Le storie familiari sono come le musive che vanno a formare il grande mosaico della Storia di una comunità. Le storie dell’emigrazione sono il racconto dell’esodo, di speranze e sconfitte, di vecchio e nuovo mondo. Dagli Stati Uniti, Maria Teresa Garber ha inviato al “Filò” (trimestrale di Louis Brunelli) e a “trentinonuovo.it” una delle tante storie di emigrazione e di famiglie che dalla seconda metà dell’Ottocento hanno lasciato il Trentino.
Faceva le migliori salsicce del paese! La tradizione di famiglia vuole che anche Giuseppe Valentini abbia distillato, probabilmente, la migliore grappa del villaggio. Ma chi non produceva la grappa in una distilleria clandestina al secondo piano, proprio di fronte alle camere da letto dei bambini? Prima della grappa, la stanza aveva ospitato i bachi da seta e successivamente i prodotti e il grano di produzione propria. E proprio accanto, nella parte attigua della casa, zio Ginòt e le sue storie di scoiattoli, La “Girra” (il ghiro) e i serpenti a sonagli riempivano i sogni dei bambini ogni notte dopo il filò. Quella era la vita a Tenna, in Italia, negli anni ’30 del secolo scorso.
Giovanni Battista Angeli, chiamato anche Giobatta, e suo fratello Domenico, soprannominato Ginòt, costruirono la loro casa nel villaggio dell’altopiano di Tenna, dove loro e le loro famiglie avevano vissuto per generazioni. La casa era stata fabbricata per ospitare due famiglie. Entrambi prolifici nel generare figli e nella fortuna, la casa e le famiglie che vi abitavano videro nascite, morti, matrimoni, affari e guerre. Questa è la storia di una delle figlie, di Giovanna Angeli e di suo marito, Giuseppe Valentini.
I figli di Giovanna e Giuseppe Valentini godevano una vita all’aria buona di montagna, del pesce fresco di lago e dei dolci frutti del campo, delle redditizie attività artigianali e di un racconto intelligente. Nacquero nove figli, uno che passava alla nascita dell’altro, otto dei quali sono cresciuti fino all’età adulta.
I bambini adoravano zio Ginòt, come lo chiamavano affettuosamente. La sua casa accogliente e le sue storie erano proprio la vita della porta accanto, racconti adatti per il filò. Dopo cena, i bambini si riunivano intorno alla grande stufa in gres porcellanato nella stanza dello zio e ascoltavano con attenzione i suoi racconti.
“La Girra” (il ghiro) doveva spaventare i bambini: uno scoiattolo subdolo che entrava inosservato e rubava le scorte di noci. Lo zio faceva finta di inseguire lo scoiattolo cercando di tenerlo lontano dalle noci. Hiss, e lo scoiattolo fuggiva via. “Ho paura!”, gridava lo zio, e i bambini saltavano sulle sedie. E poi c’era il serpente a sonagli. Solo che questa era una storia vera.
Da qualche parte, in una terra di miniere, chiamata Colorado, vivevano serpenti con “campanelli” sulla coda. Lo zio era andato in quel luogo lontano e si era avventurato nelle viscere della montagna dove erano nascosti l’argento e il rame. Nei crepacci di questi luoghi c’erano creature uniche che non si vedevano altrove e una di queste era per l’appunto un serpente. Questo mostro era enorme e furtivo, ma se stavi attento e mantenevi le orecchie all’erta, avresti potuti sentirlo arrivare ed essere preparato. Ebbene, lo zio Ginòt conosceva questo segreto e teneva un orecchio all’erta per il suono. Un giorno fortunato ha sentito una debole vibrazione, poi, uno scuotimento più forte: il serpente era in giro. Improvvisamente, un colpo e un botto: la morte del serpente! Aveva ricevuto in premio il suo sonaglio. Zio Ginòt era tornato a Tenna con il sonaglio di quel serpente. Partecipò a raduni e parate e a processioni, portando con sé, ogni volta, il bottino del vincitore. Finché, un giorno, il sonaglio fu perduto.
