Dal 9 ottobre al 9 gennaio 2022, nelle “gallerie” di Piedicastello, a Trento, è allestita una mostra dal titolo “Il Giro della via Lattea”, storie di (stra)ordinari allattamenti. Promossa dalla Fondazione Museo Storico in Trento, con la collaborazione dell’Università, la rassegna pare aver dimenticato uno dei principali protagonisti, in epoca contemporanea, della diffusione dell’allattamento materno, vale dire la Neonatologia Trentina. Da quarant’anni, per l’impegno del già primario ospedaliero Dino Pedrotti e del personale (ostetriche, infermiere e puericoltrici) che hanno accompagnato lo sviluppo della pediatria infantile, l’allattamento al seno ha contribuito ad invertire la mortalità neonatale. Tanto che dal 1972 al 2010 si è passati dal 30 per mille a 1,9 bambini morti per mille nati. Contemporaneamente l’allattamento materno è passato dal 60% al 97%. Ad ogni buon conto, fatte le debite rimostranze, il dott. Pedrotti ha ottenuto che nelle gallerie di Piedicastello ci fosse almeno un tavolino con la rivista di “Neonatologia Trentina”, il cui ultimo numero, uscito in questi giorni, promuove anche la “via Lattea” del Museo storico.
Precisa il dott. Pedrotti: “La rassegna non ha dimenticato la Neonatologia trentina: tanto che sta ospitando il nostro punto di vista di Amici della Neonatologia e della storia passata della Neonatologia. È stata organizzata una “rassegna storica perfetta” che si limita però alla storia non recente (miti, biberon, “latti artificiali”, baliatico, arte sacra, Italia redenta, numeri storici, “straordinari allattamenti” ma non materni, latti di capra o di cane…). Certo, la mia è solo un’opinione di parte, di un “sindacalista” che difende i “diritti attuali” (fissati dall’ONU più di 30 anni fa) della persona più debole in assoluto, il più piccolo Neonato.
La Mostra sarebbe stata una buona occasione per presentare, oltre agli “allattamenti storici”, gli “allattamenti straordinari” della storia degli ultimi 50 anni (a neonati di mezzo chilo, ad esempio). Sarebbe stata un’occasione culturale eccezionale”.
Ancora: “Ma non potevo certo “pretendere” che presentassero le idee attuali (non certo mie, ma della Neonatologia mondiale…). La “Commissione scientifica” ha escluso chi cura con le mamme l’attuale “cultura sul latte materno” (a parte i farmacisti). È impegnativo far capire che protagonista dell’allattamento è oggi il Neonato, non più la madre: una vera rivoluzione”.
Già nel maggio scorso, un webinar sull’allattamento, nell’ambito del progetto “la via Lattea”, aveva suscitato vibrate proteste (se ne era occupata anche la formazione politica Futura) perché a parlare di allattamento erano stati invitati soltanto relatori maschi. Di più: l’associazione “Non una di Meno” aveva lamentato “anni di rivendicazioni feministe cancellate dalla storia” perché, a corredo della locandina che propagandava il seminario, era stata collocata un’immagine della “Madonna che allatta”. A tale proposito non sarà di inciampo dedicare qualche riga al tema iconografico dell’allattamento della Vergine, anche perché poco conosciuto al di fuori della cerchia degli storici dell’arte.
Se l’allattamento è vecchio quanto il mondo, l’arte sacra se ne è occupata a partire dal concilio di Efeso (431) che stabilì il ruolo di Maria quale madre di Dio e non solo di Cristo. L’iconografia cristiana della Madonna del Latte, dall’Egitto copto (delle immagini stilizzate) si è diffusa con l’arte bizantina. In Italia, le immagini della “Lactatio Mariae” si diffusero dal XII secolo. Scriveva la restauratrice Ida Molinaro (2020) che “L’identificazione tra Madonna col Bambino e maternità produsse un forte incremento del culto mariano, la Madonna che allatta divenne infatti testimonianza visibile del parto e della maternità, nobilitandoli entrambi. Alla fine del ‘200 prese corpo la tendenza da parte della Chiesa di comunicare ai fedeli i contenuti dottrinali in una maniera fortemente empatica, per cui fra il ‘300 e il ‘400 si ritroverà vittorioso il culto di Maria come figura umana grazie a una nuova interpretazione della religione cristiana, non più ieratica e inaccessibile ma umanizzata e sentimentale. Lo sgorgare del latte divenne segno di trasmissione della sapienza e conoscenza da parte della Chiesa verso il popolo. La rappresentazione della Madonna lactans ebbe quindi la massima fioritura da questo secolo fino all’età conciliare quando, rilevata nuovamente la sua sconvenienza, ne verrà proibito l’utilizzo per essere sostituita da altre tipologie raffigurative”.
Al punto che nel tardo Medioevo, quello delle reliquie, in Europa si diffuse l’usanza di custodire nelle chiese ampolle con il “sacro latte” della Madonna. Si credeva che, al solo guardarlo, avesse effetti miracolosi in grado di far sgorgare nuovamente il latte alle partorienti che erano rimaste asciutte.
Nel XIV e XV secolo, fra Umbria e Toscana si sviluppò un’interessante iconografia della “Lactatio Mariae” (Firenze e Siena, soprattutto). Il culto alla “Madonna che allatta” fu incoraggiato da San Bernardo di Chiaravalle (1090-1153), il fondatore dell’abbazia cistercense francese di Clairvaux, il quale sosteneva di aver ricevuto il latte (della sapienza) direttamente dalla Vergine Maria. In proposito, nell’atrio dell’abbazia cistercense di Stams, in Tirolo, c’è un grande affresco con l’immagine di S. Bernardo a bocca spalancata che riceve uno spruzzo di latte dal seno della Madonna. Fu il concilio di Trento (1545-1563) a proibire quelle immagini “scandalose e provocanti”, tant’è che, dalla seconda metà del XVI secolo, la Vergine non fu più raffigurata col seno scoperto. Tuttavia, anche in Trentino esistono immagini sacre della “Lactatio Mariae” (Arco, Val di Non, al museo diocesano a Trento) sopravvissute alla censura iconoclasta del post tridentino e grazie alla mano di scialbo passata sugli affreschi nelle chiese.