Martedì 20 dicembre, alle 14.30, a Calavino, i funerali di “don Bepi” Grosselli, uno dei preti trentini più noti, morto a dieci giorni dai 96 anni, domenica 18 dicembre nella “casa del clero”, presso il Seminario Maggiore, a Trento. Nato a Calavino il 27 dicembre 1926, ordinato prete nel 1950, per 16 anni fu professore presso il seminario minore arcivescovile; assistente provinciale delle ACLI dal 1966 al 1971, catechista nelle scuole, dal 1967 al 1989 fu delegato dell’arcivescovo Gottardi per la Pastorale del lavoro.
Uomo del dialogo e del confronto, fu vicino agli operai e alle loro famiglie, in particolare quelli della Michelin che raggiungeva nelle ore del cambio-turno con rapide volate in bicicletta. Gli fu levato l’incarico della pastorale del lavoro (1989) dall’arcivescovo Sartori non senza le proteste del mondo operaio e sindacale. Fu spostato alla pastorale del turismo e del tempo libero. Mantenne tale mansione sino al 2009. Nel frattempo fu destinato anche quale parroco di Montevaccino, la piccola comunità sull’Argentario. In 17 anni di ministero pastorale seppe creare un forte legame con la popolazione della frazione di Trento.
Ma “don Bepi” Grosselli fu anche un valido direttore e fondatore di cori di montagna oltre che armonizzatore di brani della tradizione corale. Ha fondato e diretto il coro Lagolo e la corale “Bella ciao”. Negli anni Sessanta aveva diretto pure il coro dei vigili urbani di Trento. Per il suo impegno verso il prossimo, nel 2006 il presidente della provincia, Dellai, lo insignì dell’Aquila ardente di San Venceslao, la massima onorificenza dell’autonomia provinciale. Analogo riconoscimento gli fu attribuito nel 2016 dal sindaco di Trento Alessandro Andreatta.
Non fu mai un prete-operaio ma il prete degli operai. Il “don” delle tute blu, rigorosamente vestito in borghese senza la “telàra” da prete che, negli anni del dopo concilio, cominciava a essere lasciata nel ripostiglio delle sagrestie. Fu prete di quella Chiesa chiamata a sporcarsi le mani con il mondo delle fabbriche; con il sindacato che non faceva sconti a nessuno, men che meno alle tonache accusate di collateralismo con i “padroni”.
Si misurò con le proteste degli studenti; con la società che stava cambiando e che fu scossa dalla stagione del terrorismo. Il vescovo veneziano Gottardi, arrivato nel 1963 a Trento come un doge, con un mantello a strascico di sete e di broccati lungo cinque metri, grazie a quel prete di campagna mandato a occuparsi del mondo del lavoro seppe scendere dalla cattedra e immergersi nei problemi reali della “sua” comunità.
Fu “don Bepi” a convincerlo a far visita, il giorno di Natale del 1974, agli operai metalmeccanici, in lotta per il contratto, accampati in una tenda rossa in piazza Duomo a Trento. Fu Grosselli a guidare il corteo degli operai della Michelin (aprile del 1974) fin dentro la cattedrale; a lasciare che il sindacalista della Fim-Cisl, Giuseppe Mattei, facesse “la predica” ai devoti del venerdì santo per spiegare loro le ragioni della lotta sindacale. Fu aspramente redarguito per questo dall’arcivescovo Gottardi il quale, capito di aver sbagliato, il giorno seguente lo convocò per chiedergli scusa.
Le “prediche”, cioè i sermoni della messa, “don Bepi” li preparava leggendo il giornale. Perché, diceva, la Chiesa deve misurarsi con la cronaca, con ciò che vive la gente. Certo faceva il prete e diceva le orazioni, come no. Ma per lui era orazione anche il canto corale, tanto che aveva composto e armonizzato decine di brani proposti ancor oggi dai cori di montagna. Non contento aveva aggregato attorno a sé i suoi compaesani della “valle del vento”. Sessant’anni fa diede vita al coro “Lagolo”, più tardi alla corale “Bella ciao” perché anche la classe operaia avesse un proprio coro e una propria identità sul pentagramma.
La montagna fu un’altra delle sue passioni. Trascinava comitive di aclisti e di monache su e giù per i sentieri anche più impervi. Di quelle scorribande resta una pubblicazione sulle chiesette e i capitelli di montagna. Perché Bepi Grosselli sapeva scrivere e sapeva fare sintesi: di autori e di letture. Era una testa pensante, sempre in bilico sulla linea del fuoco. Per tutta la sua lunga esperienza di prete della pastorale del lavoro dovette mediare fra capra e cavoli, tra chiesa istituzione e operai metalmeccanici. In particolare, quelli della Michelin se lo trovarono a fianco per vent’anni. Lui c’era sempre: nelle rivendicazioni e nel confronto con “il padronato”, come si diceva allora.
Fu “adottato” anche dall’ANPI, l’associazione dei partigiani, che il 25 aprile rievocava la guerra di liberazione dal nazi-fascismo. Molte bandiere rosse, pochi credenti, ma a messa da “don Bepi” andavano convinti. Per sentire messaggi di speranza e parole di giustizia. E se “la classe operaia va in Paradiso”, Bepi Grosselli ci è andato di sicuro. Per dire alla Madonna: “Bella, ciao”.