La vita per i bambini Valentini era piena di interessi. Andavano a scuola insieme. La scuola era stata costruita in parte dal loro papà. Per quanto riguarda la religione, assistevano alla messa e andavano in processione; inoltre producevano la seta. Il locale superiore, dove veniva distillata la grappa, era usato anche per l’allevamento dei bachi da seta. Nei dintorni di Tenna, il gelso cresceva abbondantemente allo stato selvatico ed era usato pure per aromatizzare la grappa. Le foglie del gelso sono anche il cibo per i bachi da seta. Sfruttando le risorse naturali intorno a loro, la famiglia ha avuto buon gioco nella produzione per l’autoconsumo e per la vendita ad altri.
I figli Valentini accompagnavano la madre a Caldonazzo per raccogliere le foglie di gelso, portare a casa i rami e ammassarli nello stanzone. Quando tutto fu pronto, andarono da un uomo di nome Bartezago per farsi dare le uova dei bachi da seta. Le uova dei filugelli arrivarono in una piccola scatola, portate a casa nella stanza allestita per l’allevamento. La famiglia avrebbe cosparso le uova (piccole come la capocchia di uno spillo) sullo strame e le ramaglie. Schiuse che fossero state le uova, i piccoli bachi crescevano a vista d’occhio, nutrendosi delle foglie di gelso. I bambini potevano sentire il rumore vorace delle larve che rosicchiavano febbrilmente le foglie. Quei rumori cessavano solo quando i bachi cominciavano a rinchiudersi nei bozzoli. Ci volevano quattro settimane perché i bachi da seta facessero i bozzoli.
Via a Pergine! Doveva essere il momento giusto per raccogliere i bozzoli: troppo tardi e le larve sarebbero diventate falene, avrebbero perforato il bozzolo e la seta sarebbe andata persa. Se il lavoro era fatto bene, erano soldi facili! Il bozzolo poteva essere bollito e il filo diventare seta. La famiglia si recava alla Filanda di Pergine, un edificio dove si immergevano i bozzoli nell’acqua bollente. Salvo il periodo di guerra, i bozzoli del baco da seta erano venduti; il tempo di guerra servivano per confezionare i propri vestiti e la seta era un lusso particolarmente raffinato.
In tempo di guerra, a Tenna, c’erano rumori strani, visite insolite, ingegno, oscurità e gioia. I bambini potevano giocare in modi diversi, e questo era particolarmente vero per i più piccoli durante la seconda guerra mondiale. I bombardieri alleati sorvolavano Tenna di notte, facendo piovere striscioline di stagnola che ricoprivano il paese. Servivano a confondere i segnali radar sui dispositivi nemici. Quelle striscioline argentate fornivano una sorta di ornamento per le strade e i bambini si svegliavano per raccogliere le strisce lucide per le proprie decorazioni festive. Le mitragliatrici nemiche sparavano proiettili contro il forte del paese, inutilmente, senza mai danneggiarne le robuste mura. I bambini si divertivano a raccogliere i bossoli dei proietti da mortaio che erano usati come vasi per raccogliere l’acqua, costruire torri e contenere fiori. Ma quel divertimento impallidiva di fronte al fischio delle bombe nemiche che sprofondavano nel lago di Caldonazzo. Alla periferia dell’abitato di Calceranica, sul torrente che alimentava il lago c’era un ponte. Un obiettivo replicato per i bombardieri americani, poiché il ponte era una via di rifornimento significativa per la Germania. Se il ponte era danneggiato di giorno, veniva riparato di notte. Le bombe che mancavano il bersaglio designato si inabissavano nel lago. Le esplosioni facevano saltare in aria i pesci del lago. Persico e luccio erabo scagliati in cielo come pietre di fionda e finivano sulla riva. I bambini si affrettavano a raccogliere il pesce da portare a casa alla mamma per un pasto gustoso.
Le salsicce affumicate erano appese nella cantina di casa. Da settembre a maggio si mangiavano le pancette ripiene, la polenta, lucaniche e krauti, zuppa d’orzo con ossi di maiale affumicato. I bambini e i loro genitori avevano cibo a sufficienza, a parte la carenza di zucchero o olio durante la guerra. Pesce di lago, grano per polenta, botti di crauti allestite per l’inverno, frutta e verdura di stagione. Naturalmente c’erano le salsicce e Giuseppe Valentini elargiva le riserve a tutti coloro che ne facevano richiesta. Insaccava le migliori salsicce del paese.