Della serie “Nemo propheta in patria”. Nei lunghi anni in cui è stato dipendente della sede di Trento della Rai, dove era inquadrato contrattualmente come programmista-regista, Renato Morelli (1950) ha rappresentato il genio e la sregolatezza. I colleghi, in verità, tendevano a sottolineare la seconda più del primo. Perché la genialità del nostro si manifestava “extra moenia”, fuori le mura di via Perini. Dentro le quali, invece, il “Moro” viveva come in una camicia di forza, costretto dal contratto a curare la regia (tecnica) del telegiornale. E la scadenza dell’orologio non ammetteva alzate d’ingegno. Il telegiornale aveva ed ha orari ben definiti. Per studiare la scaletta degli interventi, dei filmati e delle immagini a supporto delle news, bisognava arrivare in regia almeno un quarto d’ora prima della trasmissione. Come i seguaci della regola Benedettina, costretti a interrompere l’attività lavorativa per l’orazione scandita dal Salterio. Si poteva ingabbiare la sregolatezza del genio perginese? Certo che no. Pretendere la puntualità era un’impresa. Per lui una fatica di Sisifo. Col senno del poi e vista la produzione musical-antropologico-filmica, forse, aveva ragione lui. Ma il “convento” di via Perini questo imponeva e questo i suoi dirigenti pretendevano. Finì che Renato Morelli se ne andò anzitempo, nel 2007, quando avrebbe potuto restare a libro paga della RAI almeno altri otto anni. Lasciò in archivio una vasta produzione di documentari su usi, costumi e tradizioni non solo del Trentino, non solo dell’Arco alpino, perfino della Sardegna e del sud dello Stivale. Una ponderosa ricerca etnografica accompagnata dalla catalogazione etno-musicale di brani che al tramonto del secondo millennio avevano già il pentagramma nella tomba della globalizzazione. Avrebbe forse meritato non già un monumento (ché quello, di solito, si alza alla memoria) ma almeno un riconoscimento che la Rai non riconobbe (se ci si passa il gioco di parole). La sua uscita dal “convento” ha fatto la sua e la nostra fortuna. Gli ha consentito, infatti, di indagare le culture musicali “altre”, dai canti della tradizione yiddish al Klezmer, il genere musicale degli ebrei askenaziti dell’Europa orientale. Ha visitato i monasteri greco-ortodossi del monte Athos, i luoghi della fede dei Balcani e le terre di là da quella che fu la “cortina di ferro”. Ha coagulato complessi musicali e ha sciolto le corde dell’anima e la sua fidata fisarmonica in orchestre etniche con un crescendo di impegno e di fascinazione come una risorgiva carsica che zampilla e che scompare per riapparire lontano sotto altre forme e altro nome. Un Timavo della cultura al quale, per i suoi settant’anni (carsicamente celati dalla pandemia del 2020), un gruppo di amici ha voluto rendere omaggio. Con un volume del quale scrive, qui sotto, Carlo Martinelli. Gli cediamo ben volentieri penna e laudatio. (A.F.)
Chi ha frequentato la cultura in Trentino – una certa idea di cultura – dagli anni Settanta del secolo scorso in poi, prima o poi ha incrociato Renato Morelli. Perginese di nascita, cittadino del mondo per vocazione. In questi giorni arriva nelle librerie un volumone che merita una occhiata non distratta. L’editore, Mimesis, lo presenta come un omaggio corale all’etnomusicologo, regista e musicista Renato Morelli in occasione del suo settantesimo compleanno. Un organico di voci miste, composto da amici, studiosi, registi, musicisti. Una polifonia di voci, dai timbri più diversi, per celebrare la straordinarietà di un percorso umano, di ricerca e artistico. E rievocare un intreccio infinito di relazioni, iniziative, progetti condivisi che hanno saputo collegare, in nome della musica tradizionale e del cinema etnografico, l’intero arco alpino e numerose regioni italiane con Francia, Ungheria, Austria, Romania, Albania, Grecia, Ucraina, Armenia, Georgia, Australia, Perù, Brasile.
