Mese di maggio, mese dei fiori, mese atteso, che si distingue nettamente da qualsiasi altro mese dell’anno. Al solo nominarlo, questo appena sbocciato bel “mese dei fiori”, rievoca le consuetudini che hanno caratterizzato, il mese della primavera compiuta.
Il mese di maggio mi riporta al ricordo delle funzioni religiose in chiesa denominate comunemente col detto “Andare al maggio” che coinvolgevano praticanti e non, poiché tutti godevano del piacere di poter uscire di casa anche nel dopo cena e, addirittura, per un intero mese. Mi viene da pensare che allora il dover “Andare al maggio” soltanto per ben poche persone ciò era finalizzato all’aspetto puramente religioso/intimistico di recarsi in un luogo sacro per venerare e rendere omaggio alla Madonna come Madre di Dio. Infatti, per la maggior parte della gente, e specie per noi ragazzi, l’andare alla “funzione del maggio in chiesa” era soprattutto il sentirsi liberi di trovarsi all’aperto, di incontrarsi fra compagni, di riuscire a stare insieme anche con chi normalmente non si poteva. Era potenzialmente una vera esperienza di socialità, di cui godevano anche i giovani e le persone mature attraverso incontri interpersonali che normalmente non si potevano avere. Ho vaghi ricordi di giovani fidanzati, quasi sempre impediti di incontrarsi da soli (secondo le restrittive abitudini di quei tempi) che approfittavano proprio della funzione in chiesa per potersi incontrare, magari di nascosto dai propri famigliari. Cose che succedevano dati i condizionamenti del tempo.
Sono certo che saranno numerose le lettrici e i lettori che potranno ricollegarsi a ricordi personali di una consuetudine che, certamente, portano incisa nella loro memoria. Almeno per me – che dai 12 anni ai 30 anni sono stato lontano dal paese – il ricordo del “maggio” con la funzione del dopo cena in chiesa è tuttora presente e mi emoziona ancora. Perfino il ricordo che i ragazzini portavano con sé i “maggiolini” attaccati a un filo e durante la recita del Rosario li lasciavano svolazzare a tratti verso le lampadine accese, lasciandoli salire o ritraendoli per gioco (salvo servirsene per metterli nel collo alle ragazze!).
A parte tutto ciò credo che sia giusto rilevare come le storiche e secolari consuetudini di carattere religioso siano servite a creare le “comunità”, specialmente in quel periodo secolare durante il quale non erano ancora entrati in uso i mezzi di trasporto. Quell’andare e venire a piedi, magari su lunghi percorsi; quel trovarsi a camminare insieme e poi il ritrovarsi a confabulare sul sagrato della chiesa tutti insieme, prima e dopo le funzioni, costituiva concrete occasioni per conoscersi vicendevolmente e trovarsi insieme anche fra generazioni diverse. In quei periodi dire “comunità” non era distinguere la “comunità parrocchiale” dalla “comunità civile”. Tutto il paese era una sola e reale “comunità di vita e d’intenti” e la “socialità” era davvero il lievito che faceva lievitare il sentito e vissuto “bene comune”. Soltanto ricordi (già fumosi) da scambiarsi amichevolmente come chiacchiere al vento. Soltanto memorie, soltanto emozioni passeggere…Peccato!