La storia è nota. Nella prima metà dell’Ottocento, nel territorio della diocesi di Trento vissero tre “estatiche”, tre donne le quali, ognuna a proprio modo, furono al centro della curiosità e dell’interesse per la loro vicenda umana. Vissero tutte una “santa anoressia” che le portò all’attenzione della cronaca e dei giornali di mezzo mondo. Si chiamavano Maria von Mörl di Caldaro, Crescenzia Niglusch di Cermes e Maria Domenica Lazzeri, da Capriana, chiamata “la beata Meneghina”. Visse dal 1815 al 1848, gli ultimi 14 anni “senza mangiare né bere”, come testimoniarono i familiari e varie persone del luogo. Morì a 33 anni, con le stigmate, le piaghe che sanguinavano al venerdì. Sulla vita della Meneghina sono stati versati fiumi di inchiostro. Un anno fa è uscito un “romanzo” che oggi prende in esame Carlo Martinelli.
Nemico subdolo e cattivo, l’attualità. Il sedicente presente che si nutre di un oggi che non conosce (o ha dimenticato) l’ieri e non si cura del domani. Per questo la battaglia per la memoria, necessaria, si nutre di tante cose. Ad esempio di un libro uscito più di un anno fa, ma che importa? Condannarsi ad inseguire forsennatamente le novità o, peggio, ciò che segnalano i premi, rivela la debolezza, appunto, dell’attualità. Per questo, oggi, ci concediamo una rivisitazione di carta.
Che inizia con un copiaincolla da un sito internet, che si chiama santibeati punto it. Si parla di Maria Domenica Lazzeri, la Beata Meneghina. Siamo a Capriana, in Valfloriana, dove Trentino e Alto Adige si avvicinano. “Nacque il 16 marzo 1815, visse per 14 anni immobile nel suo letto di dolore, senza bere né mangiare, stimmatizzata, e morì a 33 anni il 4 aprile 1848. Tutti i venerdì sanguinava copiosamente dalle ferite delle mani, dei piedi, del costato e dai 40 e più fori della testa. Possedeva doni quali l’ubiquità, la preveggenza, la conoscenza di lingue mai studiate, e “sentiva” stando nel suo letto, ciò che veniva detto a grandi distanze (le omelie della S. Messa oppure le bestemmie e malignità su Dio e su di lei). Venne visitata da illustri personaggi, provenienti dall’Italia, Francia, Inghilterra perfino dall’Australia. Beda Weber, Anatole de Segur, Ernesto de Moj, Beda Polding, Streiter, Connely, Cazales, il conte Shrewsbury, l’Arcivescovo di Sydney, Antonio Rosmini, questi solo alcuni dei nomi. Dottori, religiosi cattolici e non, filosofi e gente comune, tutti si staccavano da lei, colmi di serenità, pace, edificati e redenti, convinti della sua santità. E ognuno di loro lasciò una testimonianza scritta di ciò a cui avevano assistito. Dopo anni di oblio e silenzio, il 4 aprile 1995, l’Arcivescovo di Trento, Giovanni Maria Sartori, ha celebrato, nella Chiesa di Capriana, l’apertura del processo di Beatificazione della Serva di Dio”.
Fine del copiaincolla.
Si parla della figlia di un povero mugnaio nel Tirolo dell’Ottocento e di una vicenda che ha fatto scorrere fiumi di parole ma che per gli abitanti disincantati e fors’anche distaccati del postmoderno (ora anche postcovid, cose…) potrebbe tranquillamente ritornare là dove è albergata per decenni, nel territorio della devozione popolare – qualche anima laica direbbe della superstizione – e chi più ne ha più ne aggiunga.
A meno che… A meno che, nel 1998, un allora trentenne aspirante giornalista e aspirante scrittore non si imbattesse, a Rimini, durante il meeting di Comunione e Liberazione, in uno dei tanti incontri in programma. “Maria Domenica Lazzeri. Una mistica in val di Fiemme”.
