Ci sono pietre miliari che segnano la storia dell’informazione. Il tedesco Johannes Gutenberg negli anni fra il 1453 e il 1455; il cinese Bi Sheng quattrocento anni prima, dotarono il mondo della stampa con una tecnica a caratteri mobili. All’alba del XVII secolo si diffusero le prime Gazzette, i primi fogli d’avviso, di informazione al pubblico dei (pochi) lettori e con periodicità irregolare. L’informazione seguì l’evoluzione della tecnologia, delle tecniche di stampa, della diffusione del servizio postale. Nel frattempo, per sostenerne le spese, sui fogli a stampa cominciarono a comparire annunci e “avvisi” che tessevano le lodi di un tal prodotto, di una certa bottega, di un fiorente commercio.
Gli editori hanno sempre fatto ricorso alla pubblicità per sostenere le spese dei quotidiani di informazione, soprattutto quando non c’erano le “provvidenze per l’editoria”. In questi ultimi anni il crollo delle vendite dei giornali “di carta” ha costretto gli editori ad inventarsi e propinare nuove forme e nuovi formati promo-pubblicitari. Si è fatto ricorso alla “pubblicità redazionale” mascherata da “consigli per gli acquisti”, si sono varate rubriche sulle “nuove tendenze”, sui “gusti dei consumatori”. Sono fioriti e dilagati i cosiddetti “redazionali”, una forma di pubblicità occulta, talvolta firmata da un giornalista, alla quale il codice della deontologia professionale dei giornalisti e dei pubblicitari ha posto dei paletti. Un decreto legislativo del 1992 ha recepito una direttiva della Comunità Europea in materia di pubblicità ingannevole.
Il lettore deve essere informato che l’articolo che sta leggendo non è un resoconto di cronaca ma una informazione pubblicitaria. Vale a dire che tutte le lodi e i giudizi positivi che troverà in quel testo su quella specifica iniziativa o prodotto sono “viziati” dal fatto di essere pubblicati “a pagamento”. Non tutti lo fanno, non sempre vien fatto. Gli organismi preposti alla tutela del lettore-consumatore vigilano, talvolta sanzionano, spesso hanno armi spuntate.
E poi ci sono le stravaganti furbizie di qualche editore che pur di richiamare l’attenzione del lettore-consumatore non esita a stravolgere le pagine dei propri giornali. Più che questioni di etica qui sono in ballo scelte di estetica. A pagamento maggiorato, si presume.
“Pecunia non olet”, dicevano i Latini.
Giovedì 30 settembre, il giornale l’Adige di Trento (ma lo stesso è accaduto a Bolzano con il giornale “Alto Adige”) è uscito con la prima pagina piegata in modo che fosse visibile una striscia pubblicitaria di due intere colonne stampate in terza pagina. Si poteva trasferire quella pubblicità direttamente in “prima”, come ha fatto il “Dolomiten”? Certo che sì, ma tale scelta non avrebbe ottenuto l’attenzione ricevuta dai lettori i quali, sconcertati dalla piega del giornale sono stati costretti a fissare la pubblicità che sgusciava dalla “terza”. Peccato che la prima pagina fosse dominata dal titolo su un giovane roveretano morto per incidente stradale in Svezia. La pubblicità a lato annunciava una “promozione Kasko” per celebrare i duecento anni di una compagnia di assicurazioni. Non contenti, la stessa piega di pagina è stata compiuta nella cronaca di Rovereto dove si sviluppava la notizia del giovane uscito di strada e morto alla guida di un quad. E anche qui sgusciava l’annuncio dell’assicurazione come “VetturaSicura 1821”.
Più che cattivo gusto, una brutta piega.