Pofferbacco, direte. Beh, c’è di più. Un paio di giorni fa, sul quotidiano Alto Adige (e l’articolo sarebbe stato certamente pubblicato anche dal gemello Trentino se, nel frattempo, quest’ultimo non fosse improvvisamente deceduto) del libro “su” Morelli ha scritto Fabio Zamboni. Chi scrive qui ha condiviso con “Zambo” anni e anni di giornale – Alto Adige, appunto – e non trova di meglio da fare che riproporre, anche ai lettori orfani del Trentino, le sue righe su Renato Morelli. Condividendole appieno, situazionisticamente, doveva impedire che rimassero confinate ai lettori dell’Alto Adige dove – lo si scopre proprio leggendo le righe che seguono – Morelli è andato a posare le sue tende di curioso errabondo.
Che si copincolli, dunque, nel segno di Renato Morelli.
“Nel mondo tedesco si usa rendere omaggio alla carriera di un protagonista del mondo culturale o scientifico ben prima della sua dipartita: con “Festschrift” si intende infatti una raccolta di interventi scritti pubblicati in occasione di un compleanno importante. È quel che succede ora per un protagonista trentino della cultura, Renato Morelli, ora altoatesino d’adozione per aver preso residenza a Vipiteno. Etnomusicologo di fama, premiato documentarista, autore di svariati saggi, musicista, regista, Morelli avrebbe dovuto festeggiare i suoi primi 70 anni nel maggio del 2020 radunando chi ha attraversato il suo funambolico percorso di vita e di cultura dentro a una giornata di musica che a sua volta avrebbe radunato dozzine di musicisti fra quelli che hanno attraversato il suo variegato percorso di musicologo ma anche di fisarmonicista e band leader. Rinviata sine die la festa, ecco il suo “Festschrift”: un volume che omaggia la sua carriera pubblicato da Mimesis di Milano. 560 pagine firmate da esponenti della cultura che hanno incrociato Morelli nel suo vertiginoso itinerario attraverso la musica e le tradizioni popolari non solo del Trentino ma di tutto il Nord Italia, della Sardegna, dell’Est centroeuropeo, della Georgia, della cultura ebraica. Il titolo, scelto dal compilatore del corposo volume, Marco Rossitti, è perfetto, perché “Il Guardiano dei suoni” si rifà con grande efficacia al titolo del più noto dei film realizzati da Morelli, ovvero quel “Guardiano dei segni” che nel 2002 vinse due premi al Filmfestival della montagna di Trento prima di collezionarne altri cinque in altrettante rassegne internazionali. Ma il titolo non è solo una riuscitissima traslazione: Renato Morelli è stato ed è – perché i settant’ anni non gli hanno fatto rallentare il ritmo della sua ricerca – un vero guardiano dei suoni e delle tradizioni popolari, un custode prezioso e un divulgatore entusiasta e contagioso delle più originali espressioni artistiche della cultura popolare. A partire dalla “sua” Valle dei Mocheni per allargarsi a tutte le altre valli trentine – con le tradizioni legate al Carnevale e ai riti popolari legati alle stagioni – alla polifonia sarda, al canto polifonico georgiano che l’Unesco ha decretato patrimonio culturale dell’umanità, unico bene immateriale. Già programmista e documentarista della Rai di Trento, musicologo con all’attivo dozzine di pubblicazioni e di convegni internazionali, autore di sessanta film etnografici, autore di vari progetti musicali dai Destrani Taraf a Ziganof, Renato Morelli viene celebrato da autorevoli musicologi e antropologi che rendono omaggio al protagonista: chi rievocando le esperienze condivise, chi proponendo saggi rigorosi, attingendo anche nel privato. Un bel regalo di compleanno, per il pirotecnico regista-musicista-musicologo trentino, che ha dato un contributo decisivo alla valorizzazione e alla conservazione, ma anche al rilancio di certe tradizioni popolari che rischiavano l’oblio. Lunga vita a queste, e anche al Guardiano dei suoni”. Lunga vita.