Il sogno sfumato dei cinque cerchi a Miola di Piné, delle gare olimpiche di pattinaggio velocità su ghiaccio del 2026, è la puntuale conferma di ciò che i media avevano annunciato da settimane. Ed è banale osservare che i pinetani sono rimasti di ghiaccio alla conferma ufficiale del trasloco a Torino (?) delle gare promesse con l’assegnazione delle olimpiadi invernali Milano-Cortina. Ma sì, al Trentino resterà il salto dal trampolino di Predazzo e al pinetano arriveranno (?) 50 milioni (cinquanta) di euro. Quale indennizzo per il danno di immagine (?) patito.
La “compagnia dell’anello” (dell’Ice Rink) salita a Baselga l’altro giorno per dire “scusate ci rimangiamo la promessa” è stata accolta “con il gelo”. Parlando di stadio del ghiaccio mancato, non poteva che essere così. Né sono valsi a riscaldare il clima i cinquanta milioni di bigliettoni sventolati sotto il naso da Fugatti-Failoni e la promessa di riparazione con gare minori da parte della Federazione ghiaccio.
Hanno fatto bene a dire “no” ai lavori di ammodernamento e di copertura dell’anello ghiacciato di Miola Fugatti&C.? Se sono reali i costi previsti, e cioè 76 milioni di euro, hanno fatto benissimo. Ciò che l’opinione pubblica contesta loro è che non lo si sia detto fin da subito, o comunque mesi fa quando già si sapeva che sarebbe andata a finire così. Si dirà: erano in ballo le elezioni e i voti dell’altipiano e, di riflesso, delle valli di Cembra e dei Mocheni, facevano comodo. Come no?
Come fanno comodo i voti della val di Fiemme e, di riflesso, delle valli di Fassa e di Cembra e Primiero, per dire “no” allo spreco di pubblico denaro nel tenere in piedi un reparto di maternità all’ospedale di Cavalese dove la cicogna si degna di fare visita 2-3 volte la settimana. Quanti milioni di euro costano alla collettività provinciale queste non-scelte? E quanto costeranno i tira e molla sull’ospedale di Cavalese nuovo o sull’ospedale ristrutturato?
La Magnifica Comunità di Fiemme, un ente millenario che non ha ancora abdicato alla propria autonomia, ha scelto quale Scario – il massimo rappresentante dell’Ente – probabilmente il miglior politico su piazza in val di Fiemme: Mauro Gilmozzi. Il quale porta in dote esperienze da sindaco di Cavalese, da consigliere regionale, da assessore provinciale. E Gilmozzi ha già detto chiaro e tondo che il nuovo ospedale ai Masi di Cavalese, nella piana teatro dei due disastri del Cermis, non s’ha da fare. L’Avisio scorre nei pressi. Le alluvioni non sono prevedibili ma i pericoli si possono e si debbono prevenire. Di Stava ne basta una.
A che cosa serve poi un nuovo ospedale se poi non si trovano i medici per farlo funzionare? Dimenticavamo.: grazie alla lungimiranza dell’attuale maggioranza, Trento possiede da un paio d’anni una facoltà di medicina. Tra qualche anno, quando il nuovo ipotizzato ospedale di Fiemme sarà (sarebbe) costruito, garantirà frotte di neolaureati. Pronti, nel tempo libero dalla corsia, a tuffarsi dalle piste del Cermis e nelle acque del vicino Avisio. Perché, naturalmente, li manderanno a far pratica in quel di Cavalese dove, come è noto, la casistica consente il perfezionamento di specialità. L’unico reparto che potrebbe davvero fare scuola è l’ortopedia, ma delle due sale operatorie una è destinata h24 alla maternità. Sia mai che la cicogna necessiti di un cesareo. E la radiologia? A una certa ora del pomeriggio, vista la carenza di personale, si spengono le luci. Chi arriva dopo le 17 viene rifilato a Trento. Insomma, in piazza Dante ci sono o ci fanno?
Il problema vero, a ben vedere, non è la carenza di medici. Con stipendi adeguati e una campagna acquisti si possono importare anche dal Terzo mondo, dove ci sono eccellenti scuole di medicina. E poi, dei destini sanitari di quelle popolazioni chi se ne frega? Il problema è la totale assenza di una classe politica che sappia guidare la comunità trentina e sappia difendere un’autonomia già annacquata ed erosa dalle zampate veneto-lombarde. Troppo comodo demandare ai “territori” (che diavolo sono questi “territori”? Chiamatele “valli” che è meglio) scelte che spettano alla politica. Il populismo di questi tempi è figlio della scomparsa delle scuole di partito. Peggio: della scuola, quella che frequentano i nostri figli e nipoti. Cominciate a farla funzionare sul serio che forse fra trent’anni avremo meno asini che siedono sulle poltrone della politica e dell’amministrazione. Non è una soddisfazione, ma allora noi non ci saremo.