La buona notizia è che a Trento avremo i vespasiani. La cattiva notizia è che chi ha urgente bisogno dovrà attendere ancora 27 mesi. Tanto ci vuole per superare gli scogli e le scogliere della burocrazia, delle leggi dello Stato e delle normative ad esse collegate.
L’assessore comunale ai lavori pubblici, Roberto Stanchina, allarga le braccia. “Non ci possiamo fare nulla, noi abbiamo approvato il progetto preliminare e stanziato 600 mila euro per dotare piazza Fiera di una palazzina con un edificio a regola d’arte: bagni per maschi e femmine, con fasciatoi, un vano per le pulizie, una guardiola perché la struttura sarà presidiata. E sarà aperta fino a tarda sera perché Trento è città turistica e città universitaria”.
Lo Studio Raro Architetti associati che ha predisposto il progetto prevede che l’edificio sia “curato ed elegante”. Sorgerà al posto dell’edicola, sul lato della piazza in prossimità di via Mazzini, dirimpetto al Torrione. E come l’edificio di forma cilindrica del XVI secolo, anche il “Vespasianus Tridenti” sarà contornato dalla pietra rossa di Trento.
Non appena è dilagata la notizia dell’epocale decisione degli amministratori di palazzo Thun, sui social i soliti leoni da tastiera si sono prodigati nel dileggio ed hanno contestato lo stanziamento di 600 mila euro “per un cesso”. Non riuscendo a comprendere o dimenticando che, nel momento del bisogno, un vespasiano non ha prezzo. L’assessore Stanchina annuncia che la città sarà dotata di altre strutture alla bisogna. Infatti, altri duecentomila euro attendono di essere spesi per tre “servizi igienici” (70 mila euro l’uno), di dimensioni ridotte rispetto alla palazzina di piazza Fiera, da collocare in luoghi strategici della città.
Ecco, se proprio si fatica ad applaudire questa sofferta decisione di giunta (sofferta perché ha impiegato mesi per essere presa) non è per il grande passo. Che anzi dovrebbe mettere d’accordo tutti, maggioranza e opposizione, perché il bisogno non è di destra o di sinistra. Dovrebbe andare diritto al centro. Ed è un problema generale.
Ciò che inquieta gli osservatori più attenti ed attempati (pertanto i più esposti alle prostatiti) sono i tempi biblici prospettati per il taglio del nastro. “Se va tutto bene, contiamo di aprire entro la fine di novembre del 2023, in tempo per i mercatini di Natale”.
Tombola. Il fatto è che dopo l’approvazione del progetto preliminare, serve una variante urbanistica per le opere pubbliche poiché in piazza Fiera non era prevista la collocazione di un vespasiano. Il progetto preliminare va proposto alla Circoscrizione che lo deve approvare; passa poi in commissione a palazzo Thun e da questa nell’aula del Consiglio comunale per l’approvazione definitiva. Infine, dovrà essere approntato il progetto esecutivo. Insomma passerà ancora un anno e mezzo prima che sia dato il via ai lavori.
Come sempre si dà la colpa alla burocrazia, che vuol dire tutti e nessuno. E nel prenderne atto si avverte una diffusa rassegnazione, come se il male fosse necessario oltre che inevitabile.
Basterebbe guardare al passato. Per costruire il teatro Sociale, nel 1817, l’imprenditore privato Felice Mazzurana, detto “il Caffettiere”, impiegò 17 mesi. Il teatro fu inaugurato il 29 maggio 1819 con la “Cenerentola” di Gioacchino Rossini. Nel 1984, gravato da costi insostenibili, il “Sociale” passò di mano e fu acquistato dalla Provincia che ne affidò il restauro allo studio dell’architetto Sergio Giovanazzi. Anche in quel caso, tra burocrazia e lavori, si arrivò all’inaugurazione sedici anni dopo, nel 2000.Ma l’esempio più calzante è la costruzione della ferrovia della Valsugana. I lavori, cominciati nel giugno del 1894, dopo 65 chilometri di tracciato con ponti, viadotti e gallerie, furono completati in 22 mesi: il 26 aprile 1896. La linea, sia pure ad un solo binario, collegava e collega ancor oggi Trento con Tezze Valsugana, allora confine dell’impero austro-ungarico verso sud est. A quel tempo anche la tanto vituperata burocrazia faceva il proprio dovere. E i burocrati, soprattutto, sapevano farsi carico della responsabilità.
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