Un papa immobile, dentro una cassa di legno chiaro. Chissà cosa direbbe, se potesse, al popolo dei credenti solo all’anagrafe, dei bugiardi seriali seguaci del dio più comodo, di chi non perde occasione per apparire. Sfilano, in abito da lutto, con commozione di circostanza, parole prefabbricate. Mascherano la speranza di un “nuovo ciclo” che in fondo altro non sarebbe che un ritorno all’antico, ai fasti, ai piaceri e alla lussuria di una potenza ecclesiastica ammantata di fronzoli e incensi.
Quella stessa potenza che il Francesco del saio aveva cercato invano di scardinare.
Il rito si compie. Si chiude con preoccupazione sul futuro, con il bilancio delle parole inutili mentre fuori volano missili, cadono bombe, e lo stomaco dei poveri si contorce per fame.
Anche il presidente dal ciuffo si inchinerà davanti alla bara del Papa gesuita, per dimostrare quanto la religione cattolica sia “inclusiva”, “ospitale”, “semplice da seguire”. Comoda, soprattutto. E confortevole.
Ma povero Francesco, davvero. Quel Papa che pretendeva di pagarsi gli occhiali da sé. Perfino da Papa. In ogni luogo, in ogni visita, non per obbligo, ma per devozione: ringraziava per l’ospitalità. Come uomo grato.
Gli articoli già scritti da giorni, i “coccodrilli” preparati con previdente anticipo. Le buste piene di lacrime finte. Le riflessioni televisive di circostanza: scontata, “vespasiana”.
Adesso, Francesco immobile e silenzioso, piace a tutti. Forse anche agli ebrei che bombardano gli innocenti a Gaza. Ai russi che continuano a massacrare il popolo in Ucraina. Ai guerrieri di ogni angolo del pianeta, che alimentano guerre e commercio di armi. “Finalmente tace”. “Predicava la pace — ora riposa”.
E così tutti a Roma, per un lutto a vantaggio di inquadratura, un commiato, un auspicio. Che il fumo dal camino della Sistina resti nero per poco. Chissà che, stavolta, non sia un papa nero. Come la pelle dei migranti. Come la veste dei nuovi preti e delle nuove suore, custodi e interpreti di un Vangelo di cui ormai restano solo frammenti.
Povero Francesco. La sua ultima visita al carcere — quel saluto ai detenuti — era parso un abbraccio tra colleghi. Tra chi la vita l’ha sbagliata e sta pagando il conto. Anche lui, Francesco, lo sapeva. Sapeva che, fuori, i potenti lo consideravano un’anomalia, una parentesi nel tempo. Lì, nel carcere, tra i reclusi e i dimenticati, Francesco pareva a proprio agio. Vien solo da dire: addio Francesco. Riposa. Fingi di non vedere i potenti al tuo cospetto; davanti alle telecamere del mondo, magari solo per far volare il valore delle proprie azioni. Che non sono mai state le tue. E nemmeno di chi dà ancora valore al pensiero.