Lasciate che i nonni tornino a Roma. Che possano proseguire il riposo eterno all’interno del Pantheon, fatto fabbricare da Menenio Agrippa nel 27 a. C. per celebrare la gloria di Roma “caput mundi”. Nel Pantheon sono conservate le tombe di Raffaello Sanzio e pure di alcuni re sabaudi: Umberto I di Savoia, Vittorio Emanuele II e della regina Margherita di Savoia. Adesso l’ultimo rampollo della dinastia sabauda torna alla carica per chiedere il trasferimento a Roma dei nonni, Umberto II, e dell’ultima regina d’Italia, Maria José. È il passato che ritorna.
“Sua Altezza Reale Emanuele Filiberto di Savoia”. Questo è il titolo che, secondo la tradizione monarchica o ciò che ne rimane, spetta all’ultimo erede di quella “Casa Savoia” che è una delle più antiche dinastie europee, fondata dal conte Umberto “Biancamano” agli albori dell’anno 1000 e che ha segnato un segmento non secondario nelle vicende peninsulari.

Nell’abbazia di Hautecombe (Altacomba), nella Savoia francese, riposano le spoglie mortali di Umberto II, l’ultimo monarca italiano, deceduto il 18 marzo 1983. In quest’austero monastero, cistercense prima e benedettino poi, si celebrano così ogni anno – in questi giorni – quelle cerimonie religiose in ricordo e suffragio, che sono spunto anche per una interessante intervista pubblicata dal “Corriere della Sera”, a cura di Candida Morvillo, nell’edizione del 15 marzo, a pag. 24.
La giornalista pone alcuni quesiti oltremodo interessanti al supposto “Capo della Real Casa”. Evidentemente per cortesia, lei “scorda” che il nonno Umberto II, in osservanza alla “legge salica” che obbliga la discendenza solo maschile per i Savoia, non risulta aver mai ufficializzato la sua successione nel figlio Vittorio Emanuele e quindi nel nipote Emanuele Filiberto, nato nel 1972 dopo il matrimonio dell’erede al trono con la borghese Marina Ricolfi Doria. Come noto il re, in esilio a Cascais in Portogallo, non approvò mai quest’unione e decise anzi di mettere il figlio maschio sullo stesso piano ereditario delle altre figlie. Ciò, secondo gli storici ed anche parecchi residui monarchici, indica una chiara volontà di non procedere alla trasmissione di “Casa Savoia” al proprio figlio, del quale tutti ricordiamo gli eccessi, nonché l’arroganza e la boria che lo hanno accompagnato sempre. Sulla scorta di tale impostazione quindi, oggi il “Capo della Real Casa” dovrebbe essere il cugino di Emanuele Filiberto, ovvero Aimone figlio di Amedeo duca d’Aosta ed erede del ramo cadetto dei Savoia. Polemiche, ricorsi, liti e perfino una aggressione pubblica hanno scandito l’”enorme” problema ereditario, senza soluzioni definitive e senza che ciò abbia mai turbato il sonno degli italiani.
Ma torniamo all’intervista di Emanuele Filiberto, che certo molti ricorderanno per essersi fatto onore – come conviene a tanto “sangue blu” – nelle singolar tenzoni di programmi televisivi come “Ballando con le stelle” e il festival di Sanremo. Il cinquantenne rampollo fa alcune affermazioni che suscitano più di un dubbio e contribuiscono a dar vita all’ennesimo tentativo di revisionismo storico e di assoluzione dei Savoia dalle enormi responsabilità assunte dalla dinastia, culminate nella tragedia della guerra che – è bene ricordarlo – ci è costata oltre 415.000 morti fra civili e militari.
Viviamo in una fase in cui tutti si sentono autorizzati a riscrivere, a proprio piacimento e tornaconto, la storia, senza badare affatto ai documenti, agli studi e alle ricerche quali fonti della verità storica. Oggi, qualunque blaterante in cerca di un minimo di ascolto bercia e sostiene le più incredibili teorie, a partire da chi, rotolandosi nel pantano della propria ignoranza becera, afferma che, in fondo, “il fascismo ha fatto anche cose buone”. Anche l’intervista ad Emanuele Filiberto non sembra sfuggire a queste dinamiche.
Egli dichiara infatti di sperare che questa sia l’ultima commemorazione del nonno in terra francese, perché confida “in un gesto di umanità, rispetto e pace storica”, affermando poi che i suoi avi “sono figure incriticabili”, che meritano di essere traslati nel Pantheon per gli alti uffici donati alla patria. Posto che le salme meritano silenzio e rispetto comunque, di fronte allo stupore dell’intervistatrice per l’uso di quell’aggettivo – “incriticabili” – “Sua Altezza Reale” arriva perfino a dire che l’allora principe di Piemonte – ovvero il nonno Umberto II, davanti alla fuga precipitosa ed ignominiosa del re Vittorio Emanuele III e del primo ministro Badoglio, che abbandonarono lo Stato e il popolo ad un tragico destino del quale ancora paghiamo lo scotto – “restò a Roma”.
Sarebbe interessante sapere dove l’augusto principe ha trovato questa originale versione, che, in realtà, è una bugia plateale. Umberto, principe di Piemonte ed erede al trono, seguì infatti, magari controvoglia, gli ordini sovrani e si accodò nella fuga verso Brindisi, allo scopo dichiarato di garantire la successione della dinastia. A Roma rimasero solo gli “sprovveduti” e i soldati che, senza ordini, resistettero ai nazisti a Porta San Paolo, preannunciando così l’avvento della Resistenza.
Emanuele Filiberto sostiene, non senza qualche ragione, che i Savoia nella loro storia secolare hanno dato tanto all’Italia. Peccato non si interroghi anche su quali danni la sua casata ha prodotto in questo Paese. Certo, il processo unitario; il museo egizio di Torino, la sacra Sindone – come graziosamente ci ricorda sua altezza – ma anche il sangue della repressione di Bava Beccaris a Milano nel maggio del 1898; la follia della guerra libica nel 1911; il brusco cambio di alleanze e l’ingresso in guerra nel 1915, con il relativo massacro e poi l’insipienza più totale e complice davanti agli “straccioni” della “marcia su Roma”, una fanfaronata che avrebbe potuto essere fermata subito e senza alcun problema e invece aprì la porta a vent’anni di dittatura. Ma non basta. Il “re soldato” firma l’abominio delle “leggi razziali”, mentre è più intento a lucidare la sua collezione numismatica che non a tutelare l’esistenza dei suoi sudditi di fede e cultura ebraica e, non pago di tale vergogna, segue il duce nella dichiarazione di una guerra alla quale non eravamo né pronti, né preparati. Il Savoia poi non batte ciglio quando attacchiamo, alle spalle, la Francia già messa in ginocchio dalla “Blitzkrieg” della Wehrmacht, così come non si preoccupa, il “re soldato”, degli alpini mandati a morire nel gelo, prima greco e poi russo, senza alcuna possibilità di ottenere un minimo risultato, che non sia quello dell’eroismo individuale.
I Savoia hanno dato tanto all’Italia? Forse. Di certo l’hanno umiliata con una guerra civile della quale portiamo ancora il peso. Umberto II, che diventa re a fatica dopo l’abdicazione paterna e davanti al disastro più lacerante, è un gentiluomo; una persona per bene che, pur restio, comprende come sia giunto il tempo della caduta di una delle dinastie più longeve e più voltagabbana della storia continentale e va in esilio. I beni vengono incamerati dallo Stato e oggi Emanuele Filiberto, sempre nell’intervista, chiede, con ineffabile innocenza, la restituzione dei gioielli reali, ma ha il buon gusto di assicurarci che non vuole “tutti i gioielli”, ma solo quelli appartenuti alla sua famiglia. Poveretto, come dargli torto? Infine, dopo un accorato ricordo del padre Vittorio Emanuele – e non potrebbe essere diversamente per un figlio affezionato e devoto – garantisce di proseguire il lavoro del genitore, sperando che stia lontano dall’isola di Cavallo dove il padre ha lasciato il suo indelebile ricordo, con le fucilate che hanno ucciso un innocente un ragazzo tedesco.
L’intervista si chiude in modo un po’ surreale, quando il “reale” intervistato, alla domanda se vivrà mai in Italia, risponde con candore: “Ho comperato casa in Umbria, ma diventerò residente quando l’Italia abrogherà la tredicesima norma transitoria e mi restituirà i miei beni personali.”
L’impressione – e pure l’auspicio – è che questo desiderio rimanga tale. Se egli non sarà residente nel bel Paese, ce ne faremo una ragione.
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