Quello che fu il villaggio di Palestro, in Algeria, oggi è una cittadina che si chiama Lakhdaria. Il monumento, realizzato dai francesi per ricordare l’eccidio del 1871, non esiste più. Al suo posto vi è una moschea. Dopo l’indipendenza (1962) fu distrutto tutto ciò che in Algeria aveva qualche relazione con i francesi. Comprese le tombe degli occidentali e i monumenti che ne rammentavano la presenza. La memoria di un massacro di decine di emigrati “tirolesi” della valle dei Laghi e della val di Non, è affidata a pochi scritti e alle testimonianze di qualche turista occidentale. Al principio degli anni Novanta del XX secolo nella piana fra l’Atlante e il Mediterraneo si avventurò Riccardo Armani da Riva del Garda. Di quella strage non trovò alcuna traccia. [Maurilio Barozzi pubblicò un articolo su “L’Adige” il 14 gennaio 1998].
Era passato più di un secolo da quando, nel 1867, erano approdate in Nord Africa cinquantasei famiglie provenienti da Lasino e dalla val di Non. Nella piana alluvionale, in prossimità delle gole dell’Iseer scavate nei monti dell’Atlante, i “tirolesi” fondarono un villaggio. Fu chiamato Palestro, come il comune lombardo, in provincia di Pavia, dove gli Austriaci furono sconfitti (30 maggio 1859) dai franco-piemontesi nella seconda guerra di Indipendenza. In quegli anni, altri 250 mila “italiani, francesi e spagnoli” avevano raggiunto le coste dell’Africa mediterranea per colonizzare il territorio algerino. I “tirolesi” dissodarono la terra, piantarono vigne, fabbricarono le abitazioni. Cominciavano a cogliere i primi frutti quando, nella primavera del 1871, vi fu la rivolta delle tribù berbere della Cabilia. Nella furia dei nativi colonizzati per decisione di Napoleone III, finirono massacrati almeno 46 contadini trentini. Con loro anche il sindaco, Domenico Bassetti da Lasino. Era il 21 aprile 1871, centocinquanta anni fa. Del resto, come nota in un saggio la storica francese Raphäelle Branche (“L’embuscade de Palestro”, 2010) citata dal Corriere della Sera, “lo sviluppo del villaggio europeo e delle colture si fondò sulla spoliazione sistematica e l’impoverimento brutale della popolazione locale. Al sequestro delle terre si aggiunsero infatti le imposte di guerra. Per pagarle, gli abitanti dovettero vendere, spesso a prezzi irrisori, bestiame e raccolti, e affittare persino le proprie braccia per lavorare le loro terre, da poco assegnate ai coloni”. Nota Gianantonio Stella: “Una guerra tra poveri. Destinata, come spesso succede, a finire in tragedia”.
Inutilmente, nei giorni precedenti il massacro era stata chiesta protezione alla guarnigione francese di Algeri. Il colonnello francese Fourchault raggiunse la colonia solo uno o due giorni dopo la strage. Testimoniò: “Il villaggio distrutto, le case saccheggiate ed abbruciate, e 46 cadaveri sparsi qua e là fuori del villaggio, tutto uomini sul fiore dell’età, però nessuna donna e nessun fanciullo, e non si conosce ancora la sorte toccata a questi ultimi, in ogni modo sembra che siano istati fatti prigionieri e condotti in ischiavitù ove non possono aspettarsi che un luttuoso avvenire. Non fu possibile di riconoscere la maggior parte delle vittime rese non conoscibili dalle acquistate ferite e mutilazioni; si crede però di aver riconosciuto il curato ed un capitano che trovarono la morte nel presbiterio quale loro ultimo rifuggio di salvezza ed i cui corpi erano quasiché carbonizzati. Io feci seppellire i morti insieme in una tomba vicino alla chiesa. Dietro il parere del mio medico questa lugubre scena sanguinosa può aver avuto luogo avanti due o tre giorni”.
In ricordo del massacro, i Francesi collocarono un monumento. La tragica fine dei migranti “tirolesi” fu rammentata vent’anni dopo (1892) da Giobatta Trentini da Lasino, il quale si servì di un rapporto consolare inviato al suo comune e delle testimonianze pubblicate dal “Monitore”, un giornale di Algeri. Il manoscritto, di appena due pagine e mezza, porta il titolo “Fine terribile e tragica della Colonia trentina in Palestro nell’Algeria”. Lo pubblicò Aldo Gorfer in un volume sulla storia della “Emigrazione Trentina” (1978). Giobatta Trentini scriveva che la colonia era stata “fondata ai 18 novembre 1867 da contadini del Trentino e precisamente la maggior parte di Lasino, distretto di Vezzano, e della valle dell’Anaunia. […] Erano 56 famiglie le quali durante il loro breve soggiorno in quei luoghi si acquistarono 546 ettari di terreno – 273 mila pertiche – che lo lavoravano e costruivano le loro case sullo stesso sistema e nel medesimo modo come nel Trentino, e nel mezzo una magnifica chiesetta amministrata da un curato italiano. I colonisti vi furono attratti dai rilevanti lavori pubblici, cioé costruzioni di strade e ferrovie, miniere, ecc. essendoché erano conosciuti per persone diligenti, economiche e abili”. Giobatta Trentini rimarcava, inoltre, che “i colonisti, sotto il comando del loro capocomune Domenico Bassetti si difesero da veri eroi contro un nemico esuberantemente maggiore di forze, fanatico e avido di sangue. Dopoché essi avevano terminate e munizioni e viveri e dopo di avere aspettato inutilmente un ajuto cercarono di farsi strada con una baionetta alla mano, ma trovarono sciaguratamente la morte in una lotta contro una forza maggiore”.
Pierre Montagnon (“Histoire de l’Algérie, des origines à nos jours”, 1998) scrisse che “durante la rivolta dei Mokrani, il villaggio fu attaccato, il 21 aprile 1871, da 1500-1800 uomini armati. Una cinquantina di coloni fu uccisa in breve tempo; tra di loro anche il sindaco di Palestro, Domenico Bassetti, e il brigadiere della gendarmeria, ucciso a colpi di ascia da tre detenuti che gli insorti avevano liberato”. Donne e bambini furono rapiti; si salvarono solo due uomini i quali, il giorno dell’assalto dei berberi, erano lontani dal villaggio. Costoro contribuirono a identificare le vittime.
Nel “Libro dei morti 1811-1895” della parrocchia di Lasino, al 22 aprile 1871, si scrisse soltanto che “Bassetti Domenico del fu Pietro di qui, già da molti anni in Africa, ove fungeva qual sindaco di Palestro, 46 anni” morì per “infortunio”. Con lui anche “Bassetti Emmanuele, fratello del sopranotato già da parecchi anni in Palestro, 46 anni”. Morto “per infortunio”. “Chisté Antonio (Mare) di Pietro e fu Rosa pure in Palestro dove trovavasi al lavoro; tutti e tre massacrati dai Kabyli il giorno 22 p. p. aprile e poi ritrovati dalla Colonna militare del Colonello Fourchoalt e da lui fatti seppellire presso la chiesa come partecipava a questo comune 20 luglio corr. in base a relazione capitanale 21 giugno n. 6320”. A Lasino, i Bassetti trucidati a Palestro erano detti “i Bari”; Antonio Chisté, invece, faceva parte della famiglia detta “i Mari”.
La rivolta dei Cabili insanguinò l’intera regione. Chi riusciva a fuggire raggiunse la costa nel tentativo di trovare un imbarco e tornare nelle terre d’origine. “Affluivano giornalmente nella città marittima di Algeri, dall’interno del paese, lavoranti del Tirolo italiano privi di tutti i mezzi di sussistenza per fuggire ad una eguale e orribile sorte che toccò agli abitanti di Palestro”. Tuttavia la presenza emigrati dalla valle dei Laghi in Nord Africa continuò anche dopo la strage. Nel libro dei morti della parrocchia di Lasino si scrisse che il 15 ottobre 1874 “Trentini Antonio fu Giuseppe” di 25 anni “morì in Bona di Costantina in Africa in quell’ospedale militare”.
(La tragica fine dei migranti “tirolesi” in Algeria è ricordata anche nel volume di A. Folgheraiter, “Il vento sulla soglia”, Curcu&Genovese, 2008)