A mezzogiorno dell’8 giugno 2021, a Grumes, le campane della chiesa di Santa Lucia hanno suonato a festa per annunciare la nascita di Marie Dores Kekeli (che nella lingua Evè del Togo significa “Luce”). La piccola, del peso di appena un chilo e mezzo, è venuta al mondo anzitempo portando commozione e gioia nella famiglia di Claire e Carmelo Faustini. La coppia si è sposata a Lomé, in Togo, due anni fa. Come accade nei parti prematuri, la piccola è stata accolta immediatamente nel reparto di neonatologia dell’ospedale di largo Medaglie d’Oro, a Trento, a due passi dalla sala parto. La precisazione si impone poiché esattamente trent’anni fa, il 15 giugno 1991, furono spostati al Santa Chiara i reparti dell’Ospedale infantile “Angeli Custodi” di via della Collina a Trento. Non senza polemiche e qualche crociata fuori luogo, come vedremo.
“L’unità di misura del mondo è il bambino, o almeno dovrebbe esserlo”. Dino Pedrotti, 89 anni, pediatra di chiara fama, fu il principale propugnatore del trasferimento dei reparti dei bambini che costringevano gli “immaturi” a una corsa in ambulanza da un capo all’altro della città e le mamme a fare la spola tra l’ospedale o tra casa e l’ospedalino per portare il latte che serviva ai loro cuccioli in “terapia intensiva”.
L’ospedale infantile fu fabbricato nel 1924 sulla collina sopra piazza Venezia. Negli anni Sessanta-Settanta del secolo scorso vi confluivano i neonati problematici da ben 14 punti nascita della provincia. La mortalità infantile era ancora elevata. Racconta Pedrotti: “Ogni anno morivano tra i 60 e i 70 bambini. Quando andavo al cimitero di Trento ero in grado di dare un nome e un cognome a ognuna di quelle piccole croci”.
La distanza delle sale parto dall’ospedale specializzato nella cura dei bambini, la carenza di pediatri in periferia, si sommavano ai drammi delle famiglie che avevano i piccoli lontani e per di più in ospedale. Le visite parentali erano contingentate, gli orari rigidi e solo in determinati giorni della settimana. Il latte materno era inviato a Trento con la “corriera”, dentro una thermos.
Il vero problema, tuttavia, era legato alla rapidità degli interventi.
Fin da quando era arrivato, fresco di specialità, dagli studi di Pavia, il biologo e medico Dino Pedrotti aveva avvertito il problema della distanza tra l’ospedale pediatrico e la maternità dell’ospedale generale. Se ne è fatto carico fin dal 1970 come aiuto primario; poi come primario del reparto di Neonatologia (1985-1997) ha cominciato a bussare a tutte le porte e a tutti i notabili della amministrazione sanitaria e ospedaliera. Vi furono scontri anche accesi: con l’ing. Alberto Crespi, consigliere e assessore provinciale, con lo stesso cappellano dell’ospedalino, don Tullio Endrizzi (un “Padreterno”), con un comitato di devoti (della forma più che della sostanza), perché il trasferimento dei reparti dei bambini avrebbe occupato lo spazio “sacro” della chiesa dell’ospedale S. Chiara. Vi fu una campagna di stampa contraria al trasferimento, con lettere e petizioni pubblicate sul settimanale diocesano “Vita trentina”. Tuttavia, l’ospedale di via della Collina non aveva più ragione di essere. Nel corso degli anni i ricoveri erano calati da trecento a un centinaio. Le vaccinazioni, segnatamente quella contro la poliomielite, che fino al 1964 aveva provocato decine di casi di paralisi agli arti, avevano contribuito a sfoltire i reparti. La TBC era stata risolta con gli antibiotici.
Il dott. Pedrotti si era trovato tutti contro: la Chiesa, l’Ospedalino, i colleghi. Per somma ironia della storia “non c’è mai stato un politico che abbia avuto un figlio prematuro”. Come dire che, diversamente, il trasferimento dei reparti al Santa Chiara sarebbe stato meno irto di ostacoli.
“Ad ogni buon conto sono riuscito a vincere quella battaglia così come, anni dopo, quella contro il prezzo eccessivo del latte in polvere”. Con grande gioia, par di capire, delle multinazionali del latte per bambini e di quei pediatri che, allora, fruivano di benefit in viaggi esotici, vacanze sulla neve e altro. La raccolta del latte materno e l’istituzione della “banca del latte” è un’altra delle sue medaglie conquistate sul campo della sanità pubblica.
“Nel 1997 siamo riusciti a far confluire al Santa Chiara il 97% delle mamme con gravidanza a rischio. Poi far capire ai colleghi dell’Azienda sanitaria che ventilare un bambino di mezzo chilo era fare terapia intensiva, fu un’impresa”.Alla soglia dei novant’anni, portati con grinta, il primario di pediatria Dino Pedrotti resta quel dirigente ospedaliero che ha condotto con successo molte battaglie. “Il mondo è complicato ma lo complichiamo noi adulti. Vedere il mondo dal punto di vista del’infante risolverebbe molti problemi. Come rammenta il Vangelo, la verità sta nel bambino e non nei saggi e nei sapienti. È tempo di mettere al centro il bambino più debole. Morirò con queste mie idee”.
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2 commenti
È sempre un grande piacere leggere le sue ricerche molto molto precise e tettagliate .
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J’ai vraiment aimé et apprécié cette article.Bravo au journaliste 👍👍💞