Che società siamo diventati se la schiavitù degli umani fa ancora parte della nostra mensa, del cibo a buon (?) mercato, del lavoro nero, del suprematismo bianco, razzismo diffuso e strisciante come una biscia mortifera? Che uomini siamo se la pietà per i nostri simili (chiamarli fratelli è un affronto a loro visto che siamo spesso i Caini dell’antico Testamento) si esaurisce nell’abbandonarli lungo la strada perché portarli all’ospedale sarebbe un azzardo visto che fanno parte degli invisibili della storia e per la legge? Che bestie siamo diventate in nome del profitto e dello sfruttamento con un niente al chilo?
Unwürdige Leben. (Vite indegne). – Questa è la definizione con la quale il razzismo genocidario nazista indica tutte le diversità e le fragilità che “macchiano” la purezza razziale ariana. Novant’anni fa, come oggi. Unwürdige Leben.
“Avevo avvisato il lavoratore di non avvicinarsi al mezzo, ma lui ha fatto di testa sua. Una leggerezza purtroppo.” Così Renzo, padre dell’imprenditore agricolo Antonello Lovato nella cui azienda lavorava, in qualità di schiavo invisibile, Satnam Singh che è morto senza il suo braccio.
Unwürdige Leben. Adesso il coro delle deprecazioni, dello scandalo e della pietà a buon mercato intona le sue solite litanie d’occasione, mentre tutto rimane intatto ed immutabile. Lavoro nero, sfruttamento, schiavitù di Vite non degne nemmeno di una minima assistenza. Quella stessa implorata per l’orsetto albino.
Unwürdige Leben. Figliate dal suprematismo degli slogan e dell’odio facile coniugati con l’esasperazione del profitto, le Vite indegne scompaiono dal nostro orizzonte. Non le vediamo, perché non vogliamo, indaffarati come siamo ad alzare alti lai che costano poco e si esauriscono in fretta.
Unwürdige Leben. Come quella di Satnam Singh e di sua moglie Sony, che ricevevano 4 euro all’ora di paga illegale. Lo hanno scaricato sull’uscio di casa, senza il suo braccio. Quello, in un impeto di vera pietà, lo hanno messo in una cassetta della frutta, buona a contenere “una leggerezza”.Unwürdige Leben. Per quel Sikh, clandestino, sfruttato e privo del diritto di morire da Uomo e non da bestia, non c’è nessun “Eterno riposo”, nessun “Kaddish”, nessuna preghiera al Creatore. Spero che il Paradiso del Guru Nanka Dev lo abbia già accolto. Anche senza il suo braccio. Chissà se ci sarà posto anche per noi, un giorno, con tutte le nostre braccia cariche solo di immensa vergogna.