dalla diocesi, ma – questa la critica di piazza Fiera – in piazza Duomo ci si è sempre comportati come se lo fosse. Salvo poi dover ricorrere all’elemosiniere curiale per ripianare i conti.
Ad ogni modo, la mostra sulla “fake news” del 1475, il caso del Simonino e “l’invenzione del colpevole”, ha avuto un tale successo che, nei giorni scorsi, all’arch. Domenica Primerano (e al “suo” museo) è stato attribuito il prestigioso premio “Grand Prix 2021”, nella categoria Educazione, Formazione e Sensibilizzazione nell’ambito del massimo riconoscimento europeo per il patrimonio culturale. La sera di venerdì 8 ottobre, alla consegna del premio, (con le lodi rivolte, in zona “Cesarini”, dall’arcivescovo Tisi a un’algida Primerano) l’annuncio ufficiale delle dimissioni già presentate due mesi fa. Peraltro in buona compagnia, posto che se ne sono andate, nei giorni scorsi, anche due dipendenti del museo: Chiara Leveghi e Valentina Perini. Dimezzando in tal modo il personale addetto al “diocesano”. Questo il comunicato, diffuso dalla (ex) direttrice del museo diocesano di Trento:
“È arrivato il mio turno: come Chiara e Valentina, anch’io lascio il museo. Il mio mandato scade nel marzo del 2023. Tuttavia l’8 agosto ho rassegnato le dimissioni: si è trattato di una scelta molto sofferta, anche perché al “mio” museo ho dedicato gran parte della vita. Ma nella vita c’è un tempo per ogni cosa. Ripenso ai 32 anni passati in quella che spesso ho definito “la mia seconda casa”, alle persone con cui ho lavorato, a quelle che non ci sono più e che hanno condiviso con me le grandi trasformazioni impresse al museo tra il 1989 e il 1995. Mons. Iginio Rogger, anzitutto, l’indimenticabile direttore; la prof.ssa Donata Devoti che ci ha seguito nello studio dei tessili; Luigi Botta che si occupò della realizzazione delle vetrine; Ivano Postal imprenditore edile al quale fu affidata la ristrutturazione dell’edificio; ma soprattutto Hector Peralta che sarebbe riduttivo definire “il custode” perché lui è stato molto, molto di più. Penso con affetto ad alcuni componenti del vecchio Curatorium (così si chiama il nostro CDA): don Paolo Holzhauser, la prima persona che mi ha accolto in museo; il dott. Gios Bernardi; il geometra Cesare Chierzi. Persone che hanno amato davvero il museo e mi hanno sempre sostenuto con convinzione. Un pensiero va anche al mio staff, ma soprattutto a chi mi è stato vicino non solo professionalmente ma anche umanamente, condividendo la mia idea di museo. Grazie a tutti, a chi ha creduto in me e nei miei progetti; a chi ha amato il museo e ancora lo amerà, ai tanti visitatori, all’Arcidiocesi e alla PAT che lo hanno sempre sostenuto economicamente e che, ne sono certa, lo sosterranno ancora. Auspico che chi prenderà il mio posto condivida la mission che ci siamo dati: essere l’orecchio in ascolto della comunità”.
Lasciato il museo, l’arch. Domenica Primerano ha annunciato che si concederà una lunga pedalata in bicicletta sulla Loira. Tra castelli veri, dopo i castelli in aria, mal digeriti, nonostante le sue smentite dichiarazioni, nelle ovattate stanze della curia arcivescovile di Trento.