Che cosa è l’archeologia? A una domanda che parrebbe banale il più celebre archeologo israeliano, il prof. Dan Bahat (1938) ha risposto: “È la serva della storia”. L’archeologo che scava la terra, che la fa fruttificare con i suoi studi e la sua intelligenza, potrebbe essere definito “il contadino della storia”. Questo personaggio straordinario è stato ospite nei giorni scorsi a Trento, invitato dalla Sosat e dal club Armonia, per raccontare a una folla di ascoltatori la “sua” Gerusalemme. Perché se gli antropologi raccontano la storia “scritta dall’erba”, gli archeologi la scrivono e la riscrivono talvolta dalle radici.
Ci sono città, nel mondo, che hanno svolto – e tutt’ora spesso svolgono – un ruolo ulteriore e particolare, rispetto all’essere luogo di incontro e convivenza delle comunità che le abitano. Città come Roma, Berlino, Hong Kong e qualche altra, ma soprattutto Gerusalemme, sono infatti perni delle vicende dell’umanità. In esse e nel loro divenire infatti, la storia si è rappresentata attraverso le sue espressioni migliori, come quelle dell’incontro, del dialogo, della reciproca contaminazione e della cultura e, al contempo, nei suoi aspetti più dolorosi, tragici e crudeli.
Forse è per tale ragione che queste città appartengono anche all’esistenza di tutti noi. Nel loro evolversi hanno segnato tappe fondamentali ed hanno detto del percorso dell’uomo attraverso i secoli.
È con questa consapevolezza che la Sosat ed il Club Armonia hanno promosso una significativa serata culturale, anche a suggello della stagione di “Sosat incontra…”, supportando così l’impegno personale dalla dott.ssa Anna Guastalla, che ha saputo portare a Trento una delle grandi figure dell’archeologia mondiale, ovvero quella del prof. Dan Bahat, scopritore e conoscitore, come nessun altro, della storia e della topografia di Gerusalemme.
Città dalle probabili origini ittite e gebusee – e quindi non cananee come si è creduto per secoli – nel suo incedere attraverso il tempo, Gerusalemme è diventata il fulcro del mondo antico, spiega il prof. Bahat. Centro politico, economico e culturale, ma anzitutto religioso, fra le sue geografie urbane pulsa il cuore dell’ebraismo e con esso quello delle religioni del Libro, ovvero dei grandi sistemi monoteistici ed è qui che si raduna l’archivio della vicenda mediterranea e mediorientale.
Da questa affermazione ha preso avvio, in una sala traboccante di pubblico, una conferenza che è stata soprattutto un viaggio. Dall’epoca della fondazione al tempo di David e delle due unità del suo regno e cioè Israele e Giuda, per camminare poi fra i reperti dell’epoca di Salomone e del re Ezechia, arrivando alla dominazione romana ed agli anni di Gesù. Sulle tracce di quella città ebraica, distrutta, ricostruita, distrutta nuovamente da guerre e terremoti, si è venuta edificando poi la Gerusalemme mussulmana ed infine quella “crociata”, che è poi la città che vediamo e conosciamo oggi.
Camminando fra le rovine ed intercalando la narrazione con un innato gusto dell’umorismo e con un uso disinvolto ed un po’ elastico della lingua italiana, Dan Bahat ha trasmesso alcune verità di straordinaria importanza. Sottolineando l’impegno archeologico alla ricerca della città com’era, lo scienziato ha posto in evidenza anche una somma di “falsi storici” che ha segnato – e tutt’ora contraddistingue – un certo tipo di narrazione di Gerusalemme. Alcune tombe, spacciate fin dal periodo crociato ed a scopo di propaganda come luoghi santi per il cristianesimo in quanto sepolture di profeti e patriarchi, sono state scoperte dagli scavi di Bahat, dimostrando che i sepolti non sono i protagonisti dell’Antico Testamento, bensì cavalieri crociati morti a Gerusalemme. A questo insomma serve l’archeologia: a mettere in dubbio la narrazione ed a scrivere le verità della storia.
Gerusalemme è una città sospesa, ma è anche il crogiuolo della multiculturalità e – seppur talora faticosamente – del dialogo interreligioso. Così il professore rammenta come, scavando sotto la contesa Spianata del Tempio, si è portata in luce la chiesa di S. Sofia, di epoca bizantina e voluta dall’imperatrice Eudochia. Su quella chiesa è poi stata edificata una moschea araba, in un continuo “gioco” di sovrapposizioni realizzate utilizzando i laterizi delle precedenti costruzioni. Al di là dell’indubbio valore archeologico della scoperta, ciò che Bahat pone in rilievo è la costante successione di dominazioni e quindi di culture, dalle quali scaturiscono gli elementi dominanti del rapporto fra antichità e modernità.
Ciò significa, sottolinea il ricercatore, che ognuno può avere la “sua” Gerusalemme. Non solo quella della storia, ma anche quella della fede o della poesia; quella della musica o della letteratura, perché la duttilità della città ed il suo essere contenitore di un complesso – e forse unico ed originale – “melting pot” offrono innumerevoli chiavi di lettura, non solo sul passato, ma anche sul futuro. Molto rimane ancora da fare. Gli scavi proseguono, pur fra le difficoltà del presente, ma la lezione di Dan Bahat è soprattutto un inno alla cultura ed alla sua forza, quale veicolo di indispensabile comprensione delle radici e del destino che da esse promana e ci attende. Una grande serata quindi per Trento che, davanti a proposte di qualità, dimostra tutta la sua vitalità ed attenzione.