A Natale si moltiplicano le richieste di donazioni e di gesti di “bontà”. Al punto che certe reti televisive non si fanno scrupolo di mandare in onda a raffica spot pubblicitari di organizzazioni blasonate. Con messaggi apocalittici, voce suadente e tono perentorio, domandano denaro facendo leva su immagini strazianti di bambini sofferenti, denutriti, scheletriti, ansimanti, ammalati gravi. Anzi, prossimi alla morte se tu, ascoltatore dal cuore di pietra, non metti mano al portafoglio per garantire loro antibiotici o altri medicinali. Una pornografia della sofferenza alla quale, forse, un garante della comunicazione un giorno deciderà di mettere mano. Perché, se chiedere è lecito e rispondere è cortesia, non è consentito sbattere infanti in primo piano per muovere a compassione chi fa la pennichella davanti alla TV. Lo dice il buon senso prima che lo impongano le leggi, le carte sui minori e sui malati e il codice di autodisciplina della pubblicità. (af)
Nell’affanno dell’augurio stereotipato e ipertecnologico che ormai sembra essere il vero fulcro del Natale e dell’avvio del nuovo anno, l’attualità del pensiero di Immanuel Kant può divenire forse augurio universale quand’egli afferma: “Proprio perché nel mondo esiste tanta sofferenza ed ingiustizia e il male sempre più spesso trionfa, è necessaria l’accanita e lucida speranza che, pur vedendo la sciagura che ci circonda, si rifiuta di credere che le cose non possano andare altrimenti.”
In questa speranza, fatta di “cielo stellato sopra di noi e di legge morale dentro di noi”, risalta anche la consapevolezza che quel bimbo ebreo venuto al mondo in quella notte e nella precarietà della stalla, pur amando la vita, sa già di doverla perdere per amore degli altri.
Se l’incertezza e l’emarginazione della stalla sono di per sé un utile insegnamento, altrettanto lo è quello di una nascita già destinata alla morte nella consapevolezza che, fedele ad un credo che deve unire e non dividere, quel Verbo che si fa carne chiama al dovere irrinunciabile dell’amore e dell’accoglienza verso il prossimo, chiunque egli sia e senza dubbi, freni o diniego alcuno. Ad un primo sguardo pare un’ovvietà banale, in realtà non pochi si ostinano ancora a rifiutare ed emarginare l’umanità che urge alle porte del presente, agitando inutili rosari e partecipando, in tutta compunzione, alle sacre funzioni, ma chiudendo contemporaneamente ogni porta all’ascolto.
Si tratta di quella “carità a gettone” che aggiusta le coscienze, tacita i rimorsi ed istupidisce le intelligenze, ma non cancella affatto – ed anzi acuisce – quel trionfo di orrori, mediocrità, presunzione, aridità e viltà che evidenzia tutto il senso del nostro limite e dice della totale incapacità di far prevalere l’umano sulla mera convenienza.
Ma se l’amore e l’accoglienza verso l’Altro sono una grazia troppo alta, possiamo almeno chiedere in dono al Natale un’altra virtù fondamentale, cioè quella del rispetto che, sempre nel solco del filosofo di Königsberg, è la premessa per ogni altra virtù. Così, se non riusciamo ad amare, possiamo sforzarci almeno di sentire che ognuno degli ultimi che abita la contemporaneità ha gli stessi diritti nostri e la medesima nostra, povera, dignità.
Non chiediamo quindi al Natale di essere perfetti, ma di non essere crudeli e indecenti, perché nel nostro prossimo, quale sia il colore della sua pelle, la sua religione e le sue identità ed appartenenze, rimane sempre qualche minima traccia del volto di quel Bambino che ci sorride dal presepe.
Riconoscere e rispettare quel sorriso rende vive di senso le statuine sotto l’albero, al pari delle nostre esistenze e del loro scopo.
Buon Natale.