Non voglio entrare nel dibattito innescato da quel vasto e composito pianeta che, per comodità, definiamo “no vax”. Osservo però gli accadimenti di questi giorni e mi sforzo di capire le ragioni di tutti. Esiste però un confine. Esiste un limite invalicabile, quello della decenza, il cui superamento deve imporre a tutti uno scatto di indignazione.
Quando sui cartelli di chi, legittimamente, dissente dalle decisioni della maggioranza compaiono espressioni come “Draghi = Hitler” o, peggio ancora “Menghele = Speranza”, vuol dire che il confine fra follia e ragione è stato ampiamente superato. Quel paragone è talmente irreale da costituire di per sé prova provata della pochezza dei suoi anonimi autori i quali, pur tralasciando ogni considerazione su Menghele anziché Mengele, sanno essere coraggiosi solo nascondendosi nella massa. Dubito delle loro capacità di comprensione, ma ciò nonostante proverei a ricordare chi era il termine del loro assurdo paragone.
Josef Rudolf Mengele nasce a Günzburg in Baviera il 16 marzo 1911 nella ricca famiglia Mengele proprietaria della “Karl Mengele und Sohn”, una grossa fabbrica di macchinari agricoli. Dopo gli studi superiori, aderisce dapprima all’organizzazione paramilitare di estrema destra “Stahlhelm. Bund der Frontsoldaten”, per poi iscriversi, nel ‘34, nei “Reparti d’assalto”, le “Sturmabteilung” meglio note come SA. Si laurea in antropologia a Monaco nel 1935 e, due anni dopo, diventa assistente del prof. Othmar von Verschuer, ordinario di genetica a Francoforte sul Meno. Quello stsso anno prende la tessera del Partito nazista, per poi approdare nel 1938 nelle file delle SS e laurearsi in medicina. I nazisti seguono le teorie di von Verschuer che prova a dimostrare come le differenze sociali hanno origine, non in cause economiche e storiche, bensì nella genetica e quindi lo studio su gemelli identici collocati in ambienti e condizioni diverse dovrebbe dimostrare la prevalenza della natura sull’educazione.
Arruolato nelle truppe da montagna, si trasferisce poi nel Servizio medico delle Waffen SS che lo assegna alla “5.a SS Panzerdivision Wiking” schierata sul fronte orientale. Salva due soldati imprigionati in un carro armato in fiamme e riceve la Croce di Ferro. Ferito in battaglia è giudicato non più idoneo al combattimento. Alla luce dei suoi studi viene quindi assegnato all’ Ufficio SS per la Razza, dove riprende i contatti con il suo vecchio mentore, von Verschuer. Promosso capitano delle SS nel 1943, viene quindi destinato al Campo di concentramento di Auschwitz – Birkenau, dove assume la carica di responsabile medico dell’etnia Rom nel settore BII di Birkenau, per ricoprire poi il ruolo di medico – capo dell’intero Campo di Birkenau.
Mengele rimane ad Auschwitz ben 21 mesi, selezionando ed amministrando la morte con fredda disciplina. Il Campo è un luogo ideale per le sue sperimentazioni sugli esseri umani. Coadiuvato da altri medici prigionieri, come il famoso patologo ebreo-ungherese Miklos Nyiszli , compie studi “in vivo” su gemelli monozigoti e su persone affette da anomalie come il nanismo. Ricerche di tipo comparativo vengono svolte, per inviare i dati vengono al prof. von Verschuer, mentre Mengele sposta progressivamente la sua attenzione sui bimbi zingari che vengono raccolti in uno speciale “asilo”, dove le condizioni di vita sono buone. In realtà si tratta di una sorta di “allevamento per cavie da laboratorio”; cavie che, “dopo l’uso”, vengono subito eliminate, al pari di quasi tutti coloro sui quali Mengele pone la sua attenzione. Gentile ed, al contempo spietatamente crudele, Mengele prova piacere a decidere la morte altrui ed è “totalmente depravato”.
Alla fine della guerra fugge, grazie alla complicità di molti e non ultimo il Comune di Termeno in Alto Adige, rifugiandosi in Sud America per morire infine annegato per un probabile infarto nel 1979.
Usare qualsiasi forma di riferimento alle vittime del nazismo – ed in special modo alla persecuzione antisemita – per definire lo “status” del vasto pianeta “no vax” è un’offesa intollerabile ed un gesto di fronte al quale, a prescindere da ogni opinione possibile, è doveroso alzarsi con tutta la nostra indignazione addosso, perché se la follia non si argina subito, deborda ed avvelena il senso stesso del nostro essere comunità, rompendo quel sonno della ragione che sempre genera mostri.