Ai trentini in ricerca del Vangelo. Se non ora, quando? (Brunetto Salvarani). Con un imperativo: ascoltare tutti e non lasciare indietro nessuno. Il tema è tanto attuale che all’interno del clero più avveduto se ne parla e se ne parla con una certa trepidazione-preoccupazione perché si teme che la Chiesa cattolica, così come declinata dopo il concilio Vaticano II, sia ad una svolta. A un ritorno all’antico, alle nostalgie del “Tridentino”, il concilio della controriforma, degli steccati e degli anatemi. È stato elaborato un testo, frutto della discussione e del confronto fra un gruppo di preti e di laici, preoccupati di una deriva strisciante, del vuoto pneumatico che si rischia all’interno anche della Chiesa tridentina. A nome di tutti, se ne fa interprete e portavoce con la timidezza e con l’urgenza che gli sono proprie, quello straordinario prete-filosofo che è Marcello Farina.
“Incamminarsi insieme”. Abbandonare l’acqua stantia, rinunciare alla sedentarietà, per cercare insieme, mano nella mano, l’acqua più fresca e più viva, tornando come popolo alle sorgenti del Vangelo, sorgenti che non sono mai alle nostre spalle, ma dinanzi a noi, situate nelle profondità del tempo che viviamo, del mondo che abitiamo. Fare il sinodo, essere Chiesa sinodale significa proprio questo: cercare insieme il Vangelo nella certezza che ha parole di vita per l’oggi del nostro tempo” (Renzo Salvi, in Rocca, numero 15).
Quello sinodale non è tanto un piano da programmare e da realizzare, ma anzitutto uno stile da incarnare. Esso è un evento spirituale, un’azione dello Spirito nel cuore della Chiesa, fatto di preghiera, silenzio e discernimento. San Giovanni Crisostomo definisce l’essere stesso della Chiesa come “convenire e camminare insieme”.
Papa Francesco vi aggiunge: “Il Sinodo deve incominciare dal basso in alto, dalle piccole comunità, dalle piccole parrocchie; e questo ci chiede la pazienza, lavoro, far parlare la gente, che esca la saggezza del popolo di Dio”.
Per entrare nella pratica della sinodalità abbiamo bisogno di coltivare e dispiegare attitudini spirituali: l’ascolto, il dialogo, l’empatia, la condivisione, la libertà interiore e la libertà di parola, l’umiltà, la ricerca della verità, la fiducia… È un cammino di umanità, di fraternità e di sororità che ci fa diventare una “famiglia” una “comunità”. La sinodalità è un appello a cambiare, in una Chiesa in movimento; è come “una danza insieme”, nella quale tutti, fedeli e pastori, si muovono in relazione gli uni con gli altri. La sinodalità non si realizza in un parlamento; non si realizza nella ricerca di una maggioranza o nella convergenza pratica su scelte pastorali. Certo, la sinodalità ha bisogno di leaders adatti a guidare e ad accompagnare i “processi”.
A loro vanno riferite alcune parole d’ordine: prossimità, disponibilità, fiducia, mutualità. Senza dimenticare la responsabilità di mantenere l’obiettivo autentico della sinodalità, che è quello di costruire un popolo, una comunione fraterna e missionaria, una Chiesa relazionale, inclusiva, dialogante e generativa.
“È il popolo di Dio che è permanente (nella Chiesa siamo tutti fedeli battezzati in Cristo); tutti partecipiamo al servizio autentico del popolo di Dio; il Papa è uno dei fedeli: vescovi, preti, laici, religiosi, tutti siamo (i) fedeli… Il servizio gerarchico è transeunte. Ed è “il permanente” ciò che definisce e qualifica, non “il transitorio!”
Questo capovolgimento della piramide non porta con sé un invito a una semplice ridistribuzione di corresponsabilità ecclesiale, ma fa del popolo di Dio il soggetto attivo e fondamentale di tutta la Chiesa! Quella che può apparire come una “rivoluzione copernicana” era la modalità dell’agire della Chiesa dei primi secoli, in molti ambiti della sua attività.
Il percorso sinodale, perciò, per essere fedele a sé stesso, deve essere capace di non lasciare indietro nessuno, di evitare che una voce, una qualsiasi voce ecclesiale, per pregiudizio o preconcetto, non venga ascoltata. Occorre che esso dia fiducia e prenda sul serio “popolo santo di Dio” (con tutte le sue manchevolezze, i suoi limiti, le sue fragilità), ascoltandolo attentamente in tutte le modalità possibili, ma soprattutto affidandogli, per quanto possibile, la scelta del menù degli argomenti da trattare. Cosa che potrà causare delusioni e inciampi, ma che potrebbe anche produrre esiti sorprendenti. La Chiesa trentina è, evidentemente, coinvolta nel “cammino sinodale” proposto da papa Francesco, interessata essa stessa a muoversi con “stile sinodale”, sollecitando tutta la comunità a una comunicazione libera e autentica, senza doppiezze e opportunismi, per immaginare un futuro diverso per la Chiesa stessa nel suo rapporto con l’intera umanità.
Molte sono le questioni aperte: emerge, per esempio, la grande questione-tabù sul potere e le forme di autorità nella Chiesa. L’istituzione deve prendere congedo da forme di vita e di governo ecclesiale che soffrono di una deriva clericale e patologica.
Si richiede l’apertura a riconsiderare la “autorità dei battezzati” con la conseguente ricerca di strumenti istituzionali per essere esercitata. La fraternità dentro la Chiesa deve superare la subordinazione della donna all’uomo (c’è anche “la sororità”!). In fondo è il grande tema della “vocazione all’ascolto”, come centrale e “genetica” di ogni autentico cammino sinodale! Buon “cammino” per tutti! Laici e preti trentini.
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