La riapertura di un bar sarebbe in sé una piccola notizia, una “breve” usata dai giornali come riempitivo di una delle ultime pagine. Non avrebbe neppure la dignità di notizia se a gestirlo fossero i locali. Ma se una “forestiera” è accolta in una valle che fino a cinquant’anni fa era chiusa al mondo esterno, tutto cambia. E lo stupore si alimenta mentre emergono i particolari.
Per molti anni il bar del Milordo, a Fierozzo, nell’alta valle del Fersina, è stato un punto di approdo della comunità mochena. La Lina, la moglie del sindaco Moltrer, governava il locale con grande autorevolezza. Poi l’età e varie vicissitudini familiari hanno portato alla chiusura del bar. Che non era soltanto un bancone di mescita di bevande perché nei villaggi di montagna ha una funzione sociale di coagulo e di confronto. Pareva la fine dell’umana avventura di molti avventori.
Tre anni fa, da Mirano, nell’entroterra di Venezia, è arrivata in vacanza in val dei Mocheni Selina Lazzarini, tre figli, esperienza di servizio in bar e ristoranti veneti. Si è innamorata della valle, ha visto il bar chiuso, ha chiesto informazioni e si è proposta per la riapertura.
“Ho firmato il contratto per un anno”, spiega Selina, un occhio al cronista capitato lì per caso, l’altro all’orologio perché stanno arrivando gli amici per brindare alla nuova avventura.
“Ci siamo innamorati di questo posto, dello stile di vita che c’è qui, legato ai ritmi della natura, della terra. Ho tre figli: Luna, Morgana e Leone. Due sono qui con me, la più grande è rimasta a casa, anche perché sta frequentando l’Università”.
Il primo “incontro” con la val dei Mocheni, Selina e figli lo hanno avuto il 24 giugno 2018. “Quando ho firmato il contratto per la gestione del bar ho guardato il calendario: 24 giugno 2021. E mi sono resa conto che era l’anniversario del mio arrivo qui, come turista”.
Come siete stati accolti dalla comunità mochena? “Benissimo, anche perché ci siamo sentiti subito come in famiglia. Pensi che oggi mio figlio ha mangiato a casa di una signora che conoscevo soltanto di vista. Qui i bambini sono un po’ di tutti. Girano da una casa all’altra. Dove abitavo prima era impensabile lasciar uscire i figli piccoli da casa senza doverli seguire passo passo”.
Un doppio azzardo, aprire un locale in tempi di pandemia e in una valle di montagna. “Mica tanto perché c’è un po’ di passaggio: motociclisti, biciclette, qualche turista. E poi i giovani non solo di Fierozzo… Insomma io ci spero”.
La gondola ha lasciato la riva un sabato pomeriggio di metà luglio. Tra le abetaie dell’alta val dei Mocheni, mentre sulla parete del bar del Milordo una bella, vecchia, immagine di famiglia “racconta” arrivi e partenze, emigrazione ed immigrazione. La storia si ripete.
1 commento
Forse un pensiero va dedicato alla condizione della gente mochena alla sua imprenditorialità alla voglia di rischiare di essere soggetto economico ed aver voglia di lavorare e rischiare . Spiace dirlo ma è doveroso sospettare visto che l allevamento di capre felici nasce da una donna etiope l Agritur con azienda biologica da una piemontese che ha apprezzato l ambiente ed ora il bar dei mocheni per eccellenza da una donna veneta . Qualche dubbio su perché la valle sia definita incantata può essere legittimo speriamo sia uno stimolo per « discantaste »