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Potzmauer: il “rifugiato” se ne va

Alberto FolgheraiterBy Alberto Folgheraiter17 Settembre 2021Aggiornato:20 Settembre 2021Nessun commento6 Minuti di lettura
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Si conclude a metà ottobre l’avventura di Roberto Leonardi nella gestione del rifugio Potzmauer, a 1300 m, sui monti di Grumes, tappa intermedia del sentiero europeo E5, confinante con il parco naturale del monte Corno. Il fabbricato era una malga, dismessa da anni. Il comune di Grumes, proprietario, l’ha ristrutturata e data in gestione come rifugio nel 2010. 

Rifugio Potzmauer, Grumes – Tutto è cominciato con i genitori, Bruna e Elio Leonardi, da Orzano di Civezzano, i quali hanno gestito il rifugio Dosso Larici, sulla Paganella, dal 1947 al 1965.

“Me papà el feva nàr la funivia; l’èra guardaboschi, guardacaccia; el portéva su la roba da magnàr per l’aeronautica (sulla cima della Panarotta c’era una stazione di trasmissioni radio, controllata giorno e notte) e per i operai. Gavéven i àseni, le càore, magnéven selvaggina. Noi sén vegnùdi su a selvaggina perché carne no ghe n’era. Aven magnà scoiattoli, me mama la féva le beccazze e gài sforzèi: me papà el sbaréva for dala finestra. De not sentivo en colpo… e noi sen vegnudi su en quela maniera lì”.

Roberto Leonardi (1951), gestore sino a fine stagione del rifugio Potzamauer, sulla montagna di Grumes, è figlio del bosco. Da Dosso Larici la famiglia si trasferì a Trento per consentire la frequenza a scuola dei tre figli, nati nel frattempo. “No aven strazzà banchi ma qualcoss aven fat anca noialtri, de scòle. Sin all’asilo e ale elementari i ne féva nar zo a Fai con la funivia. I ne mandeva zo la matina e i ne tireva su alle quattro”.

Raggiunta la maturità, Roberto Leonardi ha preso in gestione il rifugio Marchetti sullo Stivo, che ha tenuto per “diciannoveanniseimesieungiorno. Come gli impiegati postali. Adesso lè dodese anni che son chi, al Potzmauer, pertanto la me carriera de ‘rifugiato’ l’è ala fin”.

In verità, Roberto Leonardi se ne andrà a metà ottobre 2021 non certo per raggiunti limiti di età. È che negli ultimi cinque anni molte normative, anche nel mondo della ristorazione e dell’accoglienza, sono cambiate. Nell’ambito dei rifugi di montagna, dove la tradizione dell’accoglienza correva su regole rimaste uguali per decenni, la rivoluzione è stata epocale. La pandemia di Covid-19 ha fatto il resto.

Roberto Leonardi, una vita d’avventura sui monti del Trentino e in Patagonia con Cesare Maestri

“Entant chi l’è en mordi e fuggi. Fin ale 11 e mezza de matina te pòdi nar en giro nudo che no te vede nessun e dopo, fin le quattro, l’è en rebalton. L’è perché ancoi el piove sennò chi, per qualche ora, l’è come esser a Rimini a ferragost”. (L’intervista è stata registrata il 1. agosto, tempo da lupi, nuvole basse e nebbia, acqua a catinelle, con tre soli sprovveduti che si sono avventurati fino al Potzmauer).

“Quando l’è bel temp chi ghè tut el prà pien; zent che va e che ven, en torolò. A noi ne va anca ben, economicamente parlando, nel senso che uno el ven, el magna, el paga e po’ el va via. Ma non lè pu la montagna de na volta”.

Da qui sono passati volti anonimi e star della musica e del cinematografo. Il Potzmauer, che è un rifugio del comune di Grumes, è diventato un approdo di mezza montagna, lungo il sentiero Europeo, sul displuvio tra la valle di Cembra e la media valle dell’Adige. Da qui sono passati centinaia di migranti e di “spalloni” con le “bàghe” di pelle di capra rigonfie di grappa clandestina. Da qui è transitato l’esodo verso “i todeschi”, tant’è che oggi la maggior parte della popolazione di Salorno, di Magré all’Adige e della piana alluvionale tra Egna e Roveré della Luna, porta cognomi di origine cembrana: Eccher, Giacomozzi, Pedri, Ceolan, Cembran, Franceschini, Rossi, Tessadri, Faustin, Gottardi, Montel, Bazzanella.