Il nostro, che è nato a Milano, ha radici pugliesi ma da anni vive in Trentino, va a curiosare. E sente, per la prima volta, la storia che avete letto, copiaincollata poc’anzi. Ne rimane folgorato. Vorrebbe saperne di più. Comincia una sua ricerca bibliografica. Sono 46 i libri sull’argomento, italiani e stranieri, che leggerà, nel corso degli anni. Ma non è ancora il momento.
Pino Loperfido – già, dimenticavamo: è lui il giornalista e scrittore – si dedica ad altro. Una biografia di Alcide Degasperi, lavori teatrali (di successo il monologo sulla tragedia del Cermis), romanzi (su tutti “Teroldego”), il lavoro redazionale di “Trentino mese” del quale diventa infine direttore e, soprattutto, l’ideazione e la direzione, per nove anni, del Trentino Book Festival. Tante cose, forse troppe, ammette a se stesso il nostro, qualche anno fa. Sui cinquant’anni capita di fare bilanci, di rimettere in ordine desideri, priorità, affetti, legami.
Direte: saranno affari suoi, dello scrittore e giornalista. Certo che sì. Ma tutte queste cose ora sono nero su bianco dentro un libro destinato ad un cammino non effimero e che Loperfido ha dedicato proprio al “curioso caso” – così lo chiama – di Maria Domenica Lazzeri. Sì. Vent’anni dopo quel viaggio a Rimini la storia di una delle “vergini del Tirolo” (in quell’Ottocento oltre alla Lazzeri diventano personaggi conosciutissimi anche le stigmatizzate Maria von Morl di Caldaro e Crescenzia Niglutsch) bussa forte al cuore e alla mente del nostro. Che parla di “una stranissima storia d’amore”, coinvolgente.
Che è poi quella restituita dalle 336 pagine de “La manutenzione dell’universo” (Curcu Genovese editore, 16 euro). Testo che cattura, sorretto da una struttura narrativa coraggiosa e convincente: talché appare come “il” libro di Loperfido, il più maturo, imprevedibile, spiazzante. Certo, la formula usata – quella del memoir, dell’io narrante – non nuova, è assai praticata in questo frangente. Il nostro affronta il caso curioso che tanto l’ha conquistato con un piglio che a qualcuno potrebbe apparire al limite della sfrontatezza. Parla della ragazza bloccata a letto per 14 anni, ovvio. E scava e scandaglia per dare sostanza alla sua tesi: perché una forza misteriosa ha come impedito che la dirompente e luminosa vicenda dipanatasi in quel piccolo paese, a Capriana, assurgesse agli onori degli altari concessi a molti altri? La fa in modo appassionato, con digressioni romanzesche, ché di romanzo si tratta.
E non esita a raccontare di Teresa, l’altra protagonista del libro, a ben guardare. E’ sua madre, una malattia se l’è portata via nel 2008. Il dialogo con lei, alternato alle pagine sulla storia della Meneghina, è costante nel racconto. Ne diventa punto di forza, unitamente al percorso volutamente irregolare, certamente affascinante, che l’autore ha scelto. Cosicché il lettore trova teologia ma anche fisica quantistica, fede ma anche il progressive rock dei Genesis, la Chiesa ufficiale e Nino Manfredi (e molti altri attori ed attrici), Antonio Rosmini e Stephen King, don Giulio Viviani (il sacerdote trentino per anni al fianco di papa Wojtyla e da pochi giorni parroco a Mezzocorona) e Ildegarda di Bingen.
Libro di morte, lutto e dolore e libro di luce, speranza e riscatto. Percorso dai sogni dell’autore che hanno a loro volta (e anche qui qualcuno storcerà il naso) una loro parte. Scrupolosa indagine in bilico tra cronaca e mistero, tra fede e scienza, affresco di un mondo rurale perso per sempre e specchio rifrangente del nostro oggi inquieto.
“Ciò che ho visto è superiore ad ogni descrizione”, dice uno degli illustri visitatori nella povera dimora della Meneghina. Loperfido tenta, con letterario coraggio, di imbastire una sua personale, talvolta sofferta, talora liberatoria, descrizione.
La sua manutenzione dell’universo è riuscita.