Si chiama demenza di Alzheimer. In Italia i malati di questa patologia che colpisce soprattutto la terza età sono 650 mila. Coinvolgono nell’assistenza 3 milioni di persone, la maggior parte familiari, soprattutto donne. La Fondazione Veronesi scrive che “il costo annuo della malattia di Alzheimer, in Italia, è stimato in oltre 15 miliardi di euro. Circa l’80% sono costi indiretti che pesano su famiglia e caregiver”.
La comunità e i sindaci della valle di Cembra hanno avviato una campagna di sensibilizzazione per trascinare anche coloro che non sono direttamente o personalmente colpiti. E l’ha affidata a Loredana Cont. Prolifica autrice di teatro, attrice lei stessa, la già funzionaria del comune di Rovereto ha portato a Cembra un testo di teatro civile che ha commosso e coinvolto il folto pubblico.
Una bambola di pezza abbandonata su una poltrona; due scarpe spaiate, uno scialle, due borsette. Brandelli di memoria, scampoli di vita. Tutta qui la scenografia per dire che “la vita è come un foglio bianco. Si comincia a scrivere una lettera dell’alfabeto; poi due, poi una sillaba, una frase, due frasi. Un testo intero. Infine, dopo aver vissuto per gli altri, per la famiglia, per la società, per sé stessi anche, improvvisamente, una mattina… Una gomma che si è insinuata nel cervello comincia a cancellare: una parola qua e là; una frase, gruppi di frasi, un intero discorso. E il nulla ti riporta all’infanzia, alla bambola di pezza, a frammenti di memoria.”
Si perdono le cognizioni del tempo, si smarriscono gli affetti, si annaspa alla ricerca di un appiglio per non sprofondare nel vuoto di un tempo senza tempo.
Questa è la demenza di Alzheimer, cognome dello psichiatra tedesco Alois che la descrisse nel 1906 e della quale, a distanza di oltre un secolo, non si conoscono ancora con certezza le cause. Certo, l’invecchiamento e l’età non aiutano. Lo stile di vita (niente grassi, niente alcool, niente droghe) aiuta molto. La fortuna personale, di più.
Nessuno può chiamarsi fuori, ognuno di noi è un potenziale cliente. Da qui la necessità e l’urgenza di condividere la fatica, il disagio, la sofferenza: dei familiari, di chi subisce la demenza. Perché, è ovvio, il protagonista, colui che è colpito dalla malattia di Alzheimer, poco si cura, non avendo cognizione di sé. È la cerchia parentale, sono gli operatori delle case di riposo (oggi si chiamano: residenze sanitarie assistenziali, ma la sostanza è la stessa) che devono essere sostenuti e, possibilmente, aiutati.
Questo ha detto, nel teatro di Cembra, Loredana Cont. Ovvietà? Mica tanto, mica sempre. Ha parlato anche di altre malattie, per far sorridere (chi non le ha) e qualche battuta (si va a teatro dalla Cont per ridere, soprattutto) l’ha dovuta infilare tra le righe. Sennò finiva tutto in una valle di lacrime.
Perché, nella seconda parte dello spettacolo, l’autrice-attrice roveretana ci ha dato “rento” (che sta per “dentro”) nel colpire gli spettatori al cuore. Ha letto il racconto (vero) di una sua amica che andava a trovare tutti i giorni, due volte al giorno, la sua mamma in casa di riposo. E la povera donna, naufragata tra le onde dell’Alzheimer, l’ha sempre scambiata per sua sorella (la sorella della mamma) che era morta da anni. Alla quale diceva a ripetizione: “Pensa che mia figlia, quella disgraziata, non è mai venuta a trovarmi. Neanche una telefonata. Ma io, a quella, quando muoio non lascio nulla. Così impara”.
Vi risparmiamo l’epilogo. Vale la pena di andarlo a sentire di persona. Dovunque sarà, perché lo spettacolo-riflessione-teatro civile avrà di sicuro un seguito in altre comunità del Trentino. Sempre che la demenza senile non dilaghi anche tra chi dovrebbe avere a cuore il coinvolgimento delle proprie comunità alla comprensione-compassione del dramma dei singoli. Che stanno diventando, con l’età, problemi di molti.