Parlare di antisemitismo significa anzitutto parlare di Europa. La presenza ebraica costituisce infatti parte essenziale ed irrinunciabile della coscienza stessa del vecchio continente. L’ebraismo e le sue antinomie, stando alla base del formarsi delle culture e della storia europea, ne hanno determinato le inclinazioni e l’essenza profonda, incontrandosi e scontrandosi con il pensiero cristiano, ma anche con le suggestioni delle filosofie materialistiche e con le evoluzioni politiche e sociali delle stesse.
Protagonisti intellettuali, sociali ed economici, più per necessità storica che per vocazione personale o di gruppo, gli ebrei sono comunque rimasti sempre la minoranza più coesa ed organizzata, unitaria e impenetrabile e forse proprio per queste ragioni vengono percepiti come un’estraneità della quale diffidare e comunque tenere ai margini dei corpi sociali nazionali che vanno formandosi dopo la caduta dell’impero romano.
La presenza degli ebrei in Europa pare databile fin dal XI secolo a. C. È, infatti, con la conclusione della grande esperienza formativa e religiosa delle “accademie” mesopotamiche, che i “figli di Israele” si disperdono in direzione dell’occidente e giungono anzitutto a Roma, allora “caput mundi”, dando corpo alla prima comunità ebraica fuori dalle geografie mediorientali dell’epoca.
L’arrivo degli ebrei nelle terre mediterranee e continentali porta con sé anche il bagaglio più antico che accompagna quei flussi migratori che passano sotto il nome di “diaspora”, dal verbo greco “diaspeirò” che significa disseminare nel significato di disperdere un popolo nel mondo dopo l’abbandono dei luoghi di origine e quel bagaglio si chiama “antisemitismo”.
Il termine, in realtà, sembra sia stato coniato a Berlino dal nazionalista prussiano Wilhelm Marr nel 1879, nel contesto di una sua pubblicazione pseudoscientifica dal titolo: “La strada verso la vittoria del germanesimo sul giudaismo, da una prospettiva aconfessionale”. L’espressione peraltro è assai poco coerente con la sua etimologia, perché non descrive affatto sentimenti razzisti e di ripulsa nei riguardi dei popoli semiti, cioè di coloro che parlano l’arabo, l’aramaico, l’ebraico e l’amarico, bensì solo l’odio verso gli ebrei, al pari del vocabolo tedesco “Judenhass”, ovvero “odio per i giudei”.
Ciò premesso, è veramente difficile trovare un’origine definita dell’antisemitismo, che non può risolversi nella mera contrapposizione fra la fede ebraica e le cosiddette “religioni figlie” del cristianesimo e dell’islamismo, perché l’antisemitismo è molto più antico, come il Libro di Esther evidenzia con assoluta chiarezza nella narrazione della persecuzione promossa da Aman, notabile del re persiano Assuero, che compie ogni sforzo possibile per l’eliminazione fisica del popolo ebraico. Il Libro di Esther, che è parte della Torah, pare essere stato redatto nel II secolo a.C., probabilmente a Babilonia e quindi ben prima appunto dell’avvento del cristianesimo e dell’Islam. E allora quali sono le cause dell’antisemitismo?
Fra le molte interpretazioni, quella più affidabile pare riferirsi alla violazione del rapporto con “madre-natura”. Infatti, quasi tutte le religioni, nell’elaborazione teologica iniziale, tendono ad individuare la creazione come atto di filiazione della natura, vista quindi nella sua dimensione materna, come testimonia larga parte del politeismo antico. L’ebraismo invece individua l’origine di tutto nel suo Dio che è Padre ed in quell’alleanza fra Terra e Cielo che affida al popolo di Israele il compito della salvezza dell’umanità. Ecco forse quest’unicità e questa missione salvifica assoluta diventano antagoniste delle altre forme religiose antiche: da un lato il Padre-Creatore del tutto e dall’altro la natura-madre che genera la vita. Si tratta di posizioni difficilmente conciliabili e che possono aver generato diverse e distanti interpretazioni, fino a far sfociare tale conflitto in uno scontro ideologico e sociale, alimentato fra l’altro anche dalla posizioine geografica della terra di Israele che pare essere esattamente equidistante fra i principali punti del mondo allora conosciuto. In tale contesto, Israele viene quindi ad assumere una centralità anche simbolica, voluta da Dio come culla dell’umano e come legame spirituale capace di unire fra loro e comunque tutti gli ebrei sparsi sul pianeta.
Forse l’origine dell’antisemitismo risiede nella somme di diversità che connotano i “figli di Israele” da tutti gli altri popoli dell’occidente allora conosciuti e che ne segnano i fermenti ed i tormenti, mentre gli ebrei che si spingono ad oriente non lasciano grandi tracce di sé, perché vengono rapidamente integrati in società già plurietniche; non svolgono mai ruoli sproporzionati rispetto al loro numero e non subiscono accuse infamanti come quelle del deicidio. L’antisemitismo è insomma un elemento tipico delle società occidentali e delle loro vicende nazionali e ne accompagna l’evoluzione, trovando ulteriori giustificazioni di sé con l’avvento soprattutto del cristianesimo, peraltro generato dall’ ebraismo stesso dal quale mutua molto sia in termini teologici che rituali.
Ciò non impedisce però agli ebrei di essere integrati nei reami ed imperi che vanno componendosi, come avviene con l’espansione romana che, occupando tutta la fascia mediterranea ed il relativo entroterra, assoggetta popoli e culture, ma non li annulla ed anzi lascia loro la libertà religiosa, in cambio di una fedeltà certa al potere di Roma. Sotto il dominio di Cesare ed Augusto, gli ebrei conservano un proprio centro territoriale e spirituale nella Giudèa, ovvero nella terra della tribù di Giuda, una delle dodici costituenti la nazione ebraica., pur muovendosi in tutto il mondo romano ed oltre e mantenendo intatte le loro convinzioni monoteiste.
I romani assimilano senza porre molti problemi, anche se il culto professato dagli ebrei comporta qualche difficoltà per quel “testardo” culto che vieta di ottemperare agli obblighi ed ai doveri di tutti i popoli sottomessi a Roma che peraltro, abile e pragmatica capisce ed esenta quei riottosi ebrei da alcuni obblighi, pur di non dover contrastare l’ennesima rivolta. Anche questo scatena invidie e gelosie che innescano ulteriori pregiudizi nei confronti degli ebrei da parte di altre popolazioni sottomesse e che non godono di alcun privilegio.
Roma insomma “si lava le mani” delle questioni religiose, come ben simboleggia Ponzio Pilato davanti alle accuse teologiche che investono un ebreo di nome Gesù. Quel gesto, figlio di una piena laicità, racconta meglio di tante ricerche il carattere del potere romano; un potere che non entra in campi diversi da quelli militari ed amministrativi per i popoli soggiogati e per tale ragione destinato a vivere a lungo. Nemmeno il monoteismo universalistico ebraico suscita reazioni antisemite da parte dei romani, al punto che l’avvento del cristianesimo sarà così poco contrastato da riuscire a sovvertire l’antica religione politeista romana, conquistandola, assimilandola ed annullandola, fino a diventare la religione di Stato dell’impero con l’Editto di Milano di Costantino.
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