Fuori del rifugio una famiglia di asini, intesi come quadrupedi e non come studenti svogliati, rende il paesaggio più “umano”. Dei cinque animali che fanno parte della famiglia, tre sono emigrati altrove. Qui resistono Lea e Iva, nomi che devono avere un significato nascosto perché, quando li pronuncia, Roberto Leonardi sorride sornione. Ce l’ha con certi enti della montagna “inventati” dalla Provincia più per dare prebende a qualcuno che per valorizzare davvero la montagna. Ma si sa, l’elaborazione del pensiero è un valore aggiunto. Come la pensione.

Iva e Lea, le due asinelli del rifugio Potzmauer

“L’è quattro anni mi che son en pension. Però me son dit: a settant’anni molo zo el pich e pianto lì. Anche perché ghe vòl metodi nuovi, energie nuove, menù diversi… ensomma ghe vòl en sach de robe, se te voi starghe drio da galantòm”.

Presenze singolari, episodi significativi in tutti questi anni di gestione del Potzmauer? “Ghè tre bissi zo lì, vizin alla centrale del riscaldamento, ma l’è bissi che no morde e che magna sol mosche. Quanto a episodi significativi: ghè ancora zent che se perde; tant che uno, ‘n architetto de Trent, che aven trovà dopo ore de ricerche el m’ha regalà ‘na sirena da usar quando che ghè nebbia. Come ancoi”.

Rimpianti? “Tornessa en drio farìa tut quel che ho fat perché de ‘n hobby ho sempre far ‘na profession. La passion per la montagna la m’ha portà nei rifugi; dese ani ho gestì en negozio de antiquariato a Trento; altri dese ani de Dogana, cinque a Trento e altrettanti a Rovereto. Credo di essere stato l’unico al mondo a lasciare il posto fisso in Dogana e ad averlo lasciato perché preso dalla passione per la montagna. E così sono finito a gestire lo Stivo”.  

Intanto Roberto Leonardi comincia a fare i bagagli. A smontare la Yurta, la grande tenda mongola che accanto al rifugio Potzmauer da qualche anno faceva sognare agli ospiti distese caucasiche e costituiva un legame fra la terra e il cielo.

Anche le due asinelle dai nomi evocativi scenderanno al piano. Il Potzmauer cambia gestione, arriveranno i giovani. Restano i ricordi di una intensa stagione mentre il gestore sogna nuove avventure. “L’idea sarebbe quella, Covid permettendo, di imbarcare una motocicletta, BMV 1100 R, andare in Sudamerica e fare la “ruta 40”. Fare tutta la strada che ha fatto il Che Guevara, 7 mila chilometri, fino in Patagonia. Dopo ghò intenzion de nàr su per i rifugi a trovar i me colleghi e dopo … a 70 anni… Quant gàt en ment de star chi? Se te devi ciapàrte ala carega per far en pass en cosina, quel no l’è viver”. Il vento che sale dalla valle dell’Adige si porta via i ricordi, soffia sulla brace della nostalgia, rammenta stagioni lontane. La sirena della nebbia, azionata per il cronista di passaggio, prorompe in un lugubre lamento. Fra le fronde degli alberi si intravede la notte.

La strada d’approdo al rifugio Potzmauer e la Yurta mongola che sarà smontata e seguirà Roberto Leonardi

© 2021 Il Trentino Nuovo

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Alberto Folgheraiter
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Giornalista e scrittore. Negli anni Settanta redattore al settimanale “Vita Trentina”, alla redazione di Trento de “Il Gazzettino”, direttore responsabile di “Radio Dolomiti”. Dal 1979 al 2010 cronista alla redazione di Trento della Rai, poi capostruttura dei programmi (2007-2010); corrispondente dalla regione (1975-1996) del settimanale “Famiglia Cristiana”. Dal 3 novembre 2022 collaboratore fisso del quotidiano "IlT" del Trentino-Alto Adige. Ha pubblicato 27 libri su storia, tradizioni ed etnografia del Trentino-Alto Adige. È socio di Studi Trentini di scienze Storiche. È socio e direttore responsabile di "Judicaria", la rivista dell'omonimo Centro studi di Tione; e direttore responsabile della rivista "Teatro per Idea" della Cofas, la Federazione del teatro amatoriale Trentino.

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