Forse è tutta colpa del long-Covid, di quella sindrome strisciante che colpisce una parte di coloro che hanno già subito l’infezione partita dalla Cina alla fine del 2019. O forse è solo il segno dei tempi, dell’usa e getta, della voracità con cui si consuma tutto: persone, accadimenti e notizie. Il fatto è che non c’è più tempo per indignarsi, per riflettere o per progettare il futuro. Tutto accade e tutto scivola via, come l’acqua sulla tela cerata. Una notizia mangia l’altra e tutto gira vorticoso nel frullatore del mondo.
Così accade che un presidente del Consiglio provinciale di Trento, stanco e affranto dopo una giornata di dibattito (e di chiacchiere), aggiorni la seduta alle 20, senta un mormorio nell’aula e dimentichi di spegnere il microfono. La bestemmia che accompagna la sua (momentanea) uscita di scena non può essere derubricata a una “voce dal sen fuggita”. Anche perché l’Istituzione della quale si mena vanto, talvolta a sproposito, impone giacca e cravatta. Va da sé che imporrebbe anche la pulizia dei denti e l’igiene del cervello.
Ma sì, qualcuno si è indignato. Soltanto dopo qualche giorno, dopo che quella bestemmia è diventata virale sul web. Ecco il paradosso: “panta rei” diceva il greco Eraclito, “tutto scorre”, tutto passa, per tornare dirompente appena qualcuno recupera il fattaccio. E non ci sarà una “damnatio memoriae”, la cancellazione di qualsiasi traccia, come accadeva per i rei nell’antica Roma. Quella bestemmia riemergerà dall’iperspazio del web, quando si tornerà a parlere o a scrivere del derelitto che l’ha pronunciata.
E se oggi si avverte qualche stilla di indignazione, pare più di facciata che di convinzione. Domani è un altro giorno, ci penserò domani, sospirava Vivien Leigh (Olivia de Havilland) nelle sequenze finali di “Via col vento”.
Molto di questo accade nel mondo della politica e dell’amministrazione pubblica, ricco di promesse, carente nei fatti. Certo, qualcuno si indigna. Gli animalisti dell’orso, i “terrapiattisti”, i “no vax”, scendono in piazza. Urlano qualche slogan all’indirizzo dei presunti responsabili del loro malessere ma tutto finisce lì.
Del resto la maggioranza dei votanti, divisa o silente, si è abituata a tutto. E al suo contrario.
Viene in mente (ne ha scritto il “Corriere della Sera” giusto qualche giorno fa) l’apologo della rana bollita raccontato dall’anarchico e filosofo statunitense Noam Chomsky. Se si getta una rana dentro una pentola di acqua molto calda, l’anfibio avrà uno scatto, un colpo di zampe e salterà fuori dal recipiente. Se invece si pone una rana in una pentola di acqua fredda e vi si accende sotto il fuoco, l’anfibio sguazzerà allegramente finché, salita la temperatura dell’acqua, la rana si sarà abituata e continuerà a nuotare, sempre più lentamente. Finché non resterà bollita, in padella.
Il principio della rana bollita è la spiegazione metaforica della capacità di noi umani di adattarci, senza reagire, alle situazioni, per quanto spiacevoli possano apparire. È ben vero che tutto scorre. Ma un sussulto di indignazione collettiva, ogni tanto, non farebbe male. A noi, prima che a coloro i quali lo hanno provocato.