Nella prima metà del secolo scorso le coppie avevano una media di cinque figli. Le famiglie con più di dieci pargoli non si contavano. L’alta mortalità infantile, la “fabbrica degli angioletti”, provvedeva a ridimensionare le nidiate.
Oggi una famiglia con tre o più figli è considerata “numerosa”. Nel Trentino della denatalità le “famiglie numerose” sono circa diecimila. Tra di loro, per il ruolo pubblico ricoperto, emergono gli ex senatori Renzo Gubert (9 figli, con 21 anni di differenza tra il primo e l’ultimo), Giorgio Tonini (7 figli in 11 anni) e l’ex parlamentare Lucia Fronza Crepaz (6 figli in tredici anni).
“Negli ultimi dieci anni, in provincia di Trento abbiamo perso più di mille nati all’anno. Un crollo della natalità che si farà sentire pesantemente anche sull’economia. Insomma i non-nati equivalgono ai morti di Covid della pandemia in corso”. Massimo Sebastiani, 35 anni, ingegnere, e Federica Betta, 31 anni, laurea in scienze infermieristiche, sono i coordinatori provinciali dell’Associazione Famiglie Numerose. Con la loro nidiata di cinque bambini (quattro femmine e un maschietto) si pongono nella media dei nuclei familiari “speciali”.
Perché i figli sono sempre meno?
“Perché far figli comporta un investimento del proprio tempo e oggi il tempo è il perno attorno al quale sembra ruotare tutto: il denaro, la posizione sociale, il benessere. Il tempo è correlato al guadagno. Oggi, nella maggior parte delle famiglie, si è costretti a lavorare in due: per le spese, il mutuo-casa, per le vacanze. Così, alla fine, ai figli manca il tempo dei genitori. I quali non hanno tempo per far figli ed accudirli”.
Un report (2020) del prof. Carlo Buzzi, dell’Università di Trento, sulla denatalità in Trentino ipotizza che “entro tre lustri gli studenti frequentanti le scuole superiori trentine si ridurranno di oltre un quarto; più avanti si ridurranno gli ingressi nel mondo del lavoro e saranno molto di meno le donne in età feconda che potranno in futuro diventare mamme”.
Negli ultimi vent’anni le donne trentine fra 30 e 35 anni, la fascia centrale riproduttiva, sono diminuite di 5.400 unità, “quasi un terzo della loro consistenza di partenza. La diminuzione delle nascite, in provincia, dipende dunque anche dal fatto che ci sono meno donne nelle età nelle quali di massimizzano i parti. Il Trentino, quindi, è entrato in una spirale demografica negativa in cui le poche figlie del passato determinano una progressiva riduzione delle potenziali madri di oggi”.
Calano i figli e aumentano le donne “childfree”, in particolare fra le laureate, le occupate e le residenti nei centri maggiori della provincia.
In questo contesto, la “Grande recessione”, cominciata nel 2008 e che ha causato una persistente instabilità economica, ha costretto molte donne a procrastinare la gravidanza “sfociata poi in una rinuncia forzata per il superamento dei limiti fisiologici”. Ormai il primo figlio arriva in età sempre più avanzata: da 33 anni in su.
Più di un bambino arriva a scuola con genitori i quali, per l’anagrafe potrebbero figurare come nonni. Perché vale la pena avere tanti figli?
Federica e Massimo: “Perché sono una grande ricchezza di benessere e di affetto, e questa è senza prezzo. Se poi teniamo conto che saranno i figli di oggi a dover pagare le pensioni di domani, ogni bambino che nasce è un investimento pro futuro”.
Così ragionano i genitori delle famiglie numerose e così dovrebbero ragionare quei politici i quali, invece di guardare alle prossime elezioni, dovrebbero pensare alle prossime generazioni. Peraltro in provincia di Trento qualcosa si fa per favorire e, possibilmente, incrementare il volo delle cicogne. Rispetto ad altre regioni, qui una famiglia è considerata “numerosa” già con tre figli. Da quest’anno e fino al 2024 la Provincia stacca un assegno di natalità per i primi tre anni del bambino: sostituisce gli 80 euro dello Stato. Si aggiungono contributi per l’abbattimento delle spese per l’asilo nido, per la mensa scolastica, i trasporti, oltre a una quota per cultura e pratica dello sport. Alla lunga, tuttavia, si è dimostrato che questi strumenti non sono sufficienti a riempire le culle.
Massimo Sebastiani: “Si è fatto poco per dare ai genitori il tempo. A guardare i nostri vicini tedeschi e la sorella provincia di Bolzano, si può osservare che il trend di denatalità è stato invertito con un paniere di provvedimenti atti a garantire ai genitori risorse economiche e, soprattutto, il tempo”.
Per accudire la sua nidiata, Federica Betta ha rinunciato “temporaneamente” alla professione: “Bisogna abbattere il concetto secondo il quale, una mamma, se fa la scelta libera di prendersi il tempo per i figli, è una mancata donna lavoratrice. Entrambi i genitori, pertanto anche il papà, devono poter stare a casa dal lavoro e fare quello che ritengono opportuno per la prole. Senza che un genitore che fa questa scelta possa essere discriminato. Deve essere una libera scelta, non una costrizione. Ci sono famiglie numerose, diverse dalla nostra, in cui il papà si è preso il tempo per accudire i figli. Quanto a me, sto a casa perché ritengo importante accompagnarli nei primi anni di vita. Quando saranno autonomi non escludo l’idea di tornare a lavorare in ospedale”.
Massimo Sebastiani, rammenta che in Germania la famiglia percepisce da 204 a 235 euro al mese per ogni figlio, fino a 21 anni di età. Inoltre c’è l’Elterngeld, l’assegno parentale. Prevede per il genitore in aspettativa il pagamento del 70% dello stipendio per 14 mesi. Aggiunge: “In Italia si dovrebbero individuare strumenti che consentano alle famiglie di creare un contesto armonico fra tempo ed economia familiare. Inoltre si dovrebbero rivedere le politiche per la casa. La Provincia autonoma di Trento eroga contributi a fondo perduto, mutui o prestiti agevolati, ma si ripetono gli stessi schemi da anni. Non si tiene conto se il denaro va al servizio di una coppia senza figli o se, invece, arriva a sostenere una coppia che sta generando e facendo crescere i futuri cittadini, i futuri contribuenti. Fai figli? Ti abbatto il mutuo per la casa. È quanto accade, per esempio, in Ungheria: più figli fai e meno paghi per il mutuo”.Una proiezione per i prossimi trent’anni ipotizza che, da qui al 2050, in Trentino gli ultrasessantacinquenni possano aumentare di dieci punti percentuali: dal 21,7% di oggi al 31,4% del 2050; quando, l’età media dei maschi sarà di 86,9 anni, delle femmine di 90,1 anni. Dal 1971 la popolazione trentina è passata da 428 mila a 541 mila residenti; di questi, 47.880 sono stranieri. Nei prossimi dieci anni si prevede di raggiungere e mantenere le 550 mila unità. Sempre che la crisi non acceleri la fuga degli immigrati. I quali, oltre a contribuire al pagamento delle pensioni, con un tasso di natalità doppio rispetto alle donne italiane, hanno arginato le falle della denatalità.
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