La ricomparsa, dirompente, degli orsi e dei lupi sull’arco alpino (soprattutto in provincia di Trento) e la mutazione degli equilibri nella convivenza con le popolazioni (anche alla luce delle aggressioni e della morte di Andrea Papi, sbranato da un’orsa in val di Sole) ha provocato un dibattito che ha portato a considerare i grandi carnivori “specie aliene”. Sul tema interviene Maurizio Gentilini, già archivista dell’archivio diocesano tridentino, oggi studioso al CNR – Istituto di Storia dell’Europa mediterranea.
Nel corso degli ultimi anni molti territori dell’arco alpino hanno registrato un significativo ritorno dei grandi carnivori (in particolare orsi e lupi), da molto tempo considerati estinti o prossimi alla scomparsa definitiva.
L’incremento della presenza dei plantigradi in Trentino si deve a un progetto – promosso in ambito europeo e attuato dal Parco Adamello-Brenta e dalla Provincia autonoma – che negli ultimi anni del secolo scorso ha mirato al ripopolamento dell’orso bruno, importando alcuni esemplari dalla Slovenia. Il lupo è invece ricomparso e si è diffuso autonomamente. Altrettanto – anche se con numeri decisamente minori – si è verificato con la lince e con alcuni rapaci.
La presenza e l’aumento della densità di questi predatori, collocati al vertice della catena alimentare, sono indice di una situazione estremamente dinamica all’interno degli equilibri che regolano gli ecosistemi alpini. Un’alterazione evidente si può registrare nei rapporti tra la popolazione umana che vive o risiede periodicamente (in particolare per turismo) in montagna e la fauna. Particolarmente anomala l’alta concentrazione di orsi stanziatisi in un territorio montano circoscritto (il Trentino occidentale) e a densità di residenti relativamente alta.
Il dibattito pubblico al riguardo si è polarizzato tra un ambientalismo nato lontano dai territori montani e contrassegnato da una matrice culturale prevalentemente urbana, contrapposto a un’idea di natura e della sua conservazione prodotta dalle popolazioni delle “terre alte”, con una concezione della montagna vissuta in termini socioeconomici, molto diversa da visioni idealizzate di mondi rurali alpini e contesti interamente naturali. Né lo sfruttamento dei territori in nome delle logiche di mercato (soprattutto turistico) né un ambientalismo ideologico hanno dimostrato di fare il bene della natura e di chi ci vive.
La rinnovata presenza di orso e lupo è anche figlia di uno spopolamento (demografico e culturale) della montagna e della cosiddetta “wilderness di ritorno”, che in termini storico-antropologici sanciscono il tramonto di un modello di civilizzazione che ha attraversato l’ultimo millennio.
Le difficoltà nel praticare l’agricoltura, l’allevamento e il pascolo in quota sono sintomo di un progressivo inselvatichimento, dovuto anche alla scarsa lungimiranza di molte politiche dedicate alla montagna e a chi la abita. Politiche che, nel caso italiano, dovrebbero avere un preciso ancoraggio nello spirito e nella lettera dell’art. 44 della Costituzione repubblicana che riconosce alla montagna uno specifico rilievo, precisando oneri di sostegno a favore di questi territori intesi come fondamentali per lo sviluppo complessivo del Paese.
Vito Volterra (Ancona, 1860 – Roma, 1940) è stato uno dei più insigni matematici e fisici italiani. Autorevole animatore della comunità scientifica internazionale, presidente dell’Accademia dei Lincei e fondatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche, senatore del Regno, fu scienziato visionario, capace di delineare orizzonti di ricerca ancora oggi vitali e di avviare inedite collaborazioni tra scienze dure e scienze sociali.
Il modello “preda-predatore” – Dopo la firma del manifesto degli intellettuali antifascisti promosso nel 1926 da Benedetto Croce, Volterra fu rimosso dal regime fascista da quasi tutti gli incarichi istituzionali. Decise di dedicarsi principalmente agli studi in campo biomatematico, un settore all’epoca del tutto pioneristico e che forse solo oggi comincia ad entrare nella sua piena maturità. In questo contesto Volterra propose uno dei primi modelli matematici alla base del concetto di ecologia e degli studi sui comportamenti sociali, noto come modello “preda-predatore”. Il punto di partenza erano state alcune osservazioni sule fluttuazioni periodiche nelle popolazioni di alcuni pesci dell’Adriatico, cercando di metterle in relazione con i mutamenti di fattori esterni. Volterra considerò un sistema ideale formato da popolazioni di prede e predatori uniformemente distribuite nello stesso territorio, e ipotizzò che ad ogni istante lo stato del sistema potesse essere descritto mediante un’equazione differenziale le cui incognite erano le densità delle due popolazioni. Scrive Volterra nel 1926: “Mi permetto di indicare come può considerarsi la questione: cerchiamo di esprimere con parole come procede all’ingrosso il fenomeno; quindi traduciamo queste parole in linguaggio matematico. Ciò porta ad impostare delle equazioni differenziali. Se allora ci lasciamo guidare dai metodi dell’analisi siamo condotti molto più lontano di quanto potrebbero portarci il linguaggio e il ragionamento ordinari e possiamo formulare delle leggi precise matematiche. Queste non contraddicono i risultati dell’osservazione. Anzi la più importante di esse sembra in perfetto accordo con i risultati statistici.”
Questa è l’idea del modello: in assenza di predatori, le prede crescono esponenzialmente e i predatori, in assenza di prede, decrescono esponenzialmente. Se le due popolazioni sono presenti contemporaneamente, la loro interazione fa decrescere il tasso di cambiamento del numero delle prede e crescere quello dei predatori in modo proporzionale al prodotto delle loro densità. Il risultato fondamentale individuato da Volterra fu quello di spiegare come mai, durante la prima guerra mondiale, a causa della cessazione delle attività legate alla pesca, si fosse registrato un aumento di prede e una diminuzione dei predatori. Se entrambe le popolazioni diminuiscono di uno stesso fattore proporzionale alla loro densità, i punti di equilibrio del sistema, che indicano la popolazione media nel periodo, tendono a spostarsi ad un livello in cui ci sono un minor numero di predatori e un maggior numero di prede, così come osservato sperimentalmente. Questo modello, elaborato quasi un secolo fa, ha aperto la strada a tutti i successivi studi di dinamica delle popolazioni (umane e animali), che ancora oggi vengono usati in ambito biologico.
L’orso, animale al vertice della catena alimentare degli ecosistemi alpini, non ha predatori (fatta eccezione – almeno un tempo – per l’uomo). In epoca recente, non per colpa sua ma a causa di progetti di ripopolamento malamente governati dalla politica, la sua presenza è riuscita a mettere in crisi i delicati equilibri di un territorio montano, conquistati con fatica e assestatisi nei secoli.
Forse un ripasso del modello di Vito Volterra potrebbe fare solo del bene: alle prede, ai predatori e alla natura.
Maurizio Gentilini – CNR