Volano basse le aquile di piazza Dante al capezzale dell’Autonomia. Il 5 settembre è scivolato tra i titoloni dei giornali sulle lacrime pompeiane del ministro prossimo al congedo, i danni provocati dai previsti acquazzoni e i discorsi di circostanza dei paludati rappresentanti eletti nel consiglio della Provincia “autonoma” di Trento.
L’anniversario della firma dell’accordo Degasperi-Gruber (Parigi, 1946) è celebrato dal 30 luglio 2008 (legge provinciale n. 13) con la “giornata dell’autonomia”. Rammenta che a Parigi, a margine delle trattative di pace fra le nazioni che avevano partecipato alla seconda guerra mondiale (1939-1945) i due ministri degli esteri, l’italiano Alcide Degasperi e l’austriaco Karl Gruber, con tale accordo sancirono, di fatto, l’annessione del Sudtirolo all’Italia.
L’art. 1 dell’accordo di Parigi garantisce uguaglianza di diritti per gli “abitanti di lingua tedesca della provincia di Bolzano e di quelli dei vicini comuni bilingui della provincia di Trento rispetto agli abitanti di lingua italiana”. Nel 1946 facevano parte della provincia di Trento anche i comuni bilingui della Bassa Atesina e della valle di Non.
Con una interpretazione estensiva dell’accordo furono coinvolti anche i comuni ladini della val di Fassa, quelli della valle dei Mocheni e di Luserna. Con l’art. 2 dell’accordo di Parigi si riconosceva “alle popolazioni sopraddette l’esercizio di un potere legislativo ed esecutivo regionale autonomo” (per l’intera provincia di Bolzano) e per “i vicini comuni bilingui della provincia di Trento”.
Come è facile capire l’autonomia estesa a tutta la provincia di Trento stava in piedi solo sotto il “cappello” regionale. Ma con il secondo Statuto di Autonomia (1972) che ha tolto alla Regione Trentino-Alto Adige la maggior parte delle competenze a vantaggio delle due province di Trento e di Bolzano, e soprattutto con lo svuotamento della Regione oggi ridotta a una scatola vuota, si sono create di fatto due regioni autonome. Per i sudtirolesi (oggi divisi in tre gruppi: tedesco, ladino e italiano) un indennizzo da parte dell’Italia dopo l’annessione del 1919; per i trentini una manna dal cielo, grazie a “san” Alcide Degasperi. Per i sudtirolesi, nel frattempo, è intervenuta la “quietanza liberatoria” del 1992 con la quale si è riconosciuta da parte dell’Austria l’avvenuta composizione della vertenza con lo Stato Italiano aperta davanti all’ONU nel 1960 e dichiarata la conclusione di quanto stabilito dall’accordo di Parigi del 1946.
Ma per la Provincia autonoma di Trento?
Qui casca l’asino perché l’autonomia, come si diceva cinquant’anni fa da parte dei maggiorenti democristiani, “si esercita a Trento ma si difende a Roma”. E oggi, con i partiti centralisti e padani al governo del Trentino c’è poco da stare allegri. E lo si è arguito anche il 5 settembre nella sala tappezzata con gli arazzi di Fortunato Depero (1892-1960), grande artista futurista e convinto fascista del Ventennio. Discorsi di circostanza, parolone in libertà, ma prospettive poche. Per non dire nulle.
L’unico che ha usato parole sagge (e bacchettato gli attuali inquilini del Palazzo) è stato il già deputato e senatore democristiano Giorgio Postal, il quale, dall’alto dei suoi 85 anni (compiuti il 17 agosto) non si è lasciato irretire dall’aquila di San Venceslao che il presidente della Provincia, Fugatti, gli ha graziosamente attribuito. “Il mio tempo è stato quello della costruzione delle autonomie. Il tempo di oggi è quello della sua salvaguardia e difesa”, ha dichiarato. Ha parlato di spaesamento che “in Trentino ha avuto effetti devastanti sull’identità”.
Parlava ai sordi perché in quell’aula, ad ascoltarlo, c’erano soltanto una ventina dei 166 sindaci del Trentino ai quali, probabilmente, l’autonomia interessa poco o è un privilegio dato per acquisito e scontato. Gli anni a venire diranno quanto miope sia questa convinzione, ma tant’è.Del resto non è che i vertici dell’attuale gestione dell’autonomia abbiano brillato nella loro prosa (preparata da qualche “Ghost writer” di servizio). Il presidente del Consiglio provinciale, il già sindaco di Ala perito edile Claudio Soini, non ha presentato grandi progetti, si è speso molto nei ringraziamenti ad autorità e al volgo, a ciascuno “egregio” presente in sala. Ha citato Degasperi come il prezzemolo, ha apprezzato in questi mesi di lavoro “la nostra capacità di produrre leggi” (il Consiglio che presiede è fatto per questo). Da perito edile e dunque esperto si è chiesto che cosa permette “al palazzo della Provincia di stare in piedi, di resistere alle scorie del tempo”. E si è risposto accennando ad alcune “materie fondamentali sulle quali l’autonomia si regge”. La “questione dell’acqua pubblica”, “il no alla diga del Vanoi”, per ribadire che “Non esiste autonomia senza specialità”. Quindi l’autonomia ordinaria è destinata a crollare. Al primo acquazzone, con o senza diga del Vanoi. La classe non è acqua, si diceva una volta. E si vede.