“Piange i muréti de val de Cembra…” canta il coro Castion di Faver (testo suggestivo di Italo Verner). Piangono le vigne della piana Rotaliana potate d’inverno, metafora di un anno che se ne va. Senza lode e con molta infamia. E quindi vi proponiamo un giro di valzer con la fantasia di un moderno “Pier delle vigne” di memoria dantesca.
Il secondo girone, del settimo cerchio dell’inferno, Dante e Virgilio lo hanno dedicato a coloro che hanno commesso violenza contro sé stessi ed a chi si è tolta la vita o si è mutilato Fra questi, uno degli ospiti più celebri di quel girone fu Pier della Vigna che si accecò. Pier della Vigna, uno dei più influenti consulenti di Federico II, consigliere e notaio, colto scrittore siciliano, competente, dotto e potente al punto da generare invidie ed atti persecutori nei suoi confronti. Si conclusero con la prigionia nel corso della quale fu accecato per le sue illuminanti visioni che lo indussero a togliersi la vita.
Un figlio di contadini, laureato in legge a Bologna il quale, pur di condizione umili, legate a terra e vigne, dettava legge fra i potenti. Non ottenne da Dante e Virgilio un posto fra i nobili di un qualsiasi cimitero cremonese dove fu arrestato o in Toscana dove fu recluso, visse e morì. Ebbe una citazione di lusso in un girone della letteratura eterna, della cultura italica dantesca.
Ed io che cosa c’entro? Nulla. Mi chiamo Pier e vengo dalle vigne. Son tornato con piacere da loro dopo aver trascorso a Palazzo anni di lavoro a fianco dei potenti, dei Federici nostrani, senza mai rischiare la cecità, neppure quella delle vedute che conservo in modo silente.
Alla fine di un’annata ragiono con gli amici che mi hanno chiamato “il Pier delle vigne”, il contadino per passione, per nostalgia infantile, per tradizione famigliare. Nel mio racconto capita spesso che vada a rievocare i momenti di maggior piacere e relax fra le vigne; a dedicare loro cure e attenzioni, trasformando in festa e in azione culturale molti dei passaggi conditi da nuove tecniche. Altre rispetto a filosofie e indirizzi che il mercato, le regole comunitarie e le indicazioni di cooperazione agricola consortile impongono, tutela ecologica compresa. “Pier delle vigne” resto e non penso di finire nel girone di chi si è rovinato la vita. Anzi, penso di potermi dedicare per qualche ora alle sue cure, la vera cura disintossicante da una quotidianità che in campo politico, sociale e perfino umano evidenzia i limiti di un degrado infinito.
Ecco, sto andando oltre la semplice azione agronomica. Così ho instaurato un dialogo immaginario con la vigna. In questi giorni, complice un tempo clemente, sto concludendo la potatura secondo tecniche e modalità che nel tempo si sono adeguate alle esigenze di una produzione di qualità e di quantità prestabilita. L’ho fatto nel rispetto di quasi tutto ciò che un agricoltore, colto o neofita, deve fare se informato con i messaggi e le note che puntualmente arrivano dai centri di assistenza agronomica ai soci delle comunità agricole e che danno preparazione anche chi proviene dal settimo girone dell’inferno.
Potare, tuttavia, contempla l’unico momento di vero potere, la scelta, a volte crudele, di quali siano i tralci degni di fruttificare ancora e di quelli destinati all’humus. Il potere di forbice e seghetto, lo sguardo severo, cuore domato dalle indicazioni chiare e decise. Solo due tralci, e molti di loro quando si trovano davanti un contadino armato, tremano e sperano e si mettono il cuore in pace solo quando il taglio netto tocca ai compagni di vigna destinati alla concimazione.
Di ogni vigna si conoscono peso a grappolo, numero di grappoli ottimale per ogni vite, numero di acini con peso specifico ideale. È la qualità ammessa dai protocolli. Inoltre: numero di foglie calibrato per assicurare il giusto apporto nutritivo e respiro purificatore; e pure la distanza fra ogni grappolo per consentire salute e vita arieggiata di ogni frutto destinato a diventare vino. Ciò che si chiede è di saper leggere le indicazioni e di applicare gli ordini ricevuti, sperando che, come capita frequentemente ormai, la natura non faccia spiacevoli scherzi. E “Pier delle vigne” che fa? Come fa a dire che si diverte se deve solo obbedire? Ecco il punto: il piacere per la potatura consente libertà. Servono occhio, esperienza, coraggio. Serve pure la crudeltà di chi accantona la compassione per un tralcio che piange e sceglie i due che meritano di esser salvati condannando tutti gli altri alla fascina o alla decomposizione organica per dare nutrimento alle “sorelle” graziate. Ecco perché amo potare. Nessuna direttiva può dirmi chi salvare, tocca solo a me decidere e vedere le lacrime dei tralci tagliati e privati della soddisfazione di una nuova annata. “Pier delle vigne”: dalla Divina Commedia al vigneto di Mezzocorona il passo è breve. In questi giorni la potatura volge al termine. La sfida successiva sarà quella di legare i tralci come un tempo, con le “strope”, e sentir sospirare da ogni tralcio strozzato: “Che cosa aspetti a dotarti di una attrezzatura automatica con bobina di filo?”. Preferisco la tecnica antica che solo pochi, ormai, conoscono e rende testimoni preziosi di un tempo che fu. Pier della Vigna, ospite dal 1280 in quel girone infernale, cieco e suicida, ex notaio di regni potenti, son certo che mi pensa e mi invidia. Avrebbe qualche buon consiglio da darmi per non irritare troppo quei centri di potere che, anche in campo agricolo, stanno cercando di render ciechi coloro che vedono e muti coloro che parlano. Forse anche i nuovi potenti vorrebbero collocare in un girone dantesco i fastidiosi “Pier delle vigne”. Non daremo loro codesta soddisfazione.