No, nell’estate del 2021 Louis Brunelli, “tirolese merican” (Tyrolean Americans) con radici nel Bleggio, non tornerà nella vecchia abitazione dei suoi genitori, a Cavaione, come era solito fare da molti anni, almeno due volte l’anno. Nel mese di agosto il Louis resterà negli Stati Uniti perché la pandemia ha complicato tutto, i meeting, i viaggi e quanto era consueto nel tempo a. C., che non vuol dire avanti Cristo, quanto avanti Covid. Nell’estate dei suoi 80 anni (è nato il 7 agosto 1941) , il Louis dovrà rimanere nella grande casa sul lago, ottanta miglia a nord di New York, fra le colline. A due passi dall’Accademia militare di West Point, lungo il corso dell’Hudson, il cui motto è “dovere, onore, patria”. Ecco, se proprio si deve parlare di patria come terra dei padri, per il Louis quella è il Tirolo. Non quello austriaco, non il Trentino divenuto tale dopo l’annessione all’Italia. Un’entità impalpabile rammentata con nostalgia (“destràni”) dai migranti nei discorsi in famiglia, negli incontri tra “compaesani” finiti oltre Oceano.
New York – Agostino Brunelli, 18 anni, da Rango di Bleggio, approdò negli Stati Uniti il 10 dicembre 1920. Giusto cento anni fa. Con lui, sul transatlantico “Adriatic”, della White Star Line, varato in Inghilterra nel 1906 e demolito nel 1935 in Giappone, viaggiava un gruppo di compaesani.
Erano: Mansueto Brunelli (42 anni, da Rango); Pacifico Bleggi (19 anni, da Bleggio), Florindo Berasi (30 anni, da Bleggio), suo fratello Lorenzo Berasi (29 anni, da Bleggio), Romedio Parisi (21 anni, da Bleggio), Gelindo Brocchetti (41 anni, da Cavrasto), Luigi Farina (18 anni, da Balbido), Gioacchino Painelli (33 anni da Duvredo), Giuseppe Riccadonna (19 anni, da Rango), Guerino Crosina (41 anni, da Rango), Rodolfo Caresani (33 anni, da Cavrasto).
Quando scesero dall’Adriatic, in lunga fila indiana furono fatti entrare per i controlli sanitari e di dogana nel salone dell’Immigration Center sull’isolotto di Ellis Island, alla foce del fiume Hudson, nella baia di New York.
Agostino viaggiava con gli zii Gaetano Brunelli e Barbara Fenice. “I so zii i ghà dit: Gustin, no magnèm per amò do dì. Métete ovi freschi nelle scarsèle e poi in quella sala affollata… crick-crack”. (Agostino, non mangiamo almeno per altri due giorni. Mettiti delle uova fresche nelle tasche, ma in quella sala affollata le uova si sono rotte).
La maggior parte dei migranti era diretta nelle miniere di carbone della Pennsylvania. Una notte, nella baracca dove dormivano, Agostino Brunelli sentì una voce. Gli pareva che sua mamma lo chiamasse. Si alzò dalla branda, uscì all’aperto e, mentre si guardava in giro, il dormitorio fu devastato da un’esplosione. Sopravvissuto “per miracolo”, il minatore del Bleggio se la diede a gambe levate. Si trasferì a New York a fare lo scaricatore di porto e a scavare i tunnel della Subway, la metropolitana. Negli anni Trenta sposò una compaesana, Adele Santa Bellotti arrivata da Cavaione del Bleggio dove era nata nel 1912.
“Who we are is Who we were. Chi siamo è chi eravamo. Noi sem amò quei de ‘na volta.”. Louis Brunelli, americano di sangue trentino, figlio di Agostino e di Adele Bellotti è nato al St. Vincent’s Hospital di New York City il 7 agosto del 1941. Più di vent’anni dopo l’occupazione militare e la successiva annessione del Trentino all’Italia. Eppure, nonostante sia passato un secolo dalla frantumazione dell’impero austriaco, per lui i discendenti dei migranti con passaporto austriaco erano e restano “tirolesi”.
“Voi non capite o non potete apprezzare l’identità della nossa comunità. Arrivati qui cittadini dell’Impero, sviluppato in mille anni di sovranità germanica e allontanati dai vossi giri con irredentismo, nazionalismo e fascismo. Noi sem vossi fradèi e sorèle, ma gavem diritto della nossa storia e esperienza diversa dalla vostra”. Racconta il Louis: “Il nome di mio papà e quello di mia mamma sono incisi nel muro d’onore a Ellis Island”.
A Cavaione, nel Bleggio, la vecchia casa di famiglia del Louis “mericàn” in questo secondo anno di Covid è sprangata. È la casa dei nonni Bellotti, detti “i Tigini”, la più antica del villaggio. Il Louis l’ha resa abitabile, si è fabbricato da sé i mobili con gli attrezzi portati dagli Stati Uniti. Nel 2019 ha acquistato pure la soffitta di un fabbricato vicino per ricavarvi uno stanzone e convincere i figli a fare le vacanze in “Tirolo”.
Di solito, il Louis torna nel Bleggio due volte l’anno. D’estate, per scarpinare sulle amate vette del Brenta; nel tardo autunno per prendere contatti con autori e collaboratori e predisporre il sommario del “Filò”. È una rivista trimestrale che da dieci anni raggiunge oltre settemila discendenti di emigrati “tirolesi” negli Stati Uniti. Pubblicato in inglese-americano, perché quasi nessuno comprende ormai la lingua italiana, “Il Filò” è l’impegno che Louis Brunelli ha preso con sé stesso per mantenere un legame con la terra dei genitori.
“Ho comincià con un database di 800 nomi che mi era stà dat dala Provincia di Trento. Un databasepien de cadaveri. Alora, con il passaparola, ho ricostruito la ragnatela dei nossi emigrati e mi son fatto un database con settemila contatti. Lo voleva la Provincia ma ho dit de no, perché ho un obbligo fiduciario di mantener la privacy. Così la Provincia non mi dà alcun contributo per le spese di spedizione del “Filò” e devo rangiàrmi. Per gli ultimi quattro numeri, dei 23 che ho già pubblicato, le spese le ha pagate un emigrante del sud Italia”.
Singolare, quanto meno, l’intervento finanziario di un immigrato meridionale negli USA per sostenere una pubblicazione che racconta e illustra le valli e le tradizioni del Trentino-Alto Adige.
Louis Brunelli è cresciuto coi genitori, due fratelli e una sorella, nel Greenwich Village a New York, quartiere divenuto celebre perché abitato da artisti, poeti e pure da rivoluzionari. Negli anni Cinquanta, nel Village vivevano sedici famiglie del Bleggio. “Ci si incontrava la domenica, dopo la messa, si mangiava assieme, si cantava. Gli altri di origine italiana ci chiamavano “tirolesi”. Noi mangiavamo la polenta, loro la pasta asciutta”.
Al Village c’era il Mills Hotel. “El me nono, Silvio Bellotti, ha girato gli States per 25 anni, lavorando nelle mine di carbone, argento e ferro. Nel 1948 eravamo su al doss dei Fleri, nel Bleggio, magnando pan e formài. Il nono, parlando sempre in dialetto, salta for con l’inglese chiedendo se conoscevo il Mills Hotel. Certo che sì, l’era vizin a casa. I nossi migranti Tirolesi, arrivati a New York, i dormiva lì per 15 centesimi e la mattina i ‘ndava su alle 34 strade (34ma Street) a Pennsylvania Station per prender il treno per le mine”.
Il Louis ha studiato dagli Scalabriniani che avevano collegio e chiesa a due passi da casa, nel Greenwich Village, accanto alla chiesa dove il papà, Gustìn, faceva il sagrestano. Si è laureato in psicologia, ma per studiare vendeva i giornali sulla metropolitana, faceva il lustrascarpe, consegnava fiori. Un dollaro per tre ore di impegno. Dopo il dottorato ha svolto attività di formatore nei licei di New York e pure tra i carcerati. Sposato con un’americana di origini olandese, tedesca e irlandese, ha cinque figli (Justin, Christyan, Jeremy, Maria e Jospeh) e dodici nipoti (“’na squadra de calcio più una riserva”). Vive a Cortlandt Manor, sul fiume Hudson, un centinaio di chilometri a nord di New York, vicino all’accademia militare di West Point. Nella bella stagione compie lunghe passeggiate sui Catskill Mountains; si siede su una panchina che domina una vasta piana mossa dalle colline. Se non c’è lo smog o la nebbia nella baia, lontano si possono scorgere i grattacieli di New York.A Pasqua e a Natale, nella grande casa, quasi una baita alpina, in riva a un laghetto, il Louis prepara decine di torte (“de fregolòti”), strudel, mandorle, “gròstoi”, secondo le ricette dell’antica tradizione Bleggiana-Tirolese. Nelle ultime feste, il Covid ha blindato nelle loro abitazioni i figli e i nipoti che sono sparsi per gli Stati Uniti. Preparati i dolci, il Louis si è messo alla guida della sua vecchia “Corolle” ed ha portato i pacchi di dolci e altre leccornie (gnocchi, canederli) ai figli meno distanti. Poi, come un monaco di altri tempi, se n’è tornato alla sua “cella” di devoto osservante. Della Liturgia delle Ore, ma anche del caffè italiano che si prepara cinque volte al giorno accompagnato, talvolta, da un bicchierino di Fernet Branca. Che il Louis importa, ogni volta che torna dal Bleggio, camuffato in valigia dentro i bottiglioni della Coca Cola.