La ricorrenza dell’8 marzo, da anni celebrata come la “festa della donna”, offre spunti di esplorazione dell’universo femminile. Tra gli appuntamenti, i dibattiti, le occasioni per ribadire parità che non sono mai state opportunamente conseguite (e il fatto che si debba celebrare la donna almeno una volta l’anno significa che si è ancora ben lontani da quanto auspicato), tra tutto questo si segnala una pubblicazione di Beatrice Primerano che descrive una figura femminile trentina nell’Ottocento del Risorgimento italiano. Nel tempo in cui vanno per la maggiore quelli che si dicono “Fratelli d’Italia” fa da controcanto la biografia di una “sorella d’Italia”. La recensione di Renzo Fracalossi:
Con la consueta competenza storica e la passione che anima ogni sua pagina, Beatrice Primerano, docente presso la Facoltà di Giurisprudenza a Trento e ricercatrice della Fondazione Museo Storico, apre uno sguardo oltremodo interessante sull’epopea risorgimentale, offrendo ai lettori la sua ultima fatica: “Irene Bronzetti, una sorella d’Italia”, uscito nel novembre 2022 per i tipi delle Edizioni Alcione di Trento (pp. 77, euro 10).
Dopo averci aperto sguardi nuovi sullo straordinario profilo di Ernesta Bittanti Battisti, l’autrice, con questa pubblicazione frutto di una accurata ricerca storica, ritorna su narrazioni femminili e svolte “al femminile”, anche invitandoci incidentalmente a rileggere le figure dei fratelli Bronzetti, attraverso una fitta corrispondenza con la sorella Irene, primogenita della “gloriosa stirpe” e legame profondo fra tutti i componenti di quella famiglia di origini tirolesi che ha lasciato traccia, anche se talora evaporata, nel complesso svolgersi del processo di unità nazionale.
Prosegue così l’indagine storico/sociale di Beatrice Primerano dentro il mondo femminile di queste nostre geografie alpine. Intercalando il racconto storico con epistole familiari e reperti d’archivio, il volumetto consente al lettore di osservare lo scorrere di eventi che, per alcuni versi richiamano la memoria dell’approccio scolastico alla storia italiana e per altri offrono lo spaccato di uno snodarsi familiare e personale posto a cavallo fra l’impero ed il regno, nel momento stesso in cui entrambe queste realtà geopolitiche vivono profonde ed epocali trasformazioni.
Se dei fratelli Narciso e Pilade qualcosa ci è noto, soprattutto in relazione alle loro giovanili attività politiche ed alla partecipazione attiva alle lotte risorgimentali ed ai moti antiasburgici culminati in quella “spedizione dei Mille” ed alla quale il giovane capitano Pilade Bronzetti partecipa con coraggio e perizia militare, della sorella Irene e delle altre figlie e figli di questa “nidiata di otto pargoli” di Domenico e Caterina Strasser, fino ad oggi non sapevano pressoché nulla.
Di Pilade Bronzetti, al pari del fratello maggiore Narciso, invece qualche memoria ci è rimasta, almeno superficialmente. Pilade si batte per gli ideali unitari, guadagnandosi, con l’avventura garibaldina, il comando del 1° battaglione Bersaglieri posto a difesa di Castel Morrone sopra la valle del Volturno. In quella veste, dopo aspri combattimenti, muore ferito nel corpo ma non nello spirito il 23 novembre 1832 e raggiunge così il fratello maggiore Narciso che, anch’egli con il grado di capitano del 1° reggimento Cacciatori delle Alpi, ha già portato a compimento il suo destino, morendo a Brescia, per le ferite subite in combattimento, il 17 giugno 1859. Due eroi, secondo la retorica patriottarda dell’epoca, ma anche due simboli dei quali il fascismo si impossessa, così come dell’epopea garibaldina nella sua totalità, per provare a costruire un fittizio legame di continuità fra l’esperienza risorgimentale ed il nazionalismo squadrista in camicia nera e manganello. Pilade e Narciso Bronzetti, garibaldini e protagonisti dei moti unitari, provengono da una famiglia molto unita, rispettosa delle idee di tutti anche nella loro diversità e costantemente tenuta in collegamento dall’impegno e dalla passione della sorella Irene. È lei, come ci racconta l’autrice, che sopporta e supporta “le avverse sorti” che colpiscono i suoi affetti, con una straordinaria dignità e compostezza, condividendo e sostenendo gli ideali che portano i fratelli al fronte e valorizzandone la memoria.
Irene è una “donna di ottimi e specchiati costumi” che frequenta le funzioni religiose, la scuola della dottrina cristiana e soprattutto si impegna negli studi, intraprendendo, nel 1837, quella carriera nell’insegnamento che la accompagnerà per tutta la vita e ne scandirà gli anni. Il 12 aprile del 1838 ottiene la licenza per dar vita ad una sua scuola privata, dopo aver già insegnato nei collegi di Castiglione e di Casalmaggiore nel cremonese. A Mantova, coadiuvata dalla sorella Cunegonda, gestisce lezioni di italiano e di tedesco alle fanciulle delle famiglie borghesi e nobili della provincia ed impronta la sua vita ad un decoro e ad un rigore morale di grande valore. Poi, in età matura, si trasferisce a Venezia dove prosegue nella vocazione docenziale ed assicura un costante e continuo contatto con tutti i suoi familiari, assumendo così un ruolo di collante e regia degli affetti ed al contempo indossando sempre quei panni di “vestale” che sono tipici del ruolo femminile nella vicenda del Risorgimento e del perseguimento dell’unità nazionale.
Secondo il metro culturale dell’epoca infatti, alla donna spetta il compito di essere educatrice dei figli e guida delle nuove generazioni per l’edificazione del nuovo Stato unitario e della nazione che con esso vede la luce. Ma alla donna spetta anche il ruolo tragico della sopportazione del sacrificio di padri, mariti, amanti e fratelli, che si immolano per la causa italiana, avvolti in quegli ideali romantici che vengono esaltati da Mameli nel suo “Canto degli Italiani”. Ma in quelle espressioni di idealità e di etica unitaria, si celano ed incubano, purtroppo, anche quei nuovi nazionalismi contrapposti che daranno prova della loro essenza violenta e prevaricatrice durante il primo conflitto mondiale, realizzatore finale del sogno unitario sotto la corona dei Savoia e fossore del tanto odiato impero austro-ungarico.
Grazie alle “innate virtù femminili”, donne come Irene Bronzetti sono anche chiamate a raccogliere la sfida importante della scolarizzazione di un Paese nuovo, giovane e segnato da un forte analfabetismo e da differenze culturali e tradizionali profondissime. Sono queste “Sorelle d’Italia” che divengono in breve laiche “missionarie dell’educazione”, ma anche vessillifere dei valori della modernità, della solidarietà e dell’evoluzione sociale ed individuale.Questo è, in breve, il cuore delle pagine ricche di passione che l’autrice scrive, utilizzando una prosa che possiede il dono raro della sintesi, senza mai perdere il fascino di una narrazione che si muove armoniosamente sulla sottile linea che divide il romanzo dalla realtà storica, ma che non impone mai il superamento dell’uno sull’altro.
La scrittura di Beatrice Primerano affascina e avvolge, presentando Irene come una figura viva in un presente che, seppur passato, sembra palpitare ancora adesso e che avvertiamo quindi anche nostro e che riscopriamo, in una sorta di viaggio a ritroso anche nella nostra personale vicenda individuale e collettiva. “Irene Bronzetti – Una sorella d’Italia” è una lettura piacevolissima ed agile, così come evocativa e didattica ed alla quale forse possiamo pur dedicare qualche spazio, nel turbinio frettoloso di una vorace modernità che tutto divora e tutto dimentica.