Il 2 settembre 1943 novantuno bombardieri B-17 anglo-americani della “Mediterranean Allied Air Forces” scaricarono sulla città di Trento 218 tonnellate di bombe. Quel giorno era giovedì. Gian Pacher (che assieme a Maurizio Ferrandi e Luigi Sardi ha scritto il libro “Gli anni delle bombe”, Trento e Bolzano 1943-1945) nel 1973 ricordava: “Poco dopo mezzogiorno Trento subisce il primo bombardamento della guerra. Ma non abbastanza per restare immuni. Dalla radio, in “musiche del Mattino”, Silvana Foresi canta “guarda fuori come piove – ci convien restare in casa – ad aspettare il sole”. Sembra allusivo, ma nessuno ci pensa. Quando suona l’allarme quasi nessuno si muove. Passeranno un’altra volta, dice la gente”. Invece le “fortezze volanti” scaricarono bombe e morte. Nel popolare rione della Portella, a Trento, distrutto dalle esplosioni, restarono uccise 98 persone; i feriti furono 157. “Molti di loro non si salveranno”, scriveva Gian Pacher. Il 6 settembre 1943 il giornale fascista “Il Brennero” annunciava che “le vittime del bombardamento sono salite a 140”. Tra queste, dopo mesi di ospedale, fu annoverato anche il pittore Gino Pancheri, il maggiore artista trentino di quegli anni. Cominciava lo “sfollamento” della popolazione verso le valli.
La guerra, fino a quel giorno lontana come i giovani trentini chiamati alle armi e impegnati sui fronti dell’Unione Sovietica, della Francia e nei Balcani, era arrivata a mietere strage dentro la città capoluogo. Sei giorni dopo vi fu l’8 settembre, con il proclama di Badoglio, la fuga da Roma a Pescara del Re, Vittorio Emanuele III, e della famiglia. Da lì a Brindisi, al sicuro dai nazisti che al nord avevano proclamato l’Alpenvorland, la zona di operazioni delle Prealpi. È da qui che riprende il racconto di Renzo Fracalossi.
L’Alpenvorland in Südtirolo (3)
Peter Hofer nasce a San Michele di Castelrotto il 2 ottobre del 1905 in una famiglia di piccoli proprietari agricoli. Quando questa si trasferisce a Bolzano, egli conclude gli studi d’obbligo ed impara poi il mestiere di sarto, fino a diventare a sua volta “maestro di sartoria”. Simpatizzante dei movimenti nazionalisti e della destra tedesca, si avvicina ancora nel 1933 al movimento nazista sudtirolese e, due anni dopo, ne diventa responsabile territoriale. Fonda inoltre il movimento clandestino di resistenza (“Völkischer Kampfring Südtirols – V.K.S.) contro la forzata italianizzaizone dell’Alto Adige imposta dal fascismo. Nel 1940 poi – e con l’aiuto delle autorità tedesche – Hofer trasforma il V.K.S. nell’ “Associazione degli Optanti tedeschi” (“Arbeitsgemeinshaft der Optanten für Deutschland” – A.O.D.), per supportare gli emigranti sudtirolesi sul suolo tedesco e di acquisire la cittadinanza del Reich, trovando in ciò anche l’appoggio del Vescovo di Bolzano e Bressanone. S. E. Mons. Johannes Geisler e del Vicario generale della Diocesi, Mons. Alois Pompanin.
Peter Hofer è un nazista convinto e del quale ci si può fidare. È per tali ragioni che il Gauleiter Franz Hofer lo nomina, il 21 settembre 1943, “Capo del popolo”, ovvero “Volksgruppenführer” e Commissario prefettizio della provincia di Bolzano, ma si tratta di un breve “regno”. Il 2 dicembre dello stesso anno, mentre transita in macchina in via Weggestein a Bolzano, durante un bombardamento aereo alleato, è ucciso da una bomba che fa decine di morti. Insieme a Peter Hofer muoiono due SS di scorta, Josef Vieider e Luis Bernard e l’autista Josef Alfreider. La propaganda nazista si impossessa subito della morte e pubblica un necrologio nel quale si afferma che Hofer “é caduto nell’esercizio delle sue funzioni per un attentato terroristico nemico”.
Lo stesso giorno della morte le quattro salme vengono composte nella “sala dei marmi” del municipio di Bolzano ed il successivo 6 dicembre ha luogo il rito funebre civile alla presenza del Gauleiter Franz Hofer, del gen. Karl Wolff, massimo rappresentante delle SS in Italia, e di una “grande folla che sfila davanti alle bare a testimonianza di quanto dolorosa fosse la perdita”. Una fanfara delle SS suona inni nazisti, rullano i tamburi e Franz Hofer tiene un lungo discorso funebre, mentre le bare sono ricoperte dalle ghirlande inviate da Hitler, da Göbbels, da von Ribbentrop e da altri vertici del nazismo. Poi il corteo funebre si dirige a Castelrotto per l’inumazione, attraverso manifestazioni popolari, braccia tese nel saluto nazista e al suono delle bande di alcuni paesi.
Pochi giorni dopo, al suo posto, viene nominato l’avv. Karl Tinzl, nato a Silandro il 4 ottobre 1888. Tinzl cresce in una famiglia agiata che gli consente di studiare giurisprudenza ad Innsbruck, prima di partecipare alla “Grande guerra” con il grado di “primo tenente”. Con l’annessione del Sudtirolo all’Italia, in conclusione del conflitto, Tinzl nel 1919 è tra i fondatori del “Partito Federativo dei tedeschi” (“Deutscher Verband”) con il quale viene eletto deputato del regno nel 1921. Dopo il mandato politico, Tinzl rientra alla sua professione e nel 1939, pur contrario alle “Opzioni” ed essendo invece più favorevole all’annessione dell’Alto Adige/Südtirol al III Reich, sceglie comunque la cittadinanza tedesca e si impegna nell’ “Associazione degli Optanti tedeschi”, fondata da Peter Hofer.
Subentrato a quest’ultimo nella carica di Commissario prefettizio per la provincia di Bolzano, Tinzl interagisce senza problemi con le forze di occupazione naziste; ne avvalla le politiche ed assume le conseguenti decisioni amministrative, anche in virtù di una costante vicinanza all’ideologia nazista. Dopo la guerra viene esautorato dalle sue funzioni pubbliche da parte del C.L.N., ma ancora nel 1945 riprende l’attività politica e partecipa alla fondazione del “Partito Popolare sudtirolese” (“Südtiroler Volkspartei”). Apolide al momento del crollo del III Reich, riacquisisce la cittadinanza italiana nel 1952 e può quindi essere eletto nuovamente deputato della Repubblica nella II Legislatura e senatore in quella seguente. Si spegne a Bolzano l’11 luglio 1964